Come nasce il concetto di interpretazione nella prassi storica musicale? Come avviene la fase di passaggio tra il semplice eseguire un brano sonoro e la sua reale interpretazione? Sono in molti a credere che tale fase di passaggio coincida con l’epopea romantica; in realtà, ciò avviene assai prima, in un momento che coincide con il progressivo affermarsi della musica strumentale rispetto a quella vocale. Quindi, grossomodo, nel passaggio tra il Cinquecento e il Seicento, allorquando si comincia a concepire l’idea che la composizione strumentale non debba più avere l’obiettivo di imitare semplicemente la voce umana, ma mirare a una maggiore autonomia stilistica ed espressiva. Una fase delicatissima, dunque, in cui comincia a farsi strada quell’ambito che il futuro pensiero filosofico andrà a definire con il termine di ermeneutica e che nel passaggio tra XVI e XVII secolo viene invece concepito ancora nella sfera del cosiddetto gusto, ossia un qualcosa che può provocare primariamente piacere e non mero significato.
Ebbene, soddisfare la sfera del piacere uditivo pose la musica di quel tempo, soprattutto quella di ambito strumentale, di fronte a nuovi orizzonti compositivi, capaci di non essere più soltanto “funzionali”, ma in grado di elaborare e suscitare effetti “gradevoli” (con questo non possiamo ancora parlare di un qualcosa ancorato al concetto del “bello”, ma suscettibile nel promuovere semmai degli “affetti”, ossia provocare emozioni). E tra coloro che fecero sì che ciò avvenisse, facendo i debiti nomi e cognomi, ci furono due sommi geni musicali, la cui importanza è stata a dir poco ineludibile: Claudio Monteverdi, che si concentrò quasi esclusivamente nel repertorio della musica vocale, e Girolamo Frescobaldi, cultore della musica strumentale.
Restando nel campo di quest’ultimo genere, c’è veramente da chiedersi che cosa sarebbe stato della musica strumentale, delle sue conquiste armoniche e melodiche, dello sviluppo delle forme e dei generi, se non ci fosse stato il grande artista ferrarese, allievo di Luzzasco Luzzaschi. Quindi, ogni volta che abbiamo modo di ascoltare la musica frescobaldiana, dobbiamo sempre renderci conto che le sue composizioni hanno un valore immenso non solo in sé, ma anche in funzione di tutto ciò che è venuto dopo. Un concetto, questo, che è stato giustamente rimarcato dall’organista Ivana Valotti nelle note che accompagnano la sua recentissima registrazione, avvenuta per la Da Vinci Classics, in cui ha presentato undici Toccate e la versione per intavolatura del madrigale Ancidetemi pur scritto da Jacob Arcadelt, facenti parte di quella straordinaria raccolta rappresentata dal Secondo libro di Toccate, Canzone, Versi d’Hinni, Magnificat, Gagliarde, Correnti et altre Partite d’Intavolatura di Cimbalo et Organo, stampata a Roma da Nicolò Borbone nel 1627.
Ivana Valotti, dall’alto del suo magistero (dal 1990 è docente di organo e composizione organistica al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano), ricorda puntualmente nel booklet alcuni aspetti che si ricollegano a quanto si è precedentemente affermato, relativamente a quella nuova scrittura strumentale in Frescobaldi che impone necessariamente, da quel momento, l’apporto di un corretto e sensibile approccio interpretativo. Questo “nuovo modo di suonare”, tale da obbligare una nuova e rivoluzionaria prassi esecutiva, è già riassunto nella prefazione che lo stesso Frescobaldi appose alla prima edizione del suo Primo libro di Toccate e Partite d’Intavolatura di Cimbalo, stampato a Roma, sempre da Borbone, nel 1615, e viene fissato soprattutto dal seguente passaggio, che la dice tutta sul nuovo sentiero interpretativo da intraprendere: «[…], In primo luogo, che questo modo di suonare non deve rimanere soggetto ad un tempo, come vediamo praticato nei moderni Madrigali, i quali, benché difficili, sono facilitati mediante il tempo prendendolo ora languido, ora veloce, e perfino sospendendolo nell’aria, secondo i propri “affetti” o il senso delle parole».
Con queste parole che cosa ci vuol comunicare il sommo ferrarese? Che il nuovo stile da lui proposto presuppone un ben altro modo di essere reso e rappresentato attraverso gli strumenti, un modo che si lascia inevitabilmente alle spalle quel tipo di esecuzione che aveva contraddistinto la musica fino a quel momento e che potremmo definire, in termini moderni, esclusivamente “metronomico”, anteponendo invece un qualcosa che va a coinvolgere in prima persona l’esecutore stesso, che non può più incarnare un medium oggettivo nella trasmutazione dal segno al suono, ma divenire un transfert soggettivo in grado di aggiungere, di sovrastrutturare il messaggio musicale con la propria sensibilità, ossia evidenziando un tempo sonoro che cela in sé un tempo umano, fatto di emozioni, di sentimenti, di immagini, di sensazioni, e facendo sì che la spazialità tridimensionale del suono possa prendere atto dell’esistenza di un tempo esteriore/interiore capace di inglobare il tutto. Con queste parole, Frescobaldi dà inizio a un sentiero che porterà fino al Parsifal di Wagner, nella celebre affermazione che Gurnemanz proferisce nel primo atto all’eroe, Du siehst, mein Sohn, zum Raum wird hier die Zeit/Tu vedi, figlio mio, spazio qui diventa il tempo.
Allo stesso tempo, però, e Ivana Valotti fa bene a puntualizzarlo, è anche vero che questo nuovo stile proposto da Frescobaldi, basato su leggi armoniche meno vincolanti rispetto al risultato melodico, è figlio diretto di quella “seconda prattica” monteverdiana la cui formulazione avvenne a favore della musica vocale, frutto di conquiste miranti ad esaltare il contenuto espressivo del verso poetico utilizzato in musica. Ma ciò che poteva essere fissato grazie al potere semantico della parola, lo stesso non poteva avvenire nel puro suono strumentale, la cui efficacia espressiva non si basa sull’immagine fornita dal testo ma, a quel punto, dal “virtuosismo” manifestato dall’esecutore (dove per virtuosismo, ovviamente, non si deve intendere la capacità squisitamente tecnica, pirotecnica, data poi dal Romanticismo, ma nel termine originale stesso, vale a dire la “virtù” interpretativa, che si concretizza nella purezza espressiva del gesto musicale che “cerca” nel suono e non nel “deformarlo” o “sovraccaricarlo”, per ottenere risultati esecutivi del tutto artificiosi). Per Frescobaldi, l’interpretazione sonora deve meravigliare, ma senza dare adito a un qualcosa che nella musica stessa non è presente (un meravigliare che deve essere ottenuto anche attraverso l’arte dell’improvvisazione, della quale il sommo ferrarese fu altrettanto maestro assoluto, che non deve stupire in quanto atto “tecnico”, ma solo mediante la capacità di provocare sensazioni ed emozioni nell’ascoltatore, nel miracolo e nel mistero di quel passaggio subitaneo tra esecutore ed ascoltatore, in cui l’elemento virtuosistico assume una valenza ancora più pura e disincantata). Ecco cosa intendeva Frescobaldi, quando si riferiva al “sonar con affetto”! Solo in questo modo, la sua straordinaria tecnica compositiva, basata, come ricorda ancora Ivana Valotti, su una «fantastica creatività, sull’intensità melodica, sull’incessante gioco di contrasti, sulla mutevolezza delle figurazioni lessicali e dei procedimenti cromatici, sulla sua stupefacente fantasia ritmica, sul raffinato ricamo ornamentale che circonda i suoi passaggi accordali, sulla sua costante tendenza al libero contrappunto e sulla sua inquieta audacia armonica», avrebbe potuto essere “decodificata” a livello di ascolto.
Tutte queste peculiarità stilistiche si ritrovano soprattutto nel genere della Toccata, che appunto in questa registrazione fa la parte del leone, con le undici Toccate e il madrigale Ancidetemi pur d’Arcadelt, tutte appartenenti al celeberrimo Secondo Libro risalente al 1627.
Nel sommo compositore ferrarese, quello della Toccata non solo rappresenta un mondo a sé, ma addirittura ogni singolo pezzo dev’essere affrontato attraverso quelle che sono le sue basi strutturali, che risultano essere sempre autonome, fissate solo per quella determinata pagina; non può quindi esistere un approccio generale, ma sempre particolare, perfettamente modellato sull’effetto espressivo di un’immagine semantica (se fossimo di fronte a una composizione monteverdiana, parleremmo di un costrutto poetico) il cui scopo è appunto quello di suscitare emozioni e sensazioni nell’ascoltatore.
Tuttavia, questo approccio individuale non impedisce a Frescobaldi di dare alla sua opera un senso di coerenza e unità, perfino in una raccolta come il Secondo Libro in questione che, a differenza del Primo, non vede la presenza delle canoniche dodici Toccate, bensì una in meno, visto che al posto della dodicesima Frescobaldi inserì la sua intavolatura del madrigale Ancidetemi pur, grievi martiri di Jacob Arcadelt, da considerare come ideale coronamento delle undici Toccate che la precedono (non si dimentichi che Frescobaldi fu sempre affascinato dalla pratica musicale del madrigale, in quanto il suo stile improvvisativo, esaltazione di uno stato emotivo in continua mutazione, si identificava perfettamente con quello strumentale della Toccata). Quindi, un valore aggiunto in questa registrazione è dato dal fatto che, oltre al brano su intavolatura frescobaldiano, è stata inserita anche la versione originale del madrigale a quattro voci, eseguito dall’ensemble Nova Ars Cantandi.
La maggior parte delle interpretazioni del Secondo Libro si concentra, a livello tastieristico, sul clavicembalo, ma Ivana Valotti ha voluto eseguire parte del medesimo attraverso l’ausilio di uno straordinario organo, quello costruito da Graziadio Antegnati nel 1565, collocato, in cornu epistolae, nella basilica palatina di Santa Barbara a Mantova, il quale è in grado di enfatizzare ed esaltare le peculiarità di queste Toccate, proprio per ciò che riguarda la ricerca di quella carica emotiva che le contraddistingue. Se l’obiettivo di tale scelta era basato su questa prospettiva di promuovere gli “affetti”, per dirla con il sommo ferrarese, allora il risultato è stato veramente all’altezza. L’organo in generale, e quello Antegnati in particolare, hanno il merito e la prerogativa di manifestare un suono la cui profondità, altezza e ampiezza riescono a indagare, a esplorare la pletora di sfumature timbriche di cui è intrisa la filosofia compositiva frescobaldiana.
Certo, ma, al di là dello strumento, conta anche e soprattutto l’interprete e qui Ivana Valotti con la sua lettura riesce a immergere l’ascoltatore in un universo sonoro che è semplicemente ideale; un’idealità che ha una precisa valenza: la capacità di estrapolare dall’organo di Antegnati una tavolozza fatta di segmenti melodici, passaggi virtuosistici, repentini cambi di registro armonico (sotto tale aspetto lo strumento in questione è realmente straordinario), rivoluzionari cromatismi (ricordiamoci che stiamo parlando di una composizione che risale ai primissimi decenni del XVII secolo!), riuscendo sempre a dare luogo a un sottilissimo equilibrio in cui quanto richiesto dalla scrittura è stato poi tramutato dalla brillantezza del suono ottenuto, variando di volta in volta, e qui sta la sensibilità del vero “interprete”, che cessa di essere solo mero “esecutore”, la prospettiva agogica di una musica che nella sua continuità dev’essere mutata sottilmente per dare luogo al processo affettivo.
Anche chi non ha ancora ascoltato questa registrazione, ma conosce la portata timbrica di un grande organo, unitamente alle peculiarità della stile compositivo frescobaldiano, si potrà quindi rendere conto, o quantomeno immaginare, la pletora di sonorità che una simile lettura riesce a offrire, a cominciare da quella dimensione realmente tridimensionale capace di avvolgere l’ascoltatore e di farlo calare in una marea montante di sensazioni, di emozioni, di visioni, permettendogli di cogliere, a livello storico, quella straordinaria fase di passaggio che collega il tramonto del Rinascimento musicale con l’instaurarsi dell’avventura barocca, la quale riuscirà a compiere un autentico miracolo, vale a dire permettere alla logica umanistica di tramutarsi in un sogno sorretto dall’impalcatura della razionalità espressiva.
Jean-Marie Quint si è occupato della presa del suono, la quale, sostanzialmente, è di buona fattura. La dinamica risulta essere rocciosa e delicata alla stesso tempo, pugno di ferro in guanto di velluto, con una più che accettabile velocità nei transienti. Il parametro del palcoscenico sonoro è l’unico a presentare un minimo difetto, nel senso che (e non è la prima volta che accade con l’organo della basilica palatina mantovana), sebbene lo strumento si trovi a un’apprezzabile profondità nello spazio fisico dell’evento sonoro, risulta essere leggermente “intubato”, senza manifestare un’ampiezza tale da irradiarsi al di là dei diffusori, mentre l’altezza sonora è sicuramente di maggiore efficacia. Ottimi sia l’equilibrio tonale, sia il dettaglio, con il primo che riesce a preservare la messa a fuoco e la delicata fase del mutamento, anche repentino, dei registri, con un’indubbia pulizia e scontorno, mentre il secondo restituisce appieno il senso epidermico di una piacevolissima matericità.
Andrea Bedetti
Girolamo Frescobaldi – 11 Toccatas-Madrigale “Ancidetemi pur” (from Libro Secondo, Roma, 1627)
Ivana Valotti (organo)
CD Da Vinci Classics C00754