Il Grande Gatsby. L’aggettivo nel titolo del capolavoro di Fitzgerald non è altro che un’anticipazione di quello che si andrà svelando durante la lettura - in questo caso la visione - di una delle più significative e memorabili storie del XX secolo.

The Great Gatsby, il romanzo che Francis Scott Fitzgerald scrisse nel 1925, è infatti una fotografia dei roaring ‘20s, i ruggenti anni Venti del secolo scorso; spumeggianti, irriverenti ma anche contraddittori e segnati da eventi disastrosi, come il crollo della borsa di Wall Street del 1929, hanno rinnovato il panorama socioculturale mondiale. Lo scrittore del Minnesota ha saputo accuratamente ritrarre la dissolutezza in cui crebbe la sua generazione, immortalando per sempre lo sgretolamento del mito americano e il fallimento del self-made man (l’uomo che si è fatto da solo), rappresentato da Jay Gatsby. La sua morte è infatti la metafora della capitolazione dei valori e degli ideali. Al contrario, è Daisy Buchanan, uno dei principali personaggi femminili del romanzo, l’incarnazione, insieme con il marito Tom, della nuova società, indifferente, superficiale e crudele: «Erano persone sconsiderate, Tom e Daisy: fracassavano cose ed esseri umani e poi si ritraevano nel loro denaro e nella vastità della loro sconsideratezza, o qualunque cosa fosse a tenerli insieme, e lasciavano che fossero gli altri a ripulire il sudiciume che avevano fatto» Ecco come li descrive l’autore in un celeberrimo passo del libro.

Il film, Premio Oscar del 2013, diretto da Baz Luhrmann, non è l’unico adattamento cinematografico del romanzo; la prima versione - purtroppo andata perduta - risale al 1926, solo un anno dopo la pubblicazione del libro (film muto diretto da Herbert Brenon), la seconda al 1949 (regia di Elliott Nugent) e la terza al 1974 (diretta da Jack Clayton, con la sceneggiatura di Francis Ford Coppola e l’interpretazione di Robert Redford e Mia Farrow). Ma il lavoro fatto dal regista australiano è, in una sola parola, spettacolare (d’altronde, non ci si poteva aspettare altro dal creatore di Romeo+Giulietta (1996) e di Moulin Rouge!, girato cinque anni dopo).

Leonardo Di Caprio nel ruolo di Jay Gatsby.

Già in queste due pellicole, Luhrmann era riuscito nell’impresa di rendere contemporanee due storie d’amore senza tempo e lo stesso ha fatto con il romanzo di Fitzgerald. Il suo stile è eccentrico, coinvolgente, estremamente pop e fumettistico; tutto è esagerato - miglior scenografia a Catherine Martin e Beverley Dunn -  le luci sono abbaglianti, le insegne luminosissime e onnipresenti, i vestiti appariscenti - migliori costumi a Catherine Martin - le macchine vistose e le feste organizzate dal protagonista, nella spasmodica speranza di rivedere la sua amata tra la folla, sono un tripudio di fuochi d’artificio, spettacoli pirotecnici e balli. È indubbiamente con questa premessa che ci si deve approcciare al film; non si tratta di una fedele e minuziosa ricostruzione storica, bensì di una trasposizione in chiave moderna delle sregolatezze di un altro secolo (per una rappresentazione impeccabile, sia visiva che musicale, degli anni ruggenti e della vita dello stesso Fitzgerald, si consiglia la visione della miniserie tv di Amazon Z: The Beginning of Everything).

La volontà di Baz Luhrmann di fondere le due anime del film, passato e presente, anche nella colonna sonora è evidente; la musica jazz è infatti intrisa di sonorità contemporanee. «Nell’approcciarmi a Gatsby volevo suscitare nel nostro pubblico lo stesso livello di eccitazione e immediatezza verso il mondo che Fitzgerald era riuscito a creare per il suo pubblico, così l’energia del jazz è stata tramutata in energico hip-hop», ha spiegato lo stesso regista. Questa fluidità tra jazz e hip hop è riscontrabile per l’intera pellicola, anche grazie all’alternarsi di brani "classici", composti da Craig Armstrong, con il quale Luhrmann aveva già collaborato per Moulin Rouge! e Romeo+Giulietta - la cui colonna sonora si aggiudicò il Golden Globe nel 2001 - e di vere e proprie hit pop composte dal produttore esecutivo, Jay-Z.

Il compositore britannico Craig Armstrong.

Così, il regista e il rapper statunitense, dopo una collaborazione di due anni, sono egregiamente riusciti a «tradurre la sensibilità jazz del romanzo di F. Scott Fitzgerald alle equivalenti musiche del nostro tempo, attraverso la fusione di hip-hop e jazz tradizionale». In effetti, questi due generi musicali, così apparentemente diversi, hanno in comune più di quanto si possa immaginare, essendo entrambi espressione di una cultura underground, inizialmente mal vista, con il passare degli anni, di grande successo. I frenetici festeggiamenti a casa di Gatsby sono accompagnati da due brani di electro/charleston composti da Will.I.Am e Fergie, Bang Bang e A Little Party Never Killed Nobody. Queste due hit si alternano a pennellate di musiche di George Gershwin, fino a lasciare il passo a Over the Love, malinconico brano di Florence+the Machine che culla lo spettatore, stremato dallo spettacolo visivo a cui ha appena assistito. Due brani di Jay-Z, No Church in the Wild e 100$ Bill, riecheggiano in club esclusivo e illegale, dove l’ispirazione della cultura black è palpabile. La cover di Jack White di Love is Blindness (U2), riecheggia nella magistrale rappresentazione della morte di Myrtle, l’amante di Tom Buchanan e quella di Beyoncé di Back to Black (Amy Winehouse) alternata a sonorità jazz è il simbolo perfetto del Gatsby di Luhrmann.

Craig Armstrong, definito dallo stesso regista “Maestro invisibile”, sa amalgamare alla perfezione i più spumeggianti brani hip-hop alle sonorità più classiche orchestrate con delicatezza. Pur nascendo come musicista classico, diplomandosi alla londinese Royal Academy of Music, si è dedicato ben presto all’elettronica, alle colonne sonore per il teatro e per il cinema, nonché a fortunate collaborazioni con artisti pop del calibro degli U2 e Madonna.

Già dai titoli di testa Luhrmann e Armstrong suggeriscono l’idea di fondo del film: la storia è stata concepita negli anni Venti del 1900, ma nella pellicola non viene raccontata come una vicenda d’altri tempi, anzi, come il presente; la genialità del regista sta proprio nell’aver intuito che, per permettere agli spettatori di apprezzare appieno il mondo descritto dalle parole di Fitzgerald, sarebbe stato necessario riportare in vita ciò che una volta era oltraggioso e avanguardistico, traducendolo in una lingua comprensibile agli spettatori moderni. Così, dalle prime note quasi stonate (grazie all’utilizzo di un effetto che rende il suono distorto come dai vecchi dischi letti dal grammofono scricchiolante) il suono diventa progressivamente più limpido, più pulito. Il tremolante bianco e nero lascia il posto al nero e oro, colori chiave di tutto il film. Armstrong già con la prima traccia Overture and Sanitarium coglie alla perfezione le melodie malinconiche dei primi anni del secolo scorso e con un’orchestrazione sempre più ricca arricchisce la melodia rendendola moderna, con un effetto che ricorda il lampeggiare della luce verde, «sembrava che allungasse la mano per afferrare qualcosa nel buio... la luce verde».

Questo sarà il tema ricorrente per tutto il film, che farà capolino ogni volta che il tema amoroso tra Jay Gatsby e Daisy Buchanan sarà in primo piano; il lampeggiare della luce verde verrà rimarcato in ogni singola scena, magistralmente montata e avrà una traccia a parte, Green Light appunto.

Un altro importante leitmotiv e love theme della colonna sonora è firmato da Lana del Rey, Young and Beautiful. Buchanan Mansion and Daisy Suite hanno sonorità tipicamente “disneyane”, riprese da Armstrong per sottolineare il “sogno” nel quale la famiglia Buchanan viveva, nient’altro che un’illusione e un’ostentazione, come si scoprirà alla fine del film. Queste atmosfere da favola sono il punto di forza del compositore, che porta lo spettatore a vivere nella bolla onirica di Gatsby.

In Hotel Sayre il malinconico brano di Lana del Rey viene ripreso, ma arricchito dalle capaci mani del compositore, che con note lunghe enunciate dagli archi, gioca tra i diversi piani sonori. Armstrong lavora sulle costanti modulazioni, sottolineando di volta in volta brevi temi che “scivolano” in altri. In Castle Went Dark l’autore coniuga strumenti elettronici a quelli acustici contribuendo a donare alla pellicola quell’unicità e quell’originalità che la contraddistingue; segue lo schema “verticalistico” della musica, inserendo nello scorrere del tempo orizzontale flash di strumenti che spariscono dando il cambio ad altri. L’ascolto che ne deriva è sempre grandioso, con note lunghe costanti e il tempo scandito metronomicamente dalle percussioni.

Baz Luhrmann ha dichiarato in un’intervista: «Spero che Fitzgerald sarebbe contento di quello che ho fatto»; la risposta, possiamo affermarlo senza poter essere smentiti, sarebbe quasi sicuramente sì.

Beatrice Bassi

The Great Gatsby

Anno: 2013

Regia: Baz Luhrmann

Musica: Craig Armstrong
Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia