In questa intervista, le quattro componenti del Quartetto Image spiegano i motivi e gli obiettivi che sono alla base del loro credo artistico, il cui risultato è confluito nel disco Flute Image di Donne, dedicato a compositrici e compositori passati e attuali dei cinque continenti
Maestro Beatrice Petrocchi, com’è nato il Quartetto Image, tenendo conto che si basa su quattro flauti, il che restringe inevitabilmente il campo del repertorio da interpretare, nel senso che si può fare affidamento su brani espressamente scritti su commissione, dedicati direttamente da compositori attuali o su trascrizioni da opere originali per altri strumenti?
Il Quartetto di Flauti Image (composto da me, Beatrice Petrocchi, Agnese Cingolani, Cecilia Troiani e Vilma Campitelli) è nato nel 2005 con l’intento di divulgare il vasto e poco conosciuto repertorio per formazione di quattro flauti. Il nome “Image” è stato scelto in occasione del nostro primo concerto dedicato interamente a Eugène Bozza, un compositore francese del XX secolo. Egli, particolarmente caro al mondo flautistico, attraverso il titolo di una sua famosa opera per flauto solo, Image appunto, ci ha suggerito l’idea di un’entità sonora unica e compatta ma poliedrica e capace di evocare infinite immagini ed emozioni.
Suonare insieme è stato da subito come se da anni avessimo già percorso tanta strada insieme. Unanimemente, abbiamo pensato di approfondire la ricerca di repertori nuovi ed insoliti dai cinque continenti. Nel corso degli anni abbiamo curato il rapporto tra di noi (è sempre e ancora un grande piacere per noi suonare insieme!) e il dialogo con i compositori e le compositrici approfondendo il loro stile, le loro innovazioni, le loro idee trasformate in musica. Il nostro progetto mira a ricercare, a stimolare, a creare, a divulgare, a diffondere il repertorio per quattro flauti a partire da quello per flauto solo. Abbracciamo un ampio periodo storico dal XVI al XXI secolo e utilizziamo tutta la famiglia del flauto traverso dall’ottavino al flauto basso. Dopo tanti anni di attività il nostro repertorio è molto vasto e variegato ed è composto anche da numerosissimi brani che compositori e compositrici hanno scritto espressamente per noi, dal repertorio classico originale per quartetto e da trascrizioni di repertorio per altre formazioni elaborate direttamente da noi come, ad esempio, il Quartetto per flauto e archi K285 di Mozart o il famoso Flower duet di Delibes dall’opera Lakmé e tanti altri.
Maestro Vilma Campitelli, il vostro lavoro interpretativo si basa quindi su un’indispensabile comunicazione con quei compositori che vi dedicano le loro opere o ai quali le commissionate. Sulla base dell’esperienza maturata, c’è una differenza nella sensibilità creativa tra compositori e compositrici? Voglio dire, esiste antropologicamente a vostro parere un modo diverso di approccio, di confronto, di discussione e di acquisizione della materia musicale tra uomo e donna?
Mi occupo della musica delle compositrici dal 1988 sia in campo esecutivo- interpretativo che in campo della ricerca. Ho alle spalle una lunga esperienza di esecuzioni di brani di compositori e di compositrici. La mia risposta è assolutamente sì nel senso che, a mio avviso, c’è una sostanziale differenza nella sensibilità creativa tra compositori e compositrici e la percepisco in maniera definita. In merito a tale argomento, in molte università specialmente americane e australiane, sono stati avviati studi specifici sull’estetica di genere. Ogni composizione musicale, sia di uomini che di donne rappresenta un linguaggio frutto di un percorso di studi, di pensiero e di appartenenza la cui esperienza ci riconduce all’estetica. Il nostro linguaggio musicale d’ascolto, nel 98 per cento dei casi, è legato a musica composta da soli uomini ed è come se noi, da quando siamo nati, ascoltassimo solo voci di uomini oppure leggere solo testi scritti da uomini. L’estetica della musica di genere non appartiene a uno stile particolare ma a una prospettiva che mette in discussione l’esperienza sensoriale.
Gli studiosi di estetica del passato, categorizzavano l’estetica di genere in due macro categorie: bellezza e sublimità. La bellezza veniva associata a quella femminile spesso col termine “delicato”, “dolce” invece la sublimità veniva associata a un concetto di “grande” e “maestoso” quindi legato al mondo maschile. La musica composta degli uomini, oggi è quella considerata senza indugi mentre la musica composta dalle donne ha bisogno sempre di chiarimenti. Non si tratta di costruire una storia di eroine ma pensare di costruire una società dove la musica venga ascoltata senza chiarimenti di genere.
Maestro Cecilia Troiani, come ha preso corpo il disco Flute Image di Donne? Quale brano presente in esso vi ha maggiormente coinvolto non solo a livello interpretativo, ma anche emotivo?
L’idea di un CD tutto nostro era nell’aria da molto tempo visto che in precedenza abbiamo collaborato in altre incisioni con importanti autori/autrici quali Teresa Procaccini, Gian Paolo Chiti, Paola Ciarlantini, etc. La scelta delle composizioni nel CD è stata molto difficile. Avevamo tanti brani da proporre ma abbiamo dovuto fare una selezione importante. Il principio è stato quello di rappresentare autori dai cinque continenti: Europa, Asia, Africa, America e Australia. Ogni brano traccia un territorio affettivo di cui sposa anima e interazione fra culture ed epoche diverse. Inoltre, l’anima del CD è essenzialmente femminile non solo perché le musiche sono composte prevalentemente da donne ma anche grazie alla presenza di altri lavori come la trascrizione del Concerto in re maggiore di Vivaldi e del brano Piæ Cantiones del XVI secolo sono rielaborate da due compositrici italiane. L’impegno verso la musica composta dalle donne è da anni una nostra missione. Siamo particolarmente impegnate a diffondere opere scritte da donne di tutto il mondo dando loro voce e conoscenza.
Nel CD Flute Image di donne il Quartetto racconta la storia del flauto di circa quattro secoli di musica in tutte le sue sfaccettature: monodico per le sue essenze incantatorie, omofonico e polifonico, scintillante e serio, gentile e volteggiante, in grado di esplorare e alternare i vari registri e di attraversare ogni confine: Italia, India, Nuova Zelanda, Nigeria, Giordania, USA, Argentina. Mi è quindi impossibile definire il brano che mi abbia coinvolto di più a livello emotivo, l’interpretazione di ciascuno è stata frutto di un lavoro sartoriale con le mie colleghe, in prova e in concerto, ogni composizione ha per me un valore profondo.
Maestro Agnese Cingolani, quanto può ancora esprimere, sotto l’aspetto dello sfruttamento timbrico, uno strumento come il flauto, se si tiene conto che all’interno del panorama della musica contemporanea è particolarmente utilizzato dai compositori attuali?
Il flauto è uno strumento che ha la sua importante presenza in tutte le civiltà dei popoli della terra ed è dotato di un potere magico che viene dalla stessa natura: parla, commuove, entusiasma in un linguaggio strettamente umano in un rapporto speciale con il divino. Ogni compositrice/compositore ha scritto per il flauto mantenendo in modo indissolubile il proprio linguaggio nel rispetto delle tradizioni e consuetudini. A partire dagli anni ’50/’60 c’è stata una vera e propria rivoluzione del far musica, destinata nel tempo a cambiare le pratiche compositive e interpretative e l’idea stessa di intendere linguaggio e “comportamenti” musicali ha avuto nel flauto uno dei suoi più importanti mezzi di diffusione. I compositori contemporanei utilizzano tantissimo tutta la famiglia del flauto (ottavino, flauto in do, flauto in sol flauto basso e contrabbasso), ma con un approccio diverso rispetto al mondo classico. Richiedono all’interprete una serie di scelte esecutive da effettuare al momento, rendendo unico e irripetibile il momento della performance dal vivo. Tuttavia il flauto è sempre un insuperabile strumento di attualità proprio per la sua natura ad imboccatura libera. Multiforme, eclettico, offre ai compositori una vasta gamma di possibilità timbriche di grande stimolo per produrre un linguaggio sicuramente variegato che conduce la nuova musica a superare i limiti del tempo.
Un’ultima domanda, avete già in mente il vostro prossimo progetto discografico?
Progetti per il futuro ne abbiamo tanti e tutti mirano ricercare, a stimolare, a creare, a divulgare, a diffondere il repertorio per quattro flauti a partire da quello per flauto solo. Ovviamente l’idea di un nuovo CD c’è, ma questa volta di brani inediti di un repertorio diverso da quello affrontato fino ad ora. Un repertorio dal sapore classico, ma frutto di ricerche presso biblioteche ed archivi. Vogliamo dare lustro a brani dimenticati con pagine ingiallite dal tempo.
Andrea Bedetti