Intervista all’artista padovano che, dopo una brillante attività forense, ha deciso di seguire definitivamente la sua passione per la musica, che affronta con una forma mentis che ricalca la linea interpretativa seguita nelle cause giuridiche. Sarà lui a dirigere la Turandot di Puccini a Padova il 25 ottobre, con la regia di Filippo Tonon
Maestro Casellati, per la rappresentazione della Turandot a Padova si è scelta la versione che contempla il finale scritto nel 1926 da Alfano. Più precisamente, si tratta della versione originale ritrovata nel 1982 o è quella accorciata da Toscanini?
È stata scelta la versione originale di Alfano, quella ritrovata nel 1982 e non quella accorciata da Toscanini. Ritengo che tra i finali che sono stati fatti da lui per ultimare il capolavoro pucciniano sia il migliore. Certo, Alfano non era Puccini, ma le sue scelte compositive per la Turandot non snaturano l’impianto generale dell’opera. Spesso, si è soliti a condannare i finali di opere scritti da altri autori, ma non dimentichiamo che la storia della musica è ricca di casi del genere, anche se non ci facciamo caso: si pensi alla pagina La notte di San Giovanni sul Monte Calvo di Modest Musorgskij, che noi conosciamo solo perché, dopo la sua morte, il suo grande amico Rimskij-Korsakov la ultimò e la diede alle stampe con il titolo di Una notte sul Monte Calvo.
Sempre per ciò che riguarda il finale di Alfano, è ovvio che in questo modo si “snatura”, se mi permette il verbo, il fascino dell’incompiutezza dell’opera, di ciò che Puccini non è riuscito a creare nel tentativo di descrivere le ultime scene del terzo atto. E questo vale, tanto per citare un altro capolavoro, anche per la Lulu di Berg, con il terzo atto strumentato da Friedrich Cerha. Non c’è il rischio di togliere il tormento, e di conseguenza l’estasi, che avvolge un’opera che resta formalmente incompiuta? In fondo, ogni opera d’arte, pur nella sua compiutezza, resta per forza di cose incompiuta nel suo significato…
Non sono d’accordo sul fatto che, ultimando il finale incompiuto di un’opera, si possa snaturare la sua essenza, la sua portata, il suo valore. Per quanto riguarda la Turandot dobbiamo partire dal fatto che prima di tutto il libretto è completo e quindi abbiamo chiaramente la visione globale del capolavoro pucciniano; partendo da tale assunto se noi dovessimo considerare nella sua “totalità” l’opera incompiuta, ritengo che dovremmo allora intitolarla Liù e non Turandot, visto che si ferma nel momento in cui Liù strappa di sorpresa un pugnale a una guardia e si trafigge a morte. Ecco, allora, che se vogliamo invece concepire l’ultimo capolavoro di Puccini come un’opera che viene portata a termine da altri e non dal suo autore per via della sua morte e considerarla Turandot in tutto e per tutto, non la snaturiamo di certo se la eseguiamo nella sua interezza, rispettando in tal modo la volontà e il desiderio del musicista toscano.
Il regista Filippo Tonon ha voluto improntare il capolavoro finale di Puccini esaltando una dimensione inconscia, facendo affiorare elementi psicoanalitici, dando forma a sogni, desideri repressi, atti mancati. Tutto ciò, trasposto sulla tessitura musicale, come può essere reso attraverso la partitura?
Da parte mia, condivido le scelte registiche effettuate da Tonon, anche se abbiamo potuto soltanto confrontarci al momento solo telefonicamente, in attesa di poterlo fare poi al momento delle prove che, per fortuna, rispetto ai tempi sempre più ristretti e frenetici del mondo operistico attuale, saranno di tre settimane, con cantanti, coro e orchestra. Detto ciò, quando si affronta la messa in scena di un’opera lirica, regista e direttore d’orchestra hanno un compito preciso e ineludibile, quello di rispettare pienamente quanto è riportato nella partitura. Questo significa che io non devo seguire quanto stabilisce il regista, ma insieme dobbiamo interpretare la partitura e quanto riporta il libretto. Partendo da tale punto, è ovvio che la lettura che ne vuole dare Tonon sotto l’aspetto della regia e della scenografia è di andare a scavare nell’ambito inconscio di una donna, Turandot, la “Principessa della Morte”, per cercare di comprendere i suoi meccanismi psicologici, capire il perché del suo odio viscerale contro tutto e contro tutti e quindi la chiave psicoanalitica può essere intrigante e accattivante.
Lei, Maestro Casellati, ha fatto una scelta di vita coraggiosa, quella di lasciare una precedente professione, ricca di soddisfazioni, per dedicarsi esclusivamente alla musica. Esempi, in tal senso non mancano, basti pensare a Charles Ives, che decise di fare il musicista a tempo pieno solo dopo aver raggiunto la sicurezza economica come assicuratore, o ad Aleksandr Borodin, il quale condivise la sua attività di compositore con quella di chimico di fama internazionale. La mia domanda è: iniziando solo in un secondo momento l’attività musicale, come nel suo caso, che cosa si perde e che cosa, invece, si guadagna?
Guardi, vorrei chiarire che io non mi sono consacrato alla musica solo in età cosiddetta adulta, dopo essermi dedicato agli studi giurisprudenziali e all’attività forense. I miei studi musicali sono iniziati all’età di quattro anni con il pianoforte, sono proseguiti a otto anni con il violino e poi, parallelamente con gli studi universitari, con la mia frequenza al conservatorio e alla Juilliard School. Se poi ho deciso di lasciare l’attività di avvocato è perché ho capito, proprio grazie a quanto avevo appreso nel corso degli anni precedenti, che la mia vera dimensione esistenziale e professionale non poteva che essere quella consacrata alla musica. Poi, c’è un’altra cosa che vorrei mettere in evidenza e che deve far capire come a livello di forma mentis ci sia una qual certa attinenza di approccio tra l’attività forense e quella musicale; quando si deve affrontare un caso giuridico, lo si studia come se fosse una partitura, nel senso che ci dev’essere necessariamente una “linea interpretativa” da costruire e portare avanti, proprio come quando un direttore d’orchestra o un artista fanno con una composizione che devono interpretare.
Un’ultima domanda: quali sono i suoi prossimi impegni sul podio? E a livello discografico ci saranno in futuro delle incisioni a livello operistico o sinfonico?
Per quanto riguarda i progetti discografici sto portando avanti qualcosa della quale, però, non voglio parlare in quanto è ancora prematuro. Per ciò che concerne invece gli impegni sul podio, al di là della Turandot, continua la mia opera di divulgazione della lirica italiana all’estero con il progetto “Opera Italiana is in the Air” (l’ultima esibizione è stata a Napoli, nella centralissima Galleria Umberto I), oltre a dirigere a metà ottobre alla Zaryadye Hall di Mosca i giovani dell’Accademia del Bolshoi con i cantanti dell’Accademia della Scala.
Andrea Bedetti