Abbiamo intervistato il pianista tedesco che ha dedicato due suoi dischi a capolavori del sommo Kantor, nei quali ha voluto mettere in pratica alcune riflessioni interpretative assai interessanti e che ci ha spiegato in un lungo colloquio. Ecco la seconda e ultima parte dell’intervista

Anche se Glenn Gould ha dedicato l’ultimo periodo della sua vita a studiare ed eseguire le Variazioni Goldberg, non credeva che fossero così belle, giungendo al punto di considerarle una “una musica sopravvalutata”. Qual è il suo pensiero su questa composizione? È davvero sopravvalutata?

«No, per niente! Le Variazioni Goldberg hanno sempre goduto di uno status speciale, con i pianisti che le hanno considerate come pietra di paragone per via delle loro peculiarità tecniche e interpretative. È in gioco la possibilità di illuminare il lavoro dall’interno, un percorso sul filo del rasoio che allo stesso tempo descrive un vasto cerchio, partendo e tornando a uno stato di quiete esplosiva, con la capacità di doversi orientare in una particolare concentrazione di complessità interiori ed esteriori, realizzando una coerenza e un’omogeneità onnicomprensive, senza contare la possibilità di dare vita a un’esplosione di cellule interne con mezzi ridotti e, quindi, dovendo ricorrere a una particolare sensibilità, a una continua tensione nervosa. L’interprete deve giocare una partita con particolari accorgimenti, trovare soluzioni ai problemi posti dal lavoro non con raddoppi di ottava e altri espedienti “ludici”, ma attraverso un rigore interiore ben strutturato e un preciso ordine. Ciò che è richiesto è una particolare forma di interiorizzazione, di lirismo interiore ed esteriore. È questo che rende le Variazioni Goldberg così uniche e così esigenti.

«Le Variazioni Goldberg hanno affascinato e preoccupato intere generazioni di compositori, visto che le loro opere riflettono chiaramente su larga scala dell’influenza data dalla sua progettazione concettuale. Tracce di esse sono già presenti nelle Variazioni dell’“Eroica” di Beethoven, ma più in particolare nella serie di variazioni della Sonata per pianoforte op. 109 e, infine, in quella vera e propria “opera tarda” dello stesso Beethoven che sono le Variazioni Diabelli. Anche Brahms sembra che si sia ispirato a questo lavoro, non solo eseguendolo come pianista in pubblico, ma studiandole attentamente in un momento in cui stava nutrendo un forte interesse critico per le tecniche di composizione di clavecinistes barocchi come Grigny e Rameau. Nel 1869, troviamo questo suo riferimento alle Variazioni Goldberg in una lettera ad Adolf Schubring: “Con il tema di una serie di variazioni, l’unica cosa che quasi conta davvero per me è il basso. Ma ciò è sacro per me, è la terra ferma su cui posso poi costruire i miei racconti”. C’è una sorprendente somiglianza tra questo passaggio e il modo in cui Brahms sviluppa la prima delle sue Variazioni Handel op. 24 – vero capolavoro del compositore – partendo dal tema.

«Inutile aggiungere che le Variazioni Goldberg hanno avuto numerosi adattamenti, tra cui la versione del 1883 per due pianoforti di Joseph Rheinberger che è stata successivamente rivista da Max Reger, e l’arrangiamento di Ferruccio Busoni, pubblicato nel 1914. Le sonorità del lavoro sono state modificate, la scrittura arricchita e sono stati creati armonicamente dei collegamenti, trasformandole in un capolavoro quasi indipendente, anche se la base sottostante è rimasta inalterata. Busoni, invece, ha ripensato l’originale, abbreviando radicalmente il disegno complessivo delle variazioni, tranne due di esse, canoniche, che determinano la forma a larga scala del lavoro. Busoni decise anche di tagliare l’Ouverture francese che per Bach aveva rappresentato il centro strutturale del lavoro. Le restanti variazioni vennero combinate in tre gruppi legati internamente, contraddistinti da diversi segni di esecuzione in linea con le loro peculiarità. Inoltre, la linea di basso è stata raddoppiata e note sostenute sono state aggiunte al fine di produrre un’immagine sonora non solo più ricca, ma anche molto diversa. Nel contesto del trattamento delle singole voci, la trascrizione per trio d’archi effettuata dal violinista Dmitrij Sitkovetskij richiama il nostro particolare interesse in quanto chiaramente orientata all’originale, poichè vengono prese in considerazione perfino le linee che si incrociano tra loro nei manuali, nonostante il fatto che la disposizione sia per tre esecutori. Semmai Sitkovetsky ha suscitato una disputa musicale per il fatto che non c’era un’alternativa plausibile sia per motivi tecnici o per motivi legati dall’impiego di un ensemble di archi. Anche il suono degli archi fornisce il colore emotivo, consentendo alla trascrizione di Sitkovetskij di staccarsi e di emergere dalle altre grazie alla limpidezza delle sue trame simili al genere cameristico e per la semplice scrittura delle parti.

«Nella storia delle esecuzioni delle Variazioni Goldberg, Rosalyn Tureck, Wanda Landowska e Glenn Gould sono stati tutti pionieri, capaci di fissare i nuovi standard di interpretazione del lavoro. Nelle sue note di copertina alla sua registrazione del 1955, Gould scrisse che “Si tratta, in breve, di musica che non osserva né una fine né un principio, di musica che non vanta né un reale culmine, né una vera risoluzione, una musica che, come sanno gli appassionati di Baudelaire, ‘si appoggia leggermente sulle ali di un vento sfuggente’”. Gould si riferisce qui al disegno circolare del lavoro, una circolarità il cui sviluppo è polarizzato, ispirato e alimentato da sempre nuovi campi di energia. Il risultato è un universo che nel suo significato assomiglia all’alfa e all’omega della musica, musica che si evolve dal nulla e scompare di nuovo nel nulla, come in uno stato nel quale il tempo si può fermare».

Lei ha dedicato la sua ultima fatica discografica alla musica di Chopin, nel triplo SACD che porta il titolo di “Chronological Chopin”. A suo avviso esiste veramente una forte relazione tra la musica del compositore polacco e quella di Bach?

«Chopin è stato chiaramente influenzato da Bach. Sappiamo che prima di eseguire in pubblico la sua musica, Chopin non eseguiva in concerto qualcosa che non fosse di Bach. I suoi stessi Preludi sono un riferimento al Clavicembalo ben temperato di Bach e tutti i suoi studenti dovevano suonare Bach. Bach fu il compositore che Chopin ammirò maggiormente in assoluto, al punto che il suo “diario musicale” era rappresentato unicamente dal Clavicembalo ben temperato. Ho affermato che Chopin rappresenta il coronamento e il culmine del suonare il pianoforte. Questo perché è qualcosa di così unico che colpisce emotività con la sua architettura musicale e la sua struttura, che tutti i giganti del passato sono presenti in esso: Bach e Mozart. L’eleganza di Chopin è così singolare, che è necessaria molta esperienza per essere in grado di trasmettere la sua musica in uno stile vero e originale.

«Semmai, ad essere assai delicata è la questione del rubato: non è niente di arbitrario, ma è qualcosa di molto più ben calcolato e ben proporzionato, qualcosa che è integrato nella forza classica della forma, che è costruito sulla profonda conoscenza delle strutture polifoniche e contrappuntistiche di Bach e Mozart. Come si è detto, Chopin fu un grande ammiratore di Johann Sebastian Bach e si ispirò al suo lavoro. Chopin si portò a Maiorca la nuova edizione parigina del Clavicembalo ben temperato e si applicò a uno studio speciale del capolavoro di Bach. E non dobbiamo dimenticare che il suo amore per Bach lo legò a Felix Mendelssohn e anche a Ferdinand Hiller. Proprio insieme con Hiller e Liszt, Chopin eseguì il Concerto di Bach per tre pianoforti. Per Chopin pensare ed eseguire la musica di Bach significò trovare l’ordine e la pace, perché in fondo la figura di Bach significa trovare un rifugio in tempi passati.

«È utile ricordare che Chopin fu attratto dalle opere di Bach nei suoi primi anni trascorsi con il suo maestro di Varsavia, Wojciech Żywny, non del tutto in conformità con i gusti del suo tempo. Chopin fece studiare dettagliatamente ai suoi allievi i preludi e le fughe di Bach e durante le due settimane che ogni anno consacrava per preparare un grande concerto, suonava solo Bach. Nei suoi Études Chopin ha dimostrato quanto bene avesse imparato le leggi della logica e della struttura che ammirava in Bach. Nel comporre i suoi 24 Preludi, Chopin, ancora una volta, ha rivelato il suo debito a Bach. È vero, nessuno dei suoi preludi è seguito da una fuga, ma ogni pezzo è autonomo e manifesta la propria enunciazione».

Burkard Schliessmann02

Maestro Schliessmann, quali sono i suoi prossimi progetti discografici e quando saranno pronti?

«Il mio prossimo progetto sarà dedicato alle tre Sonate di Chopin. Spero di poterlo realizzare entro la fine del prossimo anno. Una sfida che è coerente con il mio progetto di Chronological Chopin.

In futuro pensa di programmare dei concerti da eseguire anche nel nostro Paese?

«Sì, la mia agenzia è in trattative con i principali organizzatori di città come Roma, Napoli, Venezia e altre e sarei veramente felice se il tutto andasse in porto, così anche il pubblico italiano avrebbe la possibilità di ascoltarmi “dal vivo”!».

Andrea Bedetti

(Fine)