Disco del mese di Aprile 2022
La figura di Carlos Salzedo, pianista, arpista e compositore francese naturalizzato americano, è a dir poco leggendaria tra coloro che amano l’arpa, molto meno invece tra quelli che non frequentano o che sono poco avvezzi a questo strumento. E ciò è un vero peccato perché ci troviamo di fronte a un artista, nato ad Archachon nel 1885 e morto a Waterville nel 1961, la cui caratura, in fatto di precocità e genialità musicale, restringendo il campo al solo Novecento, può essere paragonato a un altro grande, ma anch’egli non molto conosciuto dal grande pubblico, l’austriaco Erich Wolfgang Korngold, anch’egli ebreo e naturalizzato americano. Ma se il grande compositore di Brno lasciò l’Europa nel 1934 in previsione di ciò che sarebbe accaduto pochissimi anni dopo, Salzedo lo fece molto prima, esattamente nel 1909, quando sbarcò nel Nuovo Mondo per desiderio di Arturo Toscanini, che lo volle come prima arpa nella Metropolitan Opera Orchestra di New York.
Tanto per far comprendere la dimensione di questo musicista, si possono ricordare alcuni aspetti della sua vita, a cominciare dal fatto che si esibì in pubblico al pianoforte già a soli tre anni, davanti alla regina madre di Spagna Maria Cristina (approfittando del fatto che la madre, ottima musicista, era la pianista della famiglia reale durante il periodo estivo, senza contare che anche il padre era un valente interprete, così come il fratello, divenuto poi violinista di vaglia); inoltre, dopo essersi iscritto al Conservatorio di Parigi a nove anni, Carlos Salzedo riuscì sette anni dopo a vincere nello stesso giorno il Primo Premio sia per il pianoforte, sia per l’arpa, unico studente nella storia del conservatorio parigino a riuscire in una simile impresa. A proposito dell’arpa: al conservatorio della capitale francese, quando il giovanissimo studente dovette scegliere il secondo strumento da affiancare all’amato pianoforte, la scelta cadde proprio su questo strumento, tenuto conto che il violino era già stato optato dal fratello e che un possibile strumento a fiato non si sarebbe conciliato con i suoi polmoni, troppo deboli per poterlo affrontare. Una scelta vincente, come si sarebbe dimostrato in seguito, ma anche molto particolare e, per certi versi, azzardata, in quanto sull’arpa, sul finire dell’Ottocento, gravava ancora un’immagine alquanto stereotipata, poiché considerato strumento da salotto e non certo all’altezza del pianoforte e del violino. Ma se Salzedo riuscì poi a cancellare tale immagine dall’arpa fu anche grazie all’insegnante che ebbe al Conservatorio di Parigi, il temuto e severissimo Alphonse Hasselmans, autentico nume tutelare di questo strumento nella seconda metà dell’Ottocento.
Nonostante queste prerogative davvero uniche, allo stato attuale la discografia dedicata a Carlos Salzedo è davvero limitata, senza contare che la maggior parte delle poche registrazioni disponibili non sono monografiche. Quindi, giunge più che opportuno un recentissimo disco, pubblicato dalla Da Vinci Classics, con l’arpista emiliana Alessandra Ziveri che ha presentato tre pagine del compositore francese naturalizzato americano, vale a dire i Trois Morceaux pour Harpe Seule, Scintillation (che dà il titolo all’album) e la Suite of Eight Dances.
Al di là della bellezza e dell’indubbio interesse di questi tre brani (che andremo a visionare), questa registrazione ha un altro, indubbio merito: farci comprendere attraverso di essi lo spessore della personalità musicale di Salzedo, una personalità capace di sviluppare nuove tecniche nell’ambito dell’arpa. Da un lato, infatti, seppe trasporre quelle nuove sonorità proposte da molti compositori contemporanei e dall’altro seppe stimolare la loro creatività attraverso le sue scoperte innovative. Queste nuove tecniche furono così rivoluzionarie che richiesero addirittura dei nuovi simboli per la notazione, che furono appunto sviluppati dallo stesso Salzedo; inoltre, il nostro compositore scrisse nuovi metodi usati sia da arpisti che da compositori. Prima si è accennato al possibile parallelismo tra Salzedo e Korngold, e questo non solo per via della loro straordinaria precocità, ma anche per il fatto che furono due musicisti capaci di indicare nuove vie senza stravolgere però il linguaggio musicale e senza rinnegare il costrutto tonale: entrambi, attraverso il mirabile sfruttamento del già esistente, seppero così dare vita a opere capaci, in fatto di modernità, di esprimere le nuove tendenze alla pari di quelle che, invece, fecero uso dei nuovi linguaggi proposti nei primissimi decenni del Novecento.
Un altro dato da considerare è quello che il compositore francese naturalizzato americano riuscì a valorizzare l’arpa senza dover ricorrere a un virtuosismo fine a se stesso, in grado solo di esaltare le connotazioni tecniche dello strumento, ma inserendolo sempre in una struttura d’altissima finezza, nella quale l’eloquenza viene garantita da un continuo sviluppo dei temi proposti. Ecco perché le sue composizioni, in tal senso, non hanno nulla a che fare con una dimensione meramente “salottiera”, ma rientrano a pieno titolo in una musica che intende comunicare profondità e riflessione. Il tutto accompagnato da una gestualità visiva capace di evidenziare al meglio la bellezza del suono ottenuto (è interessante notare come tale gestualità fu studiata da Salzedo con l’aiuto del leggendario ballerino e coreografo Vaclav Nižinskij, il quale fornì preziose indicazioni per rendere il gesto più “plastico”, evocativo, anticipando di fatto quello che sarà sviluppato decenni dopo da quella componente della musica contemporanea che sfrutta anche il concetto della visione data dalla gestualità dell’interprete; e, a proposito di “modernità”, è bene ricordare che Salzedo, con Edgard Varèse, nel 1921 diede vita all’International Composers Guild, un’iniziativa che mirava a far conoscere in America la musica di valenti musicisti europei dell’epoca, come nel caso di Béla Bartók e Arthur Honegger).
Esaminando le tre opere qui registrate da Alessandra Ziveri, si può apprezzare l’intera tavolozza creativa di Salzedo, con tre altrettante sfaccettature espressive, frutto di una raffinata creatività unita a una geniale tecnica. I Trois Morceaux pour harpe seule sono l’opera di un venticinquenne che ha già le idee più che chiare; certo, fin dal primo ascolto i parallelismi con la musica francese di Ravel e di Debussy sono più che evidenti, ma è chiaro l’intento del compositore di fornire all’arpa un suo stile, una precisa capacità da parte dello strumento di ritagliarsi uno spazio autonomo (e questo si avverte soprattutto nel primo dei tre Morceaux, ossia Ballade), mentre in Jeux d’eau tende ad esaltare il colore, ricercando timbri che sono autentiche immagini che vanno ad affollare la mente dell’ascoltatore. E la capacità di unire l’antico con le nuove tensioni proposte dalla modernità sono invece appannaggio delle Variations sur un theme dans le style ancien, in cui la capacità di scrittura, di saper plasmare l’intera architettura del brano sono già un marchio di fabbrica, l’autorevole impronta di un DNA destinato ad arricchirsi nel tempo.
Tale impronta è ancora più definita e profonda in Scintillation, che risale al 1936, con la quale Salzedo esplora come tramutare l’andamento ritmico in una pletora di sviluppi tematici, sempre sorretti da un costrutto armonico di prim’ordine. Qui, il ritmo si abbina al concetto della danza, fondendoli in un affascinante intreccio che sprigiona un mix irresistibile fatto di espressività e fantasia.
L’elemento della danza, visto come espressione che unisce gesto dell’interprete e ritmo musicale, è alla base anche della terza pagina presentata in questa registrazione (è un peccato che si possa soltanto ascoltare Alessandra Ziveri e non vederla nella sua gestualità, complemento indissolubile dell’atto artistico) e rappresenta uno dei vertici della produzione di Carlos Salzedo, sebbene la presente opera non superi i quindici minuti di durata, vale a dire la Suite of Eight Dances, risalente al 1943. Ormai, la cifra creativa del compositore è chiara: trovare una sintesi, un equilibrio ideale tra ciò che la musica ha saputo raggiungere nel passato, attraverso un’impronta classica, con quanto quella moderna cerca di aggiungere, giungendo a nuovi risultati, pur senza rinnegare il linguaggio della grande lezione delle precedenti epoche. Concepita in tal senso, l’opera, suddivisa in otto brevi danze, è un sapiente e bilanciato progredire scandito da due facce: i primi quattro pezzi (Gavotte, Menuet, Polka, Siciliana) rappresentano la base dell’antico, della classicità (come si vede, i titoli in questione sono a dir poco esemplificativi), sui quali poi Salzedo edifica la costruzione degli altri quattro brani (Bolero, Seguidilla, Tango e Rumba) che, oltre a raccogliere il testimone di quanto trasmesso dal passato, sviluppano nel contesto armonico e melodico temi e ritmi dati da danze più moderne, la cui radice riposa sulla tradizione iberica e sudamericana, vista come la depositaria di un nuovo modo di intendere la musica, pur senza dimenticare, tanto per restare in ambito europeo, e più specificatamente francese, il passaggio da un neoclassicismo incarnato da Francis Poulenc a un modernismo disincantato, ironico, sferzante il cui testimone ideale è rappresentato da Darius Milhaud.
Dopo aver ascoltato quanto eseguito dall’arpista parmense, non ritengo esagerato affermare che la musica di Carlos Salzedo abbia trovato in Alessandra Ziveri la sua interprete ideale. Se si tiene conto di quanto enunciato precedentemente, la musica per arpa del compositore francese naturalizzato americano è estremamente difficile e non solo per l’aspetto tecnico, poiché il virtuosismo che incarna non dev’essere reso solo per quello che è, ossia una montagna di difficoltà da scalare senza esitazioni o tentennamenti, ma soprattutto per il fatto che questo virtuosismo ha il suo reale perché solo se reso espressivo all’interno della paletta dell’eloquenza, dello svolgimento in essere dei brani nei quali si incarna. Un virtuosismo, quindi, che dev’essere “camuffato”, stemperato nella dimensione della scrittura creativa, la quale riveste la cifra fondamentale, senza la quale tutto decade, tutto svilisce, tutto si annienta, come un pallone che si sgonfia.
Si ascolti, tanto per fare un esempio, l’incipit di Jeux d’eau, il cui lo sgocciolio continuo e trasmutante non è solo un momento in cui di deve dare prova di saper tecnicamente affrontare e superare l’ostacolo tecnico, ma diviene elemento essenziale per fornire l’impronta espressiva di tutto ciò che segue: il virtuosismo non è fine a se stesso, ma parte integrante dell’intero brano; e qui deve intervenire la sensibilità, l’espressività dell’artista, capace di trasfigurare la tecnica in “opera d’arte”, con un suo perché, una sua comunicabilità, una sua ragion d’essere. Questo bilanciamento tecnica/espressività viene esaltato ulteriormente nelle Variations, in cui la dimensione virtuosistica data dalle istanze classiciste si deve “sciogliere” nella dimensione impressionistica instillata dal bisogno espressivo di cui la pagina vive. E tutto ciò Alessandra Ziveri lo fa in modo impeccabile (ripeto, è un peccato non potere vedere la sua gestualità, la quale esemplifica perfettamente lo “sciogliersi” della tecnica nella bellezza espressiva: si ascolti con attenzione e commozione il passaggio da 04.55 a 08.07, con l’interprete parmense che riesce a tramutare l’arpa nel timbro di un pianoforte, facendoci capire come Salzedo abbia trasposto l’idea della tastiera a quella delle corde dell’arpa).
Inoltre, Alessandra Ziveri riesce a dipanare i nodi armonici che intessono un brano complicatissimo come Scintillation, la cui caratura danzante richiama alla mente le evoluzioni di un ballerino che si muove con passi e movimenti meccanici, una sorta di scultura cubista che si articola e si disarticola sotto i comandi dati dalle corde dell’arpa; una tavolozza di sfumature timbriche che devono essere pennellate, come fa la nostra artista, con un’identificazione totale del gesto (da 03.11 fino a 04.50 l’arpa diviene una chitarra, con un suono che viene “pettinato” in modo a dir poco mirabile).
Infine, se volete comprendere che cosa significhi il respiro musicale, vale a dire un ritmo che si interiorizza nell’animo di chi esegue e di chi ascolta, non si deve fare altro che assimilare quanto Alessandra Ziveri riesce a estrapolare dalla Suite of Eight Dances; se un interprete si limita a rispettare il ritmo esteriore di questa composizione giunge solo a metà dell’opera, senza entrare nel suo cuore pulsante. Ancora un esempio di come la sola tecnica non sia sufficiente a rendere la bellezza di questa pagina (si ascolti, a tale proposito come l’interprete parmense restituisca alla Siciliana un respiro esteriore, andando però a ricercare anche quello “interiore”, tipico della musica di Francis Poulenc). Lettura, quindi, esemplare, da meritare la menzione del “Disco del mese di aprile 2022”.
Solito lavoro eccellente di presa del suono effettuato da Gabriele Zanetti, che è stato in grado di restituire ottimamente le ricche sonorità dell’arpa Lyon&Healy utilizzata da Alessandra Ziveri; la dinamica è corposa, energica, sprizzante velocità e il palcoscenico sonoro ricostruisce lo strumento al centro dei diffusori a debita profondità, senza però che il dettaglio venga meno, grazie anche a un’indubbia matericità che scontorna fisicamente l’arpa. Infine, l’equilibrio tonale è il parametro che si fa apprezzare maggiormente, con i registri acuto e medio-grave che sono sempre distinguibili perfettamente, a tutto beneficio di un ascolto appassionato e veritiero.
Andrea Bedetti
Carlos Salzedo – Scintillation - Music for Solo Harp
Alessandra Ziveri (arpa)
CD Da Vinci Classics C00504