Flautata. Così si dice di una voce melodiosa, suadente, musicale, dolce. Tutti aggettivi, questi, che riconducono inevitabilmente anche a tutto ciò che riguarda la sfera femminile. E anche lo stesso strumento musicale che incarna tale termine è per suono e timbro un qualcosa che convoglia la mente e le immagini che vi si possono affollare al mondo muliebre, alla sua delicatezza, alla sua sensibilità. Le medesime delicatezza e sensibilità che impregnano un interessante lavoro discografico, non recentissimo, che merita di essere conosciuto e ascoltato, con musiche per flauto composte in massima parte da musiciste ed eseguite dalle componenti dell’ensemble cameristico Quartetto di Flauti Image (per la precisione, Beatrice Petrocchi e Agnese Cingolani al primo e secondo flauto, Cecilia Troiani al flauto in sol e Vilma Campitelli al flauto basso, leggi qui la loro intervista).
Questo disco s’intitola Flute Image di Donne, pubblicato dalla casa discografica Luna Rossa Classic, e presenta dieci brani di undici compositori, esattamente tre uomini e otto donne; si parte con il celebre Concerto in re maggiore RV93 di Vivaldi trascritto per due flauti in do, flauto in sol e flauto basso da Angela Montemurro, si continua con Gaudete, per la stessa formazione flautistica, di Enrica Sciandrone, We Remember for four flutes della musicista nigeriana Edewede Oriwoh, Moment of the East per flauto solo della georgiana naturalizzata giordana Agnes Bashir-Dzodtsoeva, In the morning per due flauti e mridangam del musicista indiano Tomy Plathottam e di Francesca Virgili, Shadow’s Pipe per flauto contralto della compositrice americana Lynn Job, Jasmine Flower per due flauti, flauto contralto e flauto basso del neozelandese James Ross Carey, Porteña Soledad e Valsecito Bailador dell’argentina Silvina Ethel Shifman e, infine, Fo(u)r Flutes op. 239 per due flauti in do, flauto in sol e flauto basso di Teresa Procaccini.
Un programma, come si può constatare, che vanta intrecci che vanno dal Barocco fino al contemporaneo, passando attraverso musiche di estrazione etnica, con un denominatore comune, quello per cui la varie composizioni, anche quelle che vedono protagonisti dei musicisti uomini, vantano riadattamenti o interventi diretti, oltre la stessa esecuzione, da artiste donne. Un album squisitamente al femminile, dunque, votato ad esaltare uno strumento altrettanto femminile come il flauto nelle sue varianti timbriche ed espressive, un omaggio alla musica tinta di rosa. E che la musica si possa tingere di questo colore, assumendo una soave e delicata espressione, lo si comprende subito da come la compositrice barese Angela Montemurro (1949) ha saputo trascrivere per quattro flauti il concerto vivaldiano, composto originariamente per liuto, due violini e basso continuo. Qui, la cifra stilistica è data da come la musicista è stata in grado di estrapolare dalla partitura originale, attraverso il timbro dei quattro strumenti a fiato, l’“animo femminile” della pagina del “prete rosso”; ciò avviene mediante un perfetto equilibrio nella resa data dai due flauti in do che incarnano il liuto originario e dai due flauti più gravi, che prendono il posto dei violini e del basso continuo. E se la paletta si raggruma, si rende essenziale nel suo svolgimento, questo non significa che il risultato ne perda, anzi, viene fissato con un dettaglio che esalta la linea melodica della composizione.
Enrica Sciandrone, maggiormente conosciuta per le composizioni di colonne sonore per il cinema, è l’autrice di Gaudete, un suo arrangiamento tratto dalle Piæ Cantiones (e non Piae Cantores, com’è riportato nel booklet), una collezione di settantaquattro inni latini medievali provenienti da varie parti d’Europa (soprattutto dalla Finlandia e dal centro-Europa), compilata da Jacobus Finno e pubblicata nel 1582 a Greifswald; il Gaudete è un inno natalizio e la compositrice italiana, nata nel 1981, lo ha trasformato, dedicandolo all’ensemble in questione, in un brano in cui traspare un’indubbia intimità timbrica, una delicata riflessione introspettiva che si evolve in un’espressione di schietta e genuina gioia capace di volgere lo sguardo verso l’alto, per poi riflettersi ancora in una connotazione danzante più introspettiva.
Altrettanto interessante il brano della nigeriana Edewede Oriwoh (1981), musicista dedita a diversi stili compositivi che vanno dalla classica alla liturgica, passando per il pop. Il suo brano We Remember per quattro flauti è stato scritto nel 2019 espressamente per il Quartetto Image, dedicandolo alle «recenti vittime nel Benue, nel Plateau e nel Zamfara, oltre a quelle di cittadini stranieri avvenute in Sudafrica nel 2019». Il pezzo è contrassegnato da un continuo dialogo tra i quattro strumenti a fiato (simbolo di una possibile comunicazione pacifica tra gli uomini) e il suo andamento agogico varia tra la sospensione e la concitazione, tra un pensiero che rimanda alla gestualità e alla riflessione di ciò che dev’essere e non dev’essere fatto.
Forse il brano meno convincente, rispetto al resto del programma, è quello della georgiana naturalizzata giordana Agnes Bashir-Dzodtsoeva (non Dwodtsoeva, come riportato nelle note di accompagnamento) (1949), il cui andamento melodico in Moment of the East, suddiviso nei tempi Allegretto e Dolce, verte su un prevedibile senso melodico di estrazione araba e il cui interesse è dato dalle alte connotazioni tecniche che richiede. Più o meno sulla medesima falsariga è In the morning di Tomy Plathottam (1960) e di Francesca Virgili (1968), i quali da diverso tempo collaborano nella stesura di partiture; qui, oltre a due flauti, interviene anche il mridangam, uno strumento percussivo indiano, suonato da M. S. Venu Puliannoor. Si tratta fondamentalmente di un raga intessuto anche di aspetti legati alla musica occidentale; un pezzo contemplativo, chiaramente introspettivo, in cui il dialogo tra i due flauti viene arricchito dal senso ritmico dato dal tamburo indiano.
La compositrice statunitense Lynn Job (1959) è indubbiamente una personalità eclettica, visto che oltre a scrivere di musica per il genere elettronico e per quello dell’ambient music, è anche poetessa, editrice e studiosa. Il suo Shadow’s Pipe per flauto contralto rappresenta una libera trascrizione del brano originale composto nel 2002 Bamboo Skies (canto n. 2), che fa parte del ciclo Systole per soprano e pianoforte. Durante un periodo di permanenza a Taiwan, la musicista americana è rimasta affascinata dagli scenari naturalistici dell’isola orientale, con le sue montagne e le sterminate distese di canne di bambù, e proprio a queste ultime ha voluto rifarsi nel suo brano, costruito su una scala pentatonica; tale peculiarità permette al costrutto del pezzo di rendere l’idea del vento che fa ondeggiare le canne su un tappeto melodico che si richiama alla tipica tradizione di stampo orientale.
Evidentemente, il fascino orientale soggioga una buona parte dei musicisti attuali, soprattutto di cultura anglosassone, visto che anche il neozelandese Ross James Carey (1969), dedicando il suo Jasmine Flower per due flauti, flauto contralto e flauto basso al Quartetto Image, ha voluto rendere omaggio alla musica tradizionale cinese con un brano che fa parte del bagaglio culturale dell’Estremo oriente e famoso anche in Occidente, visto che Giacomo Puccini lo incluse nella sua Turandot. Quintessenza della delicatezza vellutata che richiama proprio l’idea di un fiore che sboccia, tutto il pezzo si basa sullo struggente dialogo tra i quattro strumenti che si confrontano anche sul piano tecnico.
L’argentina Silvina Ethel Shifman (1973) basa il suo stile compositivo sulla ricerca di un equilibrio tra dimensione classica e ricerca dello sfruttamento timbrico degli strumenti, come nel caso dei due brani qui presentati e che fanno parte della suite Locos Aires. Non si lasci ingannare dalla struttura melodica che innerva soprattutto Porteña Soledad, in quanto l’uso del trattamento dei flauti porta la melodia a ispessirsi in una struttura di tenue ricerca espressiva, mentre la giocosità di Valsecito Bailador rimarca maggiormente lo sfruttamento tecnico degli strumenti con il valzer che assume a tratti quasi un’immagine allucinata.
Però, se proprio devo essere sincero, il brano che fa la differenza, anche per via della caratura dell’artista, è quello di Teresa Procaccini (1934), una delle maggiori compositrici del panorama attuale della musica contemporanea nostrana. Fo(u)r Flutes nel titolo incarna perfettamente l’idea di un brano la cui caratura viene equamente espressa dalla capacità della musicista di dare vita a un suono ideale per la timbrica dei flauti e, allo stesso tempo, che questo suono può articolarsi al meglio attraverso l’apporto timbrico dato proprio da quattro flauti. Un lavoro di ricerca che, però, non è appannaggio della sola tecnica (esemplare) plasmata da Teresa Procaccini, ma anche espressiva (l’ascolto del secondo tempo, Adagio, è sintomatico a tale riguardo), in quanto l’esplorazione tecnica non è mai svincolata dalla dimensione di immagini del tutto autonome, incorniciate ottimamente dalla resa dei quattro strumenti, tenuto conto che si tratta di una trascrizione fatta dalla partitura originale, dedicata a quattro sassofoni. Anche in questo caso, si tratta di un’opera, quella trascrittiva, dedicata al Quartetto Image.
Va da sé che questa registrazione discografica rappresenta un abito fatto su misura delle quattro componenti del Quartetto Image, ma è altrettanto vero che le nostre interpreti dimostrano di essere delle flautiste di prim’ordine; al di là dei numerosi scogli tecnici dei quali sono infarcite le composizioni prese in esame, la loro capacità espressiva è a dir poco indiscutibile. Una capacità che le quattro interpreti dimostrano di saper plasmare nelle varie anime presenti in questo disco, e ciò avviene attraverso un livello di assoluta espressività, nel saper restituire degnamente quel colore rosa di cui si è scritto all’inizio, oltre a sapersi districare senza problemi nelle tessiture più impervie (e qui, una nota di particolare merito va a Cecilia Troiani e, soprattutto, a Vilma Campitelli, tenuto conto che i loro strumenti sono tecnicamente alquanto ostici).
Anche la presa del suono, effettuata da Luigi Cariddi, è da apprezzare; la dinamica e la microdinamica sono allo stesso tempo corpose, energiche e veloci, in modo da restituire adeguatamente anche le minime sfumature timbriche degli strumenti. Il palcoscenico sonoro, poi, ricostruisce correttamente nello spazio fisico le quattro interpreti, senza sbavature o imprecisioni negli scontorni (questo grazie a un dettaglio oltremodo materico). Infine, l’equilibrio tonale rispetta pienamente (ciò si nota soprattutto quando sono impegnati i quattro flauti) i registri medio-acuto e medio-grave, permettendo di apprezzare meglio il livello di interpretazione del Quartetto Image.
Andrea Bedetti
AA.VV. – Flute Image di Donne
Quartetto di flauti Image
CD Luna Rossa Classic LRR 276
Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4/5