In un certo senso la predizione che fece Rimskij-Korsakov nei confronti del suo ex allievo Antonij Arenskij, «Presto ci si dimenticherà di lui», si è avverata, poiché il mondo musicale e i suoi appassionati non masticano di certo spesso e volentieri le opere del musicista di Novgorod. Ma qui non c’entra la predizione del suo maestro, dietro la quale si celava il livore e la delusione causati dal fatto che Arenskij, dopo aver assimilato gli insegnamenti di Rimskij-Korsakov ed essere cresciuto con le sue opere, decise di voltargli le spalle per aderire completamente alla visione artistica di Čajkovskij, divenendone un epigono. Piuttosto, le cause che hanno portato a tenere il nome del musicista russo e il suo catalogo ai margini dei programmi delle sale concertistiche e delle case discografiche risiedono nel fatto che la musica di questo autore rientra in quel magma russo di fin de siècle (Arenskij nacque nel 1861 e morì a soli quarantaquattro anni nel 1906 a causa della tubercolosi) in cui le nuove generazioni di compositori si trovarono impregnati, con da una parte il pesante fardello lasciato dallo stesso Čajkovskij, attraverso una musica intrisa di istanze “occidentaliste”, soprattutto francese e in parte tedesca, e con dall’altra il desiderio di proseguire sul sentiero della tradizione russa, sulla quale aveva virato risolutamente il manifesto programmatico del Gruppo dei Cinque (ossia Milij Balakirev, Cezar’ Kjui, Modest Musorgskij, lo stesso Nikolaj Rimskij-Korsakov e Aleksandr Borodin), e che aveva visto conseguentemente nella musica čajkovskijana il nemico dichiarato da combattere e da estirpare.
Anche Arenskij, sotto questo punto di vista, fu vittima di questo dilemma e nella sua musica si avverte questa tensione compositiva, questo sbilanciamento che da un lato lo porta a esprimere una raffinata armonia, frutto di quella lezione che aveva spinto Čajkovskij a volgere lo sguardo e il pentagramma verso Occidente, dall’altro il desiderio di fare affiorare nelle sue composizioni una linea melodica che andasse nella direzione indicata dal Gruppo dei Cinque, in particolar modo dal suo ex maestro.
Spirito inquieto e tormentato, sempre Rimskij-Korsakov, con sottile perfidia, all’indomani della sua morte, affermò che il bere e il gioco d’azzardo gli avevano considerevolmente abbreviato la vita, Arenskij trasmise come insegnante (fu docente di composizione al Conservatorio di Mosca, prima di ritirarsi in pensione per via del suo male) ai suoi allievi (tra gli altri Rachmaninov, Skrjabin e Grečaninov) questa dicotomia creativa, questo sbilanciamento ondivago tra una forma aggraziata e raffinata, già pulsante di quelle innovazioni date dalla scuola francese (più Fauré che Debussy), e dall’uso di temi e influssi di stampo popolare, tra una visione dopotutto “salottiera” e una verve che risentiva del folklore e dell’animo russi.
Si può quindi evincere tale dualismo anche nei due Trii per pianoforte (il primo in re minore op. 32 e il secondo in fa minore op. 73) che recentemente il giovane Trio Carducci (formato da Germana Porcu al violino, Matilda Colliard al violoncello e Sara Costa al pianoforte, anche se nel frattempo Lorenzo Tranquillini ha preso il posto di Germana Porcu come violinista) ha registrato per la Brilliant Classics. Due opere che risentono indubbiamente di questa concezione double-face che intrise la volontà compositiva del musicista russo, con il primo Trio, che risale al 1894, ossia durante il periodo di insegnamento, votato a un impianto armonico disteso (soprattutto nei primi due tempi), pullulante di richiami romantici resi dinamicamente dal pianoforte e appassionatamente dai due strumenti ad arco, e con il secondo Trio, scritto appena un anno prima della morte di Arenskij, che al contrario si lascia ormai alle spalle la dimensione “salottiera”, brillante, per aderire a una visione inevitabilmente più matura, votata a una profondità che in alcuni tratti sfocia in un affacciarsi su un abisso malinconico e meditativo (la Romance), in cui le nervature tardoromantiche vengono sostituite da ripiegamenti squisitamente decadentisti.
Nonostante la giovane età, le tre componenti del Trio Carducci sono protagoniste di una lettura matura e a dir poco convincente di questi due Trii, in quanto riescono a far emergere e a trasmettere le insite peculiarità che li contraddistinguono. Peculiarità che si evidenziano prima di tutto a livello timbrico, in quanto è con una corretta trasmissione dell’entità sonora che il pianoforte di Sara Costa riesce a comunicare le pulsioni dominanti che animano queste due pagine, così come gli strumenti ad arco di Germana Porcu e di Matilda Colliard rendono la tessitura dell’eloquio melodico, scandendo con precisione da una parte le sottili frivolezze fin de siècle (lo Scherzo del primo Trio), dall’altro le inquietudini che emergono dalle pieghe di una velata tristezza e che sembrano anticipare la fine imminente (Allegro moderato del secondo Trio). Al di là della chiara impronta interpretativa, le tre musiciste riescono anche a trasmettere benissimo le atmosfere che questi brani emanano, rendendo oltremodo manifesti i loro intenti programmatici, se così si può dire. Una lucidità che però non smorza, non avvilisce o peggio atrofizza la portata espressiva, la caratura dell’eloquio, e questo vale soprattutto nel secondo Trio, in cui le ombre convivono placidamente, quasi con rassegnazione, con gli ultimi bagliori di un chiarore destinato ad affievolirsi e ad estinguersi a poco a poco, come le ultime note del Tema con variazione, che chiude questa notevolissima pagina.
La presa del suono curata da Stefano Ligoratti permette di cogliere assai bene il suono dei tre strumenti, ricostruiti correttamente all’interno dello spazio sonoro (con il pianoforte leggermente arretrato rispetto al violino e al violoncello); la dinamica è eccellente, sufficientemente corposa e ricca di energia per restituire il timbro (anche grazie a un equilibrio tonale che non è mai esuberante nei registri gravi ed acuti). Ottimo anche il dettaglio, materico, fisico, preciso.
Andrea Bedetti
Anton Arensky – Piano Trios
Trio Carducci
CD Brilliant Classics 95636
Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4/5