Disco del mese di Maggio 2024
Una recentissima produzione discografica della Velut Luna di Marco Lincetto vede la chitarrista Federica Artuso, già allieva di Stefano Grondona, presentare un programma di venti brani scritti da nove compositori appartenenti alla grande scuola ispanica, utilizzando due particolarissime chitarre, costruite entrambe dal liutaio Fabio Zontini, in quanto la loro cassa armonica è stata realizzata in cartone, fedeli riproduzioni della leggendaria chitarra FE14, la Papier-Mâché, creata nel 1862 da colui che è passato alla storia come lo “Stradivari delle sei corde”, ossia Antonio de Torres Jurado, e conservata oggi al Museo della Musica di Barcellona.
L’andaluso Torres decise di costruire una chitarra classica in cartone per dimostrare che si poteva ideare uno strumento capace di riprodurre suoni e timbri unici nel loro genere senza ricorrere al legno, e il milanese Zontini da quasi vent’anni porta avanti questa tecnica rivoluzionaria costruendo chitarre in cartone, due delle quali, per l’appunto, realizzate tra l’aprile e il settembre 2023 ed entrambe pesanti (si fa per dire) appena 995 grammi, oltre a montare corde in budello naturale, sono state appositamente utilizzate da Federica Artuso per registrare questo disco. E proprio per rinsaldare questa tradizione che coinvolge il nome del grande liutaio andaluso con la sua chitarra di cartone, tutti i compositori coinvolti in questa registrazione sono stati affascinati dagli strumenti costruiti da Torres.
L’album si apre con cinque brani della compositrice e chitarrista argentina Maria Luisa Anido, nata nel 1907 e morta nel 1996, che prima fu allieva di Miguel Llobet e in seguito sua partner in un duo di chitarre. Fedele a un suono archetipo, unico, inconfondibile dato dalle chitarre di Torres (possedette la FE17 del 1864, già appartenuta a Francisco Tárrega), la musicista argentina fu una delle ultimissime a utilizzare le corde in budello in un’epoca in cui il nylonaveva già monopolizzato il mondo della liuteria. Un’altra peculiarità di questa compositrice-chitarrista fu quella di considerare lo strumento a sei corde quale emblema, spartiacque tra il mondo della musica folklorica e quello della musica colta, visto che se da una parte fu in grado di scrivere esemplari trascrizioni di brani di Bach, Mozart (come nel caso del Minueto del “Don Juan” de Mozart presente nella tracklist) e Čajkovskij, dall’altra fu sempre affascinata dalla tradizione popolare sudamericana (la Canción del Yucatán e la Boceto Indígena). Un altro famoso chitarrista argentino fu Abel Fleury (1903-1958), anch’egli in bilico tra tradizione colta e quella folklorica, del quale l’artista italiana presenta uno dei brani più celebri, Milonguea del Ayer, mentre dell’autore successivo, il messicano Manuel Ponce (1882-1948), Federica Artuso esegue Tres canciones populares mexicanas.
Il nome dello spagnolo Enrique Granados (1867-1916) è quantomeno conosciuto anche da coloro che non seguono il filone chitarristico, tenuto conto che la sua produzione spazia soprattutto dalla musica pianistica a quella cameristica, toccando anche l’opera lirica e il poema sinfonico. Semmai furono altri a trascrivere per chitarra sue composizioni, come fece per l’appunto Miguel Llobet che condensò per lo strumento a sei corde la Danza española n.5, Andaluza, presente nella tracklist. A proposito del catalano Llobet (1878-1938), la cui importanza nella letteratura chitarristica spagnola è a dir poco ineludibile, la Artuso esegue due brani dei quali però non è autore, ossia una celebre ballata catalana d’origine medievale, El testament de n’Amèlia, e una canzone tradizionale catalana di autore anonimo del XVIII secolo, Canço de lladre. In una simile crestomazia sonora dedicata all’olimpo della chitarra non poteva di certo mancare il già citato valenciano Francisco Tárrega (1852-1909), di cui la tracklist del disco annovera tre brani, María, Alborada e Adelita. Anche il maestro di Tárrega, l’andaluso Julián Arcas (1832-1882) non poteva mancare, esattamente con due brani di chiara matrice popolare, Soleà e Bolero, così come il poco conosciuto, almeno nel nostro Paese, Juan Parga (1843-1899), fautore di quella fase di “nobilitazione” della chitarra dal repertorio flamenco a quello maggiormente colto, con Mi lira op. 8 n.1 e Guajira op. 5 n.2. Da ultimo, Carlos Garcia Tolsa (1858-1905), allievo prediletto dello stesso Arcas, di cui Federica Artuso presenta il brano Al fin solos.
Però, torno a ripetere, l’importanza e la peculiarità di questo disco non risiedono tanto nei brani scelti ed eseguiti, ma dalla particolare filosofia interpretativa che lo anima, ossia nella scelta delle due chitarre in cartone di Zontini, entrambe con corde in budello naturale di uno specialista del calibro qual è Mimmo Peruffo (per la precisione, il budello è presente nelle corde per gli acuti e rayon (materiale che sostituisce la seta), rivestito di rame argentato per i bassi. Tale scelta è presto detta, come spiega lo stesso Peruffo nelle dettagliate note di accompagnamento al disco, poiché questo materiale naturale è il solo che presenta l’allineamento pressoché perfetto dei parametri principali che concorrono alla formazione del suono e alle caratteristiche di tenuta meccanica: densità, assorbimento di umidità, carico di rottura, modulo elastico e infine la lavorabilità in forma di cilindro. Inoltre, vanta la caratteristica di imitare al meglio la voce umana, cosa che non accade con le corde di metallo.
Ma, soprattutto, al centro del progetto c’è stata la volontà di riproporre, attraverso due strumenti contemporanei, la leggenda della Papier-Mâchédi Torres, di cui non si conoscono né le sue finalità, né se il grande liutaio andaluso costruì altri esemplari, anche se Zontini, come spiega nel bookletdel CD, avanza delle ipotesi, a cominciare dal fatto che a suo parere questa chitarra fu realizzata come prototipo, con l’intenzione, in un secondo momento, di mettere in commercio uno strumento più alla portata di tutti, tenuto conto che i materiali utilizzati, a cominciare dal cartone, avrebbero permesso di abbatterne i costi. C’è poi da notare un altro aspetto assai interessante, quello legato al fatto che la Papier-Mâché originale non venne mai suonata ufficialmente in pubblico, in quanto Torres non vendette mai la FE14, ma la tenne con sé fino alla sua morte. Dopodiché lo strumento passò per le mani di Tárrega prima e di Llobet poi. E fu proprio nell’abitazione di Tárrega che un altro celebre chitarrista, Domingo Pratt, ebbe modo di suonarla e di lasciarne una testimonianza scritta nel suo Diccionario de guitarras, guitarristas y guitarreros, pubblicato a Buenos Aires nel 1934. Infine, alla morte di Llobet, la Papier-Mâché finì agli eredi, che nel 1953 la donarono al Museu de la Musica di Barcelona, dove ancora oggi è possibile ammirarla.
In termini tecnici, che cosa vuol dire suonare una chitarra con la cassa in cartone e dotata di corde in budello naturale? A detta di Federica Artuso, la diretta interessata, imbracciare questo strumento significa, grazie alla sua incredibile leggerezza, provare una sensazione di massima libertà. «Quando si suona sembra di non sentire il limite di una materia che fisicamente resiste alle proprie mani, ma pare invece di lavorare semplicemente con il gesto musicale puro», ha spiegato la chitarrista allieva di Stefano Grondona. «Come un direttore d’orchestra quando modella i suoni con il movimento delle braccia, senza sentire la resistenza del legno degli strumenti (o di qualsiasi altro materiale). Inoltre, le sensazioni che vivo quando utilizzo il budello sono simili a quelle che ho già descritto, quando ho parlato della chitarra Papier-Mâché. Il budello dà la possibilità di modellare il suono molto più liberamente rispetto a quando si usa un qualsiasi materiale sintetico. È molto sensibile al vibrato e, anche quando la corda è già stata pizzicata, si ha la possibilità di modificare la nota prodotta dandole intensità espressiva. Quando, dopo aver suonato il budello, mi è capitato di tornare alla corda sintetica, mi è sembrato di avere a che fare con qualcosa che imponeva la propria natura e la propria rigidità all’interprete».
Certo, prendere in mano una rarità strumentale, come può esserlo una chitarra classica con la cassa in cartone, deve esaltare un interprete, se si tiene conto di come Federica Artuso ha saputo rendere i venti brani che fanno parte di questo disco, che farà la felicità di coloro che amano questo genere musicale. Mi spingo oltre: considero questa registrazione il viatico ideale per essere iniziati alla grande musica per chitarra classica, per entrare nella sua anima, per accedere alle sfumature psicologiche e alle sensazioni che vengono dipanate e presentate dalle sei corde della chitarra. Questo perché, come accade alla chitarrista allieva di Grondona, ci sono occasioni in cui un interprete si identifica totalmente con il proprio strumento, al punto di formare una sola cosa, in cui risulta impossibile distinguere il primo dal secondo. Al di là di aspetti puramente virtuosistici (e qui non ne mancano di certo), l’intento di Federica Artuso era di penetrare la materia sonora per sondarne il suo mistero, coinvolgendo l’ascoltatore in questo nobile progetto. E lo ha fatto in modo semplicemente disarmante, con una tecnica a totale servizio dell’espressività, della restituzione di mondi sonori tratteggiati con una cura di particolari (ossia di sfumature timbriche) il cui confronto può essere reso solo in termini pittorici. Uno dei migliori dischi dedicati al mondo della chitarra classica che abbia mai ascoltato.
Disco del mese di maggio per MusicVoice.
Se poi a questo risultato artistico, ci uniamo anche quello tecnico grazie alla presa del suono effettuata da Marco Lincetto, allora abbiamo a disposizione un prodotto che farà felice anche l’audiofilo duro e puro. Premetto che ho avuto a disposizione le tracce audio in Hi Res (tanto per fare comprendere meglio il tutto, poco meno di un’ora di durata in rapporto a un peso complessivo di un giga e settecento mega), ma si tenga presente che c’è anche la versione in Gold CD e quella in LP su Top Clear Vinyl (nel quale, però, non sono presenti i brani di Parga e Garcia Tolsa). Posso dire che chi possiede un impianto d’ascolto con i dovuti crismi, sentirà il bisogno di far accomodare Federica Artuso nella sala d’ascolto, offrendole quantomeno il caffè, poiché l’esperienza sonora è quanto di più veritiero si possa sperare in termini tecnici. Tutti i parametri di valutazione sono semplicemente superlativi, a cominciare dalla dinamica, la cui naturalezza non teme confronti di sorta, se si vuole assaporare il gioco delle corde che vibrano, del suono che aleggia correttamente nell’aria e del suo decadimento che avviene come Cristo comanda. Va da sé che anche nei pppsi nota una velocità e un’energia che governano a dovere l’emissione timbrica, senza contare che, a livello di palcoscenico sonoro, come ho già fatto presente, l’interprete sorseggia il caffè che le abbiamo offerto al centro dei diffusori, a non più di due metri di distanza, con la perfetta ricostruzione dell’aria che la circonda, in modo da fornire una credibilità fisica ancora più marcata e straordinaria (ho effettuato l’ascolto mentre il mio micio, Teppa, dormiva beatamente accanto a me: ebbene, quando la chitarrista ha battuto con le dita sulla cassa armonica, lui si è svegliato e si è alzato di colpo, con uno sguardo interrogativo come a dire: «E adesso chi cazzo è entrato?... »). L’equilibrio tonale ha messo in evidenza l’apporto benefico delle corde in budello e in rayon, con una dolcezza nella resa dei registri che raramente ho potuto ascoltare in sede di riproduzione audio, con la possibilità di avvertire la netta e armoniosa differenziazione tra gli acuti e i medio-gravi (questi ultimi, oltre ad essere sempre velocissimi, hanno la rarissima capacità di trasmettere un concetto di volume spaziale e fisico della vibrazione prodotta). Infine, il dettaglio, già anticipato in un certo senso dalle precedenti osservazioni, è quanto di più materico si possa auspicare, al punto di poterlo annoverare come elemento test per saggiare il comportamento e la resa acustica del proprio impianto audio. Se volete comprendere come si possa non percepire, ma saggiare distintamente la presenza fisica di un interprete e quella del suo strumento, non dovete fare altro che ascoltare questa registrazione. Punto di riferimento.
Andrea Bedetti
AA.VV. - Papier-Mâché. Federica Artuso plays Anido, Arcas, Llobet and Others
Federica Artuso (chitarra)
LP-CD Gold-File HD Velut Luna CVLD365
Giudizio artistico 5/5
Giudizio tecnico 5/5