Nella sua musica, Sciarrino amplifica e porta all’attenzione spazi liminali del vivere interno: spazi che normalmente si perdono nel rumore di fondo prodotto dal lavorio del preconscio, dal metabolismo basale della mente. Egli fissa quelle sensazioni che nascono e muoiono di continuo, troppo evanescenti per dar vita a un pensiero. Lo fa con uno sforzo di percezione che immaginiamo doloroso, come quando si tenta di mettere a fuoco un punto troppo vicino agli occhi. E con la percezione di star danzando sull’orlo di un abisso – quello del troppo specificare, della non comunicabilità, della follia: Ai limiti della notte.
Nella maggior parte dei brani incisi su questo disco, la vicinanza all’abisso è esorcizzata tramite un’esasperazione del movimento. Nei Sei capricci per violino, come anche nei Tre notturni brillanti per viola, a prevalere sul piano formale è una figura di volo di falena imbizzarrita: battiti d’ali velocissimi che si avvicinano e si allontanano, strani fruscii entomologici, lo stridore degli urti rovinosi con la luce, il volo precipitoso per allontanarsene e tornare ad avvicinarvisi, costretta da voglia cieca d’istinto. Perfino – nel sesto Capriccio – il ticchettio delle sei zampette posatesi un momento su una superficie di metallo, un suono così materico che riporta prepotentemente l’ascoltatore al suo corpo – gli ricorda che ha un formicolio alla gamba, gli mette fame.
Sono voli solitari, che si avvolgono pazzamente intorno a tanti soli ardenti. Certo, c’è anche polifonia: ad esempio nel secondo Capriccio – ma in realtà dappertutto, perché il suono convenzionalmente inteso, quando c’è, nasce e muore in una nube di graffi e soffi. Ma per questa polifonia vale quello che ha scritto Pousseur: se ogni polifonia è creatrice di spazio (spazio suggerito dall’incontrarsi e il mescolarsi di flussi diversi), da quando la polifonia può essere pensata e agita da una sola coscienza – come avviene su uno strumento polifonico – essa è divenuta creatrice di spazio d’anima: «Si presenta come una polifonia interiore (entro la coscienza individuale), come l’espressione di una pluralità di movimenti psichici, senza dubbio relativamente coordinati, ma tuttavia generatori di curve in contrasto e perciò di tensione affettiva». (Per inciso: in questa polifonia interiore sembra quasi che la musica abbia trovato la sua ragion d’essere moderna – è divenuta una macchina per aprire spazi nell’anima). Una considerazione particolarmente valida quando lo strumento usato è uno strumento su cui la polifonia è difficile, costa sforzo – uno strumento su cui un bicordo è un’entità vibrante in cui l’intonazione di una nota risente delle microvariazioni dell’altra, come il violino o la viola.

Ma la musica di Sciarrino è tutta interiore e pervasa da un senso di assenza o inattingibilità dell’Altro: vi entrano moti o flussi esterni, ma incontrano barriere potentissime. Così la sua polifonia è riflesso dell’intrecciarsi di marosi interni che portano l’eco di altre voci, voci esterne che però non entrano nel lavorio dell’animo se non dopo iterate riflessioni su molteplici specchi – dopo un processo di lunga sofisticazione e distillazione che non lascia dell’originale che una vaga traccia: ricordi di ricordi di voce umana. Come nel brano Fra sé, nel quale, dal rumore di fondo, stilizzato in ostinato di soffio, emerge una linea superiore che è una tipica linea vocale sciarriniana (potrebbe ricordare una canzone di Super flumina): ma quando, nella parte centrale, il rumore di fondo cessa, il canto si rattrappisce, cede a timidezza estrema – vertigine del poter, finalmente, percepire.
Il silenzio di Sciarrino, in effetti, ha una sua qualità particolarissima, evidenziata dalle componenti semi-inudibili dei suoni di cui son fatti i suoi brani. Ed è forse per questo che la sua musica sopravvive nella registrazione, e anzi a volte ne viene in qualche modo esaltata: il silenzio trasmesso dai diffusori sconcerta e strania ancora di più di quello naturalmente diffuso in sala da concerto. È un silenzio artificiale, teatrale, non ecologico che in qualche modo corrisponde ai paesaggi artificiali di Sciarrino. La registrazione proposta in questo disco sembra esser stata fatta con consapevolezza di questo: e mentre l’interpretazione di Fusi giustamente esaspera l’intenzione del testo – la bizzarria disperata del volo automatico della falena – la registrazione rende il suono particolarmente plastico e vivido, come in una fotografia sapientemente contrastata.

Leonardo Mezzalira

Salvatore Sciarrino – Complete Works for Violin and for Viola
Marco Fusi (violino & viola)
CD Stradivarius STR 37057
Giudizio artistico: 5
Giudizio tecnico: 5