Elena De Simone, un mezzosoprano che ama la ricerca

Abbiamo intervistato la cantante veneta, che ha registrato per la Tactus due CD con arie operistiche del compositore sassone e della musicista milanese, la quale oltre a essere una delle attuali voci più interessanti del repertorio barocco, porta avanti un rigoroso studio filologico mai disgiunto dalla sua espressività artistica

Maestro Elena De Simone, la sua scelta di registrare per la Tactus dapprima un CD con dieci arie di Johann Adolf Hasse e poi un disco con delle arie di Maria Teresa Agnesi dedicate a Maria Antonia di Baviera, fa capire come dietro al desiderio della cantante, dell’artista vi sia anche un sottile filo di ordine musicologico, tenuto conto che il musicista sassone e l’autrice italiana non sono certo conosciuti dal grande pubblico.

Certamente sì! Il mio intento nel registrare queste arie è quello di far conoscere al pubblico il loro valore artistico, ma anche una parte di storia ingiustamente dimenticata. L’idea che oggi si ha della musica del XVIII secolo è ancora parziale, ciò credo sia dovuto a diversi fattori, il principale dei quali probabilmente è che molta di questa musica era concepita per l’ambiente di corte. Dopo la Rivoluzione Francese e la crescente ascesa della borghesia, opere concepite per l’ambiente di corte non furono semplicemente considerate obsolete, ma anche contrarie ai nuovi valori della classe emergente. È evidente, dunque, che moltissime opere finirono nel dimenticatoio e vennero tacciate di poco o inesistente valore artistico. Fortunatamente oggi si assiste a un lavoro di ricerca che tende a far riemergere questa musica e a farla rivivere (perché in fondo un qualche valore artistico sembra averlo) ed io sono ben felice di poter dare il mio contributo. Spero che l’Italia possa diventare uno dei primi Paesi a portare avanti questo tipo di ricerca dal momento che numerosissimi compositori del ‘700 erano italiani e che il loro modo di comporre ha influenzato quello dei musicisti di tutta Europa.

Il mezzosoprano veneto Elena De Simone.

Il fascino emanato da un musicista come Hasse risiede anche nel fatto che fu egli stesso un ottimo cantante, con una notevole voce tenorile, come testimoniato dai contemporanei, a partire da Johann Mattheson, oltre ad essere stato un grandissimo viaggiatore, capace di lavorare in Italia, Germania, Inghilterra, Austria, acquisendo quindi una cultura musicale, e non solo, assai rara rispetto all’epoca in cui visse. Per ciò che ci riguarda, la scelta delle dieci arie che ha voluto presentare nella sua registrazione, la maggior parte delle quali si basano su versi di Metastasio, privilegiano un altissimo livello di melodiosità, tipica caratura del Barocco italiano. E qui torniamo alle influenze che Hasse acquisì nel corso dei suoi periodi trascorsi in Italia, e non mi riferisco solo alla scuola veneziana, ma anche ad Alessandro Scarlatti, di cui fu per un breve periodo allievo. Quanto sono debitrici le arie che ha registrato alla Scuola veneziana e a quella napoletana, incarnata proprio da Scarlatti?

Sicuramente Hasse è debitore sia della Scuola Veneziana, sia della Scuola Napoletana. Il “Caro Sassone” studia a Napoli con diversi maestri, tra i quali Alessandro Scarlatti, e a Venezia diventa Maestro di Cappella al Conservatorio degli Incurabili. L’influenza di Alessandro Scarlatti si evince dal modo in cui Hasse privilegia la parte vocale, dando agli strumenti un accorto ruolo di accompagnamento, ma non di “copertura” della voce. Sappiamo infatti che Alessandro Scarlatti, oltre ad essere un grandissimo insegnante di composizione, fu un ottimo maestro di canto e il suo enorme merito fu quello di creare la struttura delle arie che oggi noi conosciamo come “arie barocche”. Questa struttura “A-B-A'” viene utilizzata da quasi tutti i compositori del ‘700, diventa struttura d’elezione per la scrittura delle arie dell’opera seria e Hasse non ne fa eccezione.

Ritratto di Johann Adolf Hasse.

Non dobbiamo dimenticare, però, l’importanza in queste arie data dall’estrema musicalità rappresentata dai versi del Metastasio, una musicalità che fu riconosciuta anche da Mozart, come nel caso in “Parto, ma tu ben mio” e “Deh se piacer mi vuoi”, che le musicò ne La clemenza di Tito.

Certamente, Metastasio scrisse innumerevoli libretti d’opera, musicati da altrettanti compositori. La sua abilità, la sua musicalità nello scrivere versi e la sua operosità, lo fecero diventare il più importante riferimento letterario per l’opera seria settecentesca.

Nel CD dedicato a Hasse ho voluto inserire le due arie “Parto, ma tu ben mio" e “Deh, se piacer mi vuoi" proprio per l’estremo interesse che queste hanno rispetto alla versione musicata da Mozart. La cosa che mi ha colpito è stata la similarità nell’uso delle voci, sia Hasse che Mozart scelgono per i ruoli di Sesto e Vitellia delle voci gravi e pastose. Ciò mi ha fatto pensare che evidentemente esisteva un certo criterio drammaturgico per il quale, al peso di un determinato personaggio, doveva corrispondere un certo timbro vocale e che questo timbro veniva riproposto nelle varie versioni   musicali delle opere scritte da Metastasio. L’aria “Parto, ma tu ben mio”, inoltre, mantiene in entrambe le versioni l’uso dell’intervallo di quinta discendente per la linea vocale all’inizio del brano per la parola “Parto”, con la differenza che Hasse non fa ripetere al cantante la parola, mentre Mozart arriva alla quinta discendente alla seconda ripetizione di “Parto”, dopo una “variazione” all’inizio con una quarta discendente. Il carattere delle arie scritte da Hasse sembra tuttavia più composto. In particolare, si nota molto la differenza dell’aria “Deh, se piacer mi vuoi”, in cui Hasse tratteggia un personaggio che pare placato, attraverso una melodia molto dolce e orecchiabile, mentre in Mozart la stessa aria fa emergere una Vitellia tormentata e oserei dire rabbiosa. Sicuramente il valore artistico e drammaturgico dell’opera di Mozart è indiscutibile e aver potuto fare un confronto così diretto tra le due scritture operistiche di Hasse e del genio salisburghese mi ha arricchito immensamente, facendomi ancora di più apprezzare l’opera mozartiana.

In un certo senso, Hasse, il quale fu soprannominato “il caro Sassone”, come dimostrano le arie da lei registrate, anticipa, quasi fosse una sorta di antesignano, quello che poi un altro celeberrimo Sassone, Georg Friedrich Händel, fece attingendo prodigiosamente dalla melodia incarnata dalla scuola italiana e riversandolo in buona parte nei suoi capolavori operistici.

Senz’altro, entrambi questi compositori hanno attinto moltissimo dagli insegnamenti della Scuola Italiana, portando le caratteristiche dell’opera italiana in Europa. Per me è stato molto interessante cercare di capire quali dovevano essere le vocalità di Faustina Bordoni, di Francesca Cuzzoni e di altri cantanti per i quali sia Hasse, sia Händel scrissero interi ruoli. La voce di Faustina Bordoni, che viene ricordata per la sua estrema agilità, viene usata dal marito Hasse in maniera meno “acrobatica" rispetto a Händel. Questo mi ha fatto pensare che evidentemente i due compositori privilegiavano due stili di scrittura differenti, in quanto mentre Hasse tende a mettere in risalto la melodia nel cantato, Händel spesso la alterna a momenti di agilità estrema, probabilmente volti a impressionare il pubblico.

Ritratto di anonimo di Maria Teresa Agnesi.

Il filo di continuità, in seno alla tradizione melodica italiana, è proseguito poi nel disco in cui ha voluto registrare nove delle dodici Arie con Istromenti che la compositrice milanese Maria Teresa Agnesi dedicò a Maria Antonia di Baviera, risalenti al 1749. Già di per sé, la figura di questa musicista, nata nel 1720 in una famiglia culturalmente e artisticamente “illuminata” (la sorella maggiore Maria Gaetana fu un’affermata e ammirata scienziata) merita di essere ricordata.

Maria Teresa Agnesi è sicuramente una figura degna di essere ricordata, è uno dei rarissimi esempi di donna compositrice nel XVIII secolo. La sua scrittura venne apprezzata moltissimo dai critici dell’epoca, che la videro non meno brillante di quella di Baldassarre Galuppi o di Benedetto Marcello. Pare che Maria Teresa Agnesi sia stata una delle prime donne a scrivere intere opere per il teatro musicale e che fosse lei stessa librettista, oltre che compositrice. Indubbiamente, deve aver avuto delle qualità non indifferenti per riuscire in un mondo in cui le donne spesso venivano relegate tra le mura domestiche. Ovviamente la sua posizione sociale l’ha aiutata ad affrancarsi da questa diffusa condizione, grazie al fatto che la famiglia Agnesi era benestante, giungendo al punto di acquisire anche un titolo nobiliare, sebbene Maria Teresa Agnesi finì la sua vita in miseria.

Questo ideale trait d’union tra i due suoi dischi continua anche per il fatto che Maria Antonia di Baviera, valente musicista dilettante, fu allieva tra gli altri proprio di Johann Adolf Hasse, quindi abituata ad apprezzare la bellezza delle linee melodiche della musica italiana.

Esattamente, Maria Antonia di Baviera fu anch’ella, come Maria Teresa Agnesi, una valente musicista e compositrice. Nella raccolta Arie con Istromenti del 1749 assistiamo a un ulteriore fatto insolito rispetto alla nostra conoscenza comune del ‘700, ovvero una compositrice che dedica una raccolta di arie ad un’altra compositrice.

Il mezzosoprano Elena De Simone durante un concerto.

Quali sono i punti di forza delle dodici Arie con Istromenti?

Le Arie con Istromenti sono una raccolta di arie da concerto, i cui testi sono tratti prevalentemente dai versi di Metastasio, anche se alcuni sembra siano scritti dalla compositrice stessa. Si tratta di arie accademiche con forma “A-B-A'”, nelle quali Maria Teresa Agnesi dimostra tutta la sua perizia tecnica di compositrice. Sono dunque delle arie complesse, con passaggi tutt’altro che scontati, in cui si scopre un uso sapiente e originale delle modulazioni. Si vede una particolare cura nella scrittura del basso continuo e nella caratterizzazione delle frasi affidate alla viola. Maria Teresa Agnesi fu infatti anche una grande clavicembalista e conosceva molto bene l’arte dell’armonia e del contrappunto. Le dodici arie di fatto non hanno una particolare connessione logica l’una con l’altra, si tratta di arie “sciolte”, tuttavia a me è parso di scorgere una sorta di continuità narrativa che lega queste arie. La prima aria “Son confusa pastorella” sembra introdurre un viaggio interiore, nel quale l’autrice descrive da una parte la sua voglia di andare lontano ed esprimere il suo talento, dall’altra il rimorso che ciò le comporterebbe qualora dovesse lasciare il padre, figura spesso citata nelle sue opere.

In un prossimo futuro prevede di continuare a seguire un filo storico-musicologico ben preciso nelle sue scelte discografiche, oltre che nel repertorio? O la sua curiosità d’artista la porterà ad esplorare nuovi territori?

Risponderei entrambe le cose. Vorrei ancora cimentarmi nello studio e nella ricerca di musica vocale settecentesca, ma non escludo di poter esplorare nuovi territori. Sicuramente il ‘700 è il secolo che preferisco musicalmente parlando e Mozart sopra ogni altro autore. Mi piacerebbe poter portare avanti parallelamente lo studio del repertorio barocco e quello più propriamente operistico, in quanto non credo ci debbano essere delle barriere che costringano necessariamente un artista all’interno di un settore rigidamente predefinito, ma credo piuttosto che ogni artista debba scegliere ciò che lo rappresenta di più e che verosimilmente si sente in grado di interpretare.

Andrea Bedetti