Abbiamo intervisto il giovane artista laziale, il quale ha recentemente registrato per Da Vinci Classics un disco con opere di Albéniz, Mompou e de Falla, dando inizio all’integrale dei quattro quaderni che compongono la suite Iberia
Maestro Trolese, quali sono i motivi e gli stimoli che l’hanno spinta a registrare i primi due quaderni di Iberia di Albéniz, quattro pagine delle quattordici Cançons i Danzas di Mompou e la Fantasia Bætica di de Falla? Da parte mia posso ipotizzare che tale scelta sia stata fatta in nome di un progressismo pianistico che spesso e volentieri noi siamo abituati a restringere solo a Debussy e a Ravel da un lato e a Skrjabin dall’altro.
L’idea di registrare un disco di musica spagnola è nata molti anni fa. Quando ho cominciato a scoprire sul serio il piacere d’ascolto della musica classica (che ha coinciso con lo studio approfondito dell’armonia e dell’analisi musicale, intorno agli 11-12 anni), una delle opere che più mi affascinava era la suite Iberia di Isaac Albéniz. La volontà, “prima o poi”, di registrare questa musica era già presente allora. Recentemente ho rielaborato questo precoce amore per la musica spagnola, scoprendo anche altri compositori come De Falla, Mompou e Turina, oltre ad Albéniz. Così nasce l’idea di un disco - meglio, di un progetto - che mi porterà ad incidere integralmente i quattro libri di Iberia di Albéniz, ma non in un unico CD: Albéniz stesso non aveva previsto un’esecuzione concertistica integrale per questo lavoro, tanto che i singoli brani dei quattro quaderni tendono ad assomigliarsi notevolmente. Ad inframezzare i quaderni di Iberia, ecco che mi è sembrato perfetto inserire le Cançons di Mompou e la Fantasia Bætica di De Falla.
Ricollegandoci alla domanda precedente, quali sono le differenze sostanziali che distinguono le istanze moderniste del pianismo francese, che prese spesso spunto da idee, temi, ritmi appartenenti alla tradizione popolare spagnola, da quelle dei tre autori presi in considerazione nella sua registrazione discografica?
Io credo che la grande differenza fra l’atteggiamento “spagnoleggiante” di Debussy e Ravel (autori principi dell’avanguardia francese di inizio ‘900) e la scrittura di Albéniz, De Falla e Mompou sia nell’uso del retaggio musicale popolare spagnolo. I due compositori francesi tendono a servirsi della musica popolare spagnola per un effetto coloristico, per un tocco esotico: lo trovo particolarmente evidente in Scarbo, ultimo brano del Gaspard de la Nuit di Ravel, il cui tema principale è “spagnoleggiante” sia ritmicamente che nella scrittura di ispirazione chitarristica con rapidi arpeggi discendenti. Ma Scarbo non appartiene al folklore spagnolo, è soltanto uno dei personaggi del ciclo di poemi Gaspard de la Nuit di Aloysius Bertrand - da cui Ravel è sedotto - scritti dal poeta con un occhio alla sua infanzia piemontese: era nato a Ceva (provincia di Cuneo), dove il Diavolo si dice proprio “Gasparo”. Nei compositori spagnoli, il recupero dell’elemento popolare è molto più sostanziale, non è eccezionale o passeggero. Albéniz, De Falla e Mompou basano la loro poetica sulla musica popolare dell’Andalusia (per i primi due) e della Catalogna (per l’ultimo), anche il modo che hanno di trattare l’elemento folkloristico è diverso, così poi come il linguaggio pianistico, melodico e armonico. Ma la radice comune è sicuramente quella di un fierissimo senso di appartenenza alla loro terra, reso ancora più forte quando ne sono lontani e la desiderano con nostalgia.
Solitamente, la critica punta il dito sulle difficoltà intrinseche che saturano alcune delle pagine di Iberia, così come il fatto che la Fantasia Bætica sia ancora oggi un brano incompreso, prendendo a motivo il fatto che il committente di quest’ultima, Arthur Rubinstein, dopo averla eseguita pochissime volte, l’abbandonò sostenendo la sua “inadeguatezza pianistica”. Eppure, dietro queste incomprensioni e queste difficoltà tecniche, vi è un’indubbia “cantabilità” che spesso viene sottaciuta e non evidenziata a dovere in sede interpretativa. Penso, soprattutto, al fatto che si affronta sovente Iberia pensando troppo a Liszt…
È un dato di fatto che Iberia e la Fantasia Bætica siano alcune delle partiture di più difficile realizzazione al pianoforte. Tuttavia, è altrettanto indubbio che il loro valore artistico non risiede nell’aspetto ginnico, ma nel “colore pianistico” che gli autori stavano cercando al momento della composizione. Sia Albéniz che De Falla non cercano assolutamente di riprodurre un suono pianistico preesistente, anche se le tecniche di ognuno hanno delle radici in Liszt e in Ravel. In particolare, la “scomodità” dei frequentissimi incroci delle mani in Albéniz è un’idea personalissima di questo compositore, che in questo modo riesce a far suonare accordi armonicamente ben conosciuti in una maniera innovativa e magica; inoltre, la danza pianistica delle mani che si incrociano (corrispondente alla danza della musica di Iberia) dà vita ad un suono percussivo, ma non pesante ed opprimente: non siamo qui di fronte alla meccanico e martellato suono di Prokof’ev, ma ad una “percussione leggera”, che evoca sonorità più chitarristiche che pianistiche, in una maniera nuova nella storia della musica. Anche De Falla evoca delle sonorità chitarristiche, a partire dal primissimo accordo della Fantasia Bætica, che potrebbe essere realizzato dalla chitarra a “corde vuote”. De Falla pone un accento ancora più marcato sulla “percussione leggera” di Albéniz, arrivando a simulare molto efficacemente anche il battere delle scarpe della ballerina di Flamenco su un ipotetico parquet. Così, la considerazione di pianoforte come strumento a percussione di De Falla non è troppo lontana né da Stravinskij, né oso dire da Cage. Ciononostante, anche la cantabilità è un elemento fondamentale della Fantasia Bætica, che imita in una maniera particolarissima il canto gutturale dei cantanti di Flamenco, che sfruttano il limite massimo della loro tessitura, aggiungendo alle note una sensazione di sforzo che stanno fisicamente facendo per intonarle. È questo mix di percussione ed estrema cantabilità il lato più affascinante di questo capolavoro assoluto, ed è un peccato che un musicista come Arthur Rubinstein non l’abbia colto.
Dopo la Spagna, nei suoi futuri progetti concertistici, quando questa pandemia sarà finalmente debellata, e discografici, sarà preso in considerazione un altro binomio pianistico-geografico? Oppure sta già pensando a qualcosa di diverso?
Questo progetto spagnolo mi terrà ancora parecchio occupato per la registrazione del secondo disco, che porterà a termine la suite Iberia di Albéniz, con il terzo e quarto libro. Fino al completamento del ciclo, non credo di intraprendere altri progetti discografici. In senso concertistico, il più importante obiettivo prima di tutto è poter ricominciare a fare dei veri concerti dal vivo: dal vivo, per i “vivi”, e non più per le telecamere e i microfoni. Mi auguro che si possa tornare a suonare in pubblico quanto prima! Nei miei prossimi concerti proporrò certamente delle musiche spagnole: divulgarle è per me un obbligo morale, dato che purtroppo, anche nelle grandi stagioni, si evita di programmare questa musica per ragioni che, onestamente, ignoro. Inoltre, ho imparato la trascrizione di Franz Liszt della Seconda sinfonia di Beethoven, un brano che desidero molto suonare in pubblico, perché trovo incredibilmente godibile questa musica al pianoforte: si possono portare alla luce dettagli diversi dalle esecuzioni orchestrali. E poi… l’anno scorso il compleanno di Beethoven è stato decisamente rovinato, conoscendo il suo carattere burrascoso… meglio correre ai ripari e provare a festeggiarlo alla prima occasione!
Andrea Bedetti