Disco del mese di Febbraio 2025
Determinati autori sono costretti, volenti o nolenti, a fare i conti con quei brani di loro produzione che, soprattutto a posteriori, hanno decretato il loro successo. Devono farlo poiché il successo ottenuto è stato così debordante da oscurare il resto delle loro creazioni musicali e il nome di quel dato compositore, investito da tale, eclatante fama, viene così automaticamente collegato a quella data opera da lui creata e viceversa. Un circolo vizioso, questo, che alla lunga diventa controproducente, per il semplice fatto che buona parte del catalogo compositivo di quel musicista viene di conseguenza gettato nel dimenticatoio della storia e degli uomini.

Pensiamo al caso di Aram Il’ič Chačaturjan, il cui nome viene annosamente associato alla Danza delle spade, che è stata utilizzata fino alla nausea nei numeri da circo o negli spot pubblicitari; qui, l’esempio è ancor più calzante, poiché questo brano non è un’opera a sé, ma appare nel quarto atto del suo balletto Gayaneh. Solo che tutti conoscono la Danza delle spade e pochissimi il balletto completo. E sempre per restare nell’ambito del compositore armeno, che è stato poi sovietizzato all’indomani della Rivoluzione russa, al di là del suo Concerto per pianoforte, il resto della sua cospicua produzione musicale appartiene al circolo degli addetti ai lavori o degli appassionati di musica russa del Novecento, e questo soprattutto in Occidente. Quindi, è da salutare con apprezzamenti la decisione di una delle più raffinate e curiose pianiste attualmente in attività, Victoria Terekiev, di registrare le opere pianistiche di Chačaturjan per l’etichetta discografica Da Vinci Classics, cosa che ha fatto in due CD, di cui il primo uscito nel 2022 e il secondo, quello preso in oggetto in questa recensione, più recentemente.

La principale peculiarità dell’arte compositiva del musicista armeno risiede nel fatto che fu capace di coniugare la tradizione sonora della sua terra con le tipiche istanze della musica classica occidentale. Tale caratteristica, nel disco in oggetto, si rende manifesta attraverso una pagina come i Recitativi & Fughe risalenti al 1966, ossia nella piena maturità del musicista armeno. Qui, l’incontro tra tradizione e classicità viene fornita dai due distinti generi, visto che nel recitativo Chačaturjan esprime temi e radici che appartengono alla cultura sonora armena (mutuata dal prete, musicologo e ricercatore di musica folkloristica Komitas), mentre nell’elaborazione della fuga la sua vena compositiva si abbandona a un rigore creativo in cui l’elemento contrappuntistico si coniuga anche con elementi dissonantici, quasi una stortura, una deviazione del sentiero musicale in chiave novecentesca. Questa raccolta, inoltre, ci fa comprendere meglio per quali motivi la musica del compositore armeno incontrò maggiormente il favore della nomenklatura sovietica rispetto a quella dell’introverso Šostakovič e del caustico Prokof’ev, anche se per lo stesso Chačaturjan la vita sotto l’egida dittatoriale non fu esente da momenti difficili e da pubbliche autocritiche. Ma il ciclo di sette Recitativi e di altrettante Fughe, a mio avviso, dovrebbe rappresentare l’incipit d’ascolto della produzione di questo autore, in quanto qui viene enunciato in modo chiaro e autorevole uno stile che ne manifesta la sua grandezza e la sua autenticità, sul solco di una musica che deve anche insegnare, ossia simbolo di un’etica che non dev’essere mai accantonata, soprattutto nel corso di quei frangenti storici deputati alla massificazione ideologica.

Non per nulla, accanto alla produzione compositiva, Chačaturjan fu anche didatta, con un ruolo di docente al Conservatorio di Mosca a partire dal 1951, un incarico che gli fece comprendere l’importanza della trasmissione conoscitiva, del passaggio della testimonianza da una generazione all’altra, della trasmigrazione sensitiva nell’arte dell’interpretazione musicale. Anche questa esperienza professionale fu foriera per lui di opere che andarono ad arricchire il suo catalogo, come nel caso di un altro ciclo presentato da Victoria Terekiev in questo secondo disco della Da Vinci Classics, ossia il secondo volume dell’Album per fanciulli, che va ad allinearsi agli altri contributi musicali dedicati al mondo infantile e adolescenziale. Questo secondo libro è del 1965 e ci mostra come Chačaturjan sia stato anche un notevole descrittivo, un musicista capace di raccontare, di illustrare, di raffigurare con grande efficacia. In effetti, ascoltare questo ciclo di dieci brani è come guardare un album pieno di fotografie che riempiono di stupore e di nostalgia, senza tralasciare elementi ironici, buffi, persino comici, poiché la trasmissione di una magia fatta di magistero e di arricchimento passa anche attraverso tali stati d’animo. Questo perché il nostro autore, in qualità di didatta, era perfettamente cosciente che la principale molla per stimolare un discente è quella di accendere la sua curiosità e questi brevi pezzi vantano anche la capacità di saper incuriosire musicalmente, di prendere possesso e dimestichezza con l’arte sonora attraverso domande che necessitano risposte senza che le une e le altre divengano trappole intrise di noia e di stanchezza.
La capacità di raccontare attraverso il suono ha fatto di Chačaturjan anche un ideale musicista per il cinema, al punto che fu il primo compositore sovietico a scrivere musica per film sonori. La sua produzione, in tal senso, ammonta a circa venticinque colonne sonore, tra cui quella per Pepo (girato nel 1935), il primo film sonoro armeno, senza contare che una delle maggiori onorificenze sovietiche, ossia il premio Stalin, gli fu conferita nel 1950 per la colonna sonora de La battaglia di Stalingrado (diretto l’anno prima da Vladimir Petrov). Un esempio di tale capacità compositiva viene offerta in questo CD dal Vocalizzo, che lo stesso compositore armeno rielaborò nel 1978, l’anno della sua morte, dalle musiche da lui scritte per il film Otello, diretto nel 1955 da Sergei Yutkevich, pellicola con la quale il regista sovietico si aggiudicò l’anno successivo il premio per la miglior regia al Festival di Cannes.
Virando sul côté colto della sua produzione pianistica, la Sonata, composta originariamente nel 1961 e rivista radicalmente quindici anni dopo, rappresenta uno dei momenti più alti di tutto il catalogo del compositore armeno, anche se continua ad essere una sorta di oggetto sconosciuto nelle sale concertistiche e negli studi di registrazione (quei pochi dischi che l’annoverano, continuano a proporla nella versione del 1961 che, in qualche modo, è stata rinnegata dallo stesso autore). L’imprimatur di questa pagina fu dato da Emil Gilels che la eseguì per la prima volta il 15 febbraio 1963 a Leningrado. Il fatto che fu Gilels a eseguirla al battesimo interpretativo dovrebbe far riflettere, in quanto certifica il fatto che si tratta di uno dei brani pianistici più ardui di tutto il Novecento storico, al di là di una struttura radicalmente astratta che rende oltremodo problematica la sua lettura, soprattutto per ciò che riguarda i due tempi opposti dei tre proposti dalla Sonata. Difatti, all’interno dell’Allegro vivace iniziale e dell’Allegro assai finale si vengono a realizzare temi altamente contrastanti che devono essere risolti adeguatamente per rispondere all’esigenza di un’arcata complessiva della composizione, oltre a richiedere all’interprete un’agilità tecnica non indifferente (e questo concerne soprattutto il tema iniziale del primo tempo, con la mano sinistra e quella destra che si scambiano numerose sollecitazioni motiviche), senza dimenticare che l’Andante tranquillo centrale dev’essere debitamente “decodificato” agogicamente dapprima attraverso la resa di una successione ipnotica di accordi che solo gradualmente si fondono in un tema vero e proprio, la cui eloquenza si realizza mediante il suo stesso equilibrio formale.

Confesso che non ho avuto modo di ascoltare il primo disco dedicato da Victoria Terekiev a questo progetto pianistico incentrato su Chačaturjan, ma mi è bastato ascoltare e riflettere sul secondo per capire che ci troviamo di fronte a una lettura potente e lucida, lucidissima, capace di fare chiarezza sulla portata compositiva ed espressiva del musicista armeno nei confronti del pianoforte. Ora, non sto a sindacare sulle origini slave della nostra pianista, quale possibile aggancio nel saper rendere così ottimamente le pagine affrontate; semmai, mi appello alla sua straordinaria sensibilità interpretativa che ho già avuto modo di elogiare altrove, la quale le permette sempre di dipanare come Cristo comanda anche le opere più ingarbugliate e complesse. Chi afferma che la musica pianistica di Chačaturjan non sia da prendere con la dovuta attenzione e con il necessario rispetto interpretativo, dovrebbe essere fucilato senza processo. Victoria Terekiev ha compreso perfettamente tale istanza e lo ha fatto con un’esecuzione che tira fuori dal cilindro del cappellaio matto ogni sfumatura emotiva e psicologica (il secondo libro dell’Album per fanciulli), così come la dimensione compositiva che il musicista armeno instilla con rigore nella scrittura che oscilla tra la tradizione popolare e la sua trasformazione colta in chiave contrappuntistica (Recitativi & Fughe) e, soprattutto, come si suol dire, la sua lettura vale il costo del disco, per come riesce a offrire un’interpretazione smagliante, entusiasmante, scavata in profondità, della terribile e ostica Sonata (a mio parere, questa dev’essere intesa come la versione di riferimento esecutivo).
Disco del mese di febbraio per MusicVoice.
Fabio Venturi ha portato a termine una presa del suono che non va a inficiare la brillantezza interpretativa della nostra pianista; la dinamica si fa apprezzare per velocità, energia (e ce ne vuole con la scrittura del compositore armeno) e naturalezza del suono. Anche il parametro del palcoscenico sonoro non ne esce offeso, ma ricostruisce il pianoforte al centro dei diffusori, scolpito in modo alquanto ravvicinato rispetto all’ascoltatore, ma senza fornire sentori di scorrettezza o innaturalezza. L’equilibrio tonale rispetta debitamente i registri che sono sempre riconoscibili e senza mostrare sbavature di sorta, mentre il dettaglio permette di avere il pianoforte circondato da dosi rassicuranti di nero, esaltando la sua fisicità.
Andrea Bedetti
Aram Khachaturian – An Armenian in Moscow. Vocalize, Sonata and Piano Works II
Victoria Terekiev (pianoforte)
CD Da Vinci Classics C00920
Giudizio artistico 5/5
Giudizio tecnico 4/5