Nel panorama del pianismo sudamericano, uno dei giovani interpreti più interessanti è sicuramente l’argentino Uriel Pascucci, il quale dopo essersi aggiudicato diversi concorsi in giro per il mondo, quest’anno ha registrato il suo primo disco, un recital pubblicato dall’etichetta iMD-classics, con un programma basato sulla Sonata n. 30 in mi maggiore op. 109 di Ludwig van Beethoven, sui Quadri di un’esposizione di Modest Musorgskij e su una pagina composta dallo stesso Pascucci, Preludio, Tango & Fuga.
La terz’ultima sonata beethoveniana pone da sempre problematiche al suo approccio interpretativo, in quanto con la penultima e l’ultima, tutte composte in quel prodigioso lampo creativo tra il 1819 e il 1822, unitamente alla Missa Solemnis e alla Sinfonia Corale, si deve rendere una lettura che è in bilico, anche per vie delle scelte formali escogitate dal genio di Bonn, tra gli ultimi lampi iridescenti del Classicismo viennese e le primigenie spinte romantiche, alle quali il compositore tedesco non aderì mai apertamente, lasciando all’espressione delle forme delle “tentazioni” alle quali cedere momentaneamente, per poi tornare subitamente a percorrere il sentiero classico, attraverso il quale sviluppare le sue meravigliose idee musicali, come accade per l’appunto nell’ultimo tempo della Sonata in questione, il Tema e Variazioni, da svolgere mediante un Andante molto cantabile ed espressivo, che lascia spazio, margine alla sensibilità dell’interprete.
La lettura fatta da Pascucci, in tal senso, è stata improntata da un sentore di ansietà, di microscopico fremito timbrico che innerva il primo tempo, l’Adagio, risolto poi con una resa spasmodica, ma mai affrettata, del Prestissimo successivo. Il Tema e Variazioni impongono un equilibrio tra l’arcata generale del tempo, che arriva a toccare anche i quattordici minuti (nel caso del pianista argentino non raggiungono i tredici minuti), e le emozioni descritte dai singoli passaggi dati dalle variazioni stesse. Un gioco di prestigio che deve rendere unitarietà e frammentarietà allo stesso tempo, affinché l’idea generale sia sempre presente senza svilire il momento dato dell’esecuzione e viceversa. Ebbene, Pascucci riesce a fornire il debito respiro generale senza farsi tentare dal desiderio di ispessire il momento dato; questo significa che riesce a descrivere gli andamenti delle Variazioni con il dovuto contorno timbrico, restituendo ad ognuna di esse una propria vita, una propria ragion d’essere, salvaguardando il cordone ombelicale che le unisce all’idea primigenia del tema e della conseguente architettura globale del movimento. Quindi, di volta in volta, vi è esplorazione, indagine, una ricerca che diviene anche scrupolosa, unitamente a una nobiltà del gesto pianistico, così come un’applicazione formale che non risulta essere squilibrata. Questo permette ai momenti più “moderni”, a livello armonico dell’ultimo tempo, di risultare sempre integrati, fluidi all’interno della dimensione generale alla quale appartengono.
L’interpretazione dell’opera di Musorgskij è incentrata su una ricerca dei colori che traspaiono, come a rendere più vivida la trasposizione dalle tonalità dei vari quadri presi in oggetto alla tavolozza timbrica della tastiera. Da qui una scelta agogica di determinati passaggi (Tuileries viene resa con estrema lentezza per poi ravvivarsi a tratti, così come Bydlo viene rimarcato e declamato con un continuo uso della pedaliera per imprimere maggiore oscurità al brano, così come in Samuel Goldenberg und Schmuyle viene evidenziato oltremodo il contrasto tra il registro grave e quello medio-acuto). Inoltre, vi è una marcata lentezza espositiva nel tratteggiare Catacombae, mentre La cabane sur des pattes de poule viene reso con colori scuri e il quadro che conclude la composizione, La grande porta di Kiev, con un senso di grande misura, quasi con pudore introspettivo, con le esplosioni timbriche che risultano essere se non controllate quantomeno circoscritte con attenzione, evitando un uso esagerato dei pedali e con una dilatazione temporale che ne aumenta il pathos.
Uriel Pascucci si è voluto cimentare anche compositore, con una pagina, suddivisa in tre parti, ognuna delle quali si trasforma in un segmento esplorativo del suono (sempre esposto all’interno degli argini del linguaggio tonale), in cui a primeggiare è il brano centrale, Tango, che dell’idea del ballo che abbiamo non ha nulla a che fare, ma che si dipana in un andamento squisitamente ritmico attraverso un dialogo tra la parte grave e quella acuta della tastiera.
Buona la presa del suono, con il pianoforte (uno Steinway Model D) che viene esaltato da una dinamica robusta, estremamente corposa, leggermente inficiata a tratti da una sottile, ma sopportabile, enfasi. La ricostruzione dello strumento è assai avanzata, senza però risultare sgradevole o oltremodo scorretta, mentre l’equilibrio tonale a volte vede impastati il registro acuto con quello grave, con quest’ultimo che tende ad essere lievemente dominante. Infine, più che sufficiente il dettaglio, anche se la messa a fuoco del pianoforte non è tale da scolpirlo idealmente.
Andrea Bedetti
AA.VV. Solo piano
Uriel Pascucci (pianoforte)
CD iMD-classics
Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 3,5/5