Il violinista e compositore genovese sarà protagonista di due eventi musicali a gennaio: il giorno 12 al Theater in der Altstadt di Merano con i Canti dal silenzio per violino solo e il 27, in occasione del Giorno della Memoria, al Teatro Zandonai di Rovereto con un collage di brani per undici strumenti, tra cui la sua trascrizione del primo tempo della Sinfonia n. 13 di Dmitrij Šostakovič

Da musicista “anomalo”, come ama definirsi, il violinista e compositore genovese Marcello Fera si appresta a presentare nel mese di gennaio, dapprima a Merano e poi a Rovereto, i suoi due ultimi lavori che rispecchiano idealmente il côté del suo essere artista. Il primo evento che lo vedrà protagonista è fissato per il 12 gennaio, alle 20.30, al Theater in der Altstadt meranese con la sua ultima composizione, intitolata Canti dal silenzio, un ciclo di dodici brani per violino solo scritti nel corso degli ultimi due anni. Questa composizione, come ha spiegato lo stesso autore, nasce dal voler adempiere, esaudire un suo grande desiderio, quello di scrivere per il suo strumento, confrontandosi solo con esso, un desiderio che ristagnava da diverso tempo, ma che solo recentemente è riuscito a realizzare.

La locandina riguardante i Canti del silenzio composti da Marcello Fera per violino solo.

Questo confrontarsi con il suo strumento in dodici pezzi (che portano i titoli di “segno”, “andare”, “interludio alla voce”, “sensa sciou”, “mnemo”, “ragionando”, “memento gori”, “taglio”, “cura”, “all'intorno”, “ninna per olga”, “aframunda”), sarà accompagnato anche da parole e da alcune riflessioni riguardo a cosa sia per lo stesso artista essere musicista, stare davanti a un pubblico, il suo rapporto con la percezione e il “dire qualcosa” suonando. Insomma, un modo per raccontarsi e per raccontare, per stare in relazione con ciò che si chiama “pubblico”, come succede in ogni episodio di espressione artistica.

E il silenzio a cui si fa riferimento nel titolo è quella silenziosissima massa densa di nulla che si trova davanti il compositore nell’atto di “voler comporre” e da cui inspiegabilmente e misteriosamente “estrae” o dal quale altrettanto inspiegabilmente “emergono” i  primi suoni da cui prenderà forma la composizione. Forse si tratta di quel “luogo” un po’ spaventevole e arcano che alcune società di un passato ormai remoto definirono la “caverna degli antenati”, nella quale solo a pochi era dato di addentrarsi, guardati con sospetto da coloro che invece non era concesso il medesimo privilegio. Eppure questa “massa” di silenzio, questa presenza silenziosa sta sempre “a fianco” di chi crea, oltre ad essere parte di ognuno di noi, una compagna costante e, appunto, “silenziosa”. Da qui, i dodici brani in programma che rappresentano altrettanti brevi episodi tesi tra la sospensione dell’ascolto e la danza, un tentativo, ancora una volta, di tracciare un sentiero capace di portare allo strumento e alla musica.

Il violinista e compositore genovese Marcello Fera (Foto Georg Tappeiner (c))

«Mi considero un musicista “anomalo” e su questa anomalia ho riflettuto tutta la vita, oltre ad averne fatto cifra espressiva», ha spiegato Marcello Fera. «Le parole che accompagnano le esecuzioni musicali in forma di contrappunto verbale sono dunque un tentativo di raccontarmi e di raccontare, soprattutto a proposito della percezione uditiva, del senso della musica, del farla e dell’ascoltarla. Per ciò che riguarda lo scrivere per violino solo, corrisponde a un desiderio antico, un progetto, quello di scrivere “per il mio violino” a cui ho dedicato diversi inizi negli anni e che finora non ero mai riuscito a realizzare. Nel 2017, finalmente, ho incominciato a comporre qualcosa di completo e quindi a presentarmi in pubblico da solo con programmi misti che comprendevano questi primi brani. Il grosso però l’ho scritto negli ultimi due anni e questa è la prima volta che presento il ciclo completo, che è quindi a tutti gli effetti una “prima”.

«Inoltre, non dimentichiamo i tempi che stiamo vivendo, i quali hanno favorito e permesso questo tipo di percorso rivolto inevitabilmente alla dimensione intima, individuale. Il silenzio a cui fa riferimento il titolo è innanzitutto il silenzio denso, assoluto, che si trova di fronte il compositore cui spetta il compito di far emergere, da lì, da questo assoluto opposto, il suono. Ma è effettivamente anche la condizione di silenzio vissuta durante la prima fase dell’emergenza sanitaria. Quel silenzio ambientale, splendido, avvertito in città, è stato determinante per indirizzare la concentrazione e l’energia verso il colloquio con me stesso. C’è anche da considerare un paradosso: stiamo parlando di dimensione individuale e intima su una piattaforma pubblica, a beneficio di chi legge. E così vale anche per i miei Canti, poiché la loro intimità ha inevitabilmente un senso in relazione al pubblico che li ascolterà. È dunque anche e soprattutto un fatto squisitamente sociale».

La gola di Babij Yar, nei pressi di Kiev, dove i nazisti trucidarono decine di migliaia di ebrei ucraini.

Ma il silenzio, a volte, è anche in grado parallelamente di evocare il senso del ricordo. Ed è quello che appunto fa Marcello Fera con il secondo evento, sempre in programma a gennaio, questa volta al Teatro Zandonai di Rovereto, dove il 27 gennaio, in occasione del Giorno della Memoria, alle ore 10.00 e replicato alle 20.30, con la Piccola Orchestra Lumière (diretta dallo stesso autore), il coro S. Ilario e la regia di Michele Comite, il violinista e compositore genovese presenterà la sua trascrizione del primo tempo della Sinfonia n. 13 in si bemolle minore “Babij Yar”, composta da Dmitrij Šostakovič nel luglio del 1962. Anche quest’opera musicale suscitò all’epoca risentimenti e accuse velate da parte della nomenklatura sovietica, in quanto al grande compositore fu rimproverato di aver impiegato nella sinfonia poesie di Evgenij Evtušenko in cui, tra l’altro, veniva sollevata la questione ebraica. Infatti, in quest’opera sinfonica rivive, per l’appunto nella prima delle cinque poesie messe in musica, il massacro da parte dell’esercito nazista di decine di migliaia di ebrei ucraini nella gola montana di Babij Yar, presso Kiev, un eccidio che, fino a quel momento, il potere sovietico non si era mai preoccupato di commemorare. Difatti, le autorità disertarono l’esecuzione della prima, avvenuta a Mosca, nella Sala grande del Conservatorio, il 18 dicembre 1962, mentre il pubblico rimase impressionato dal messaggio della composizione e applaudì a lungo il musicista e il poeta Evtušenko, entrambi commossi fino alle lacrime.

Dmitrij Šostakovič ed Evgenij Evtušenko ricevono le ovazioni da parte del pubblico alla conclusione della prima esecuzione della Sinfonia n. 13, avvenuta il 18 dicembre 1962 a Mosca.

La Sinfonia si apre per l’appunto con un Adagio d’intonazione dolorosa con il coro di voci maschili e la voce del basso che enunciano uno stile solenne e vigoroso. Nel dipanarsi del tessuto musicale non mancano momenti di assorta tristezza, resi con ritmi cadenzati su sonorità aspre e taglienti a piena orchestra, in cui sembrano riaffiorare alcuni episodi storici legati all’antisemitismo: l’antico Egitto, il caso Dreyfus, gli ebrei polacchi di Bialystok, Anna Frank e infine proprio l’eccidio di Babij Yar. Marcello Fera ha così trascritto l’Adagio del primo tempo per undici strumenti, un pezzo che confluirà con altri tre brani (Quattro versi in purgatorio, Cellophonia, Cicci Suite) che il musicista genovese ha composto in precedenza e che ha poi trascritto per il medesimo organico strumentale, dando così vita a un vero e proprio spettacolo teatrale prodotto dal Laboratorio di Storia di Rovereto, formato da giovani attori/musicisti sotto la guida del regista Michele Comite.

Andrea Bedetti