Una meteora di nome Scott Joplin

Il nome di Scott Joplin, almeno nel nostro Paese, è legato a quello del film La stangata e alla relativa colonna musicale che lo accompagna e che nel 1974 si aggiudicò anche uno dei sette premi Oscar vinti dalla pellicola di George Roy Hill. Fu quindi grazie a questo film ambientato nell’Illinois negli anni Trenta, che la musica del compositore texano conobbe un grande successo unitamente al genere del ragtime, del quale Joplin fu il massimo esponente, permettendo così al grande pubblico di apprezzare un brano come The Entertainer (che fa proprio da tema conduttore del film).

Il genere da ballo ragtime, contraddistinto da un ritmo sincopato, come d’altronde lo stesso Scott Joplin, ebbe vita breve, raggiungendo la massima notorietà negli Stati Uniti in trent’anni, tra l’ultimo decennio dell’Ottocento e i primi due del Novecento, soprattutto nel Sud dell’America, nella zona tra Saint-Louis e New Orleans. Da parte sua, Scott Joplin nacque tra il 1867 e l’anno successivo (la data esatta non si conosce) e morì a New York, vittima della neurosifilide, nel 1917, al termine di un’esistenza avventurosa, avara di successi e di gloria. Come ogni bambino di colore (suo padre fu un ex schiavo che fece l’operaio e la madre una povera donna di servizio), Joplin ebbe un’infanzia dura, ma dimostrò fin da subito una spiccata predisposizione per la musica, al punto che dopo aver attirato l’attenzione delle famiglie benestanti bianche, presso le quali la madre si recava per fare il suo lavoro, suonando i pianoforti presenti nelle loro abitazioni, fu da loro aiutato a prendere regolari lezioni di musica, tra cui quelle di Julius Weiss, un pianista di origini tedesche che ebbe il merito di fornirgli un’educazione musicale squisitamente classica, un aspetto che si rivelò poi fondamentale nella sua opera musicale.

La cover della registrazione OnClassical dedicata alla musica pianistica di Scott Joplin.

Anche per via di questa formazione classica, il principale obiettivo di Joplin, nel corso della sua breve e sfortunata carriera artistica, fu quello di nobilitare il ragtime (un termine che letteralmente significa “tempo a brandelli”), che può essere considerato il genere musicale di origine afroamericana che anticipa il jazz e in cui la mano sinistra del pianista scandisce un tempo uniforme e regolare, mentre la mano destra elabora melodie sincopate. Ecco perché, con il desiderio di dare finalmente dignità e distinzione artistica al ragtime, il compositore texano volle trasporre i suoi ritmi anche in due opere liriche, A Guest of Honour, che è andata sfortunatamente perduta, e Treemonisha, di cui si conserva solo lo spartito e che nessun editore volle mai pubblicare, tanto che fu lo stesso Joplin a farlo a sue spese, ma senza riuscire mai a farla rappresentare pubblicamente.

Che la musica di Joplin sia caduta poi nel dimenticaio dopo la sua morte è confermato anche dal fatto che solo diversi decenni dopo, esattamente nel 1971, la musicologa americana Vera Brodsky Lawrence curò la pubblicazione dell’opera omnia del compositore di colore, dando inizio alla riscoperta del ragtime e del suo principale esponente. E due anni dopo ci pensò il già citato film La stangata a far conoscere al grande pubblico l’epopea di questo genere e Scott Joplin, senza contare che nel 1972 il compositore americano Gunther Schuller è riuscito a ricostruire l’orchestrazione di Treemonisha (dopo la morte di Joplin, la partitura originale era andata perduta) e a portarla in scena, facendo in modo che il pubblico conoscesse finalmente quella che è stata definita una sorta di “Zauberflöte in stile americano”.

Così, negli ultimissimi decenni, la musica di Joplin è stata sdoganata anche a livello discografico, a cominciare dalla registrazione effettuata da William Albright nel 1990 con l’integrale (almeno a quell’epoca) dei trentaquattro ragtime composti dal musicista texano. Ora, invece, ci ha pensato Alessandro Simonetto, abituato ad esplorare territori musicali poco battuti, a presentare con l’etichetta OnClassical tutti i lavori pianistici di Joplin, alla luce delle ultimissime acquisizioni musicologiche, con un corpus registrato su tre CD e che presenta esattamente quarantadue ragtime, cinque marce, cinque valzer, un tango e un “Intermezzo afroamericano”.

Il pianista, discografico e ingegnere del suono Alessandro Simonetto.

L’interprete ha voluto presentare questi cinquantaquattro brani secondo un ordine prettamente cronologico, una scelta che si può senz’altro condividere in quanto permette all’ascoltatore di comprendere meglio un aspetto fondamentale, ossia quello di evitare di considerare Scott Joplin non solo un autore per così dire “monotematico”, ma soprattutto incapace di sapersi artisticamente e musicalmente evolvere, come dimostrano quei ragtime scritti tra il 1906 e il 1909, che brillano grazie a una straordinaria inventiva melodica capace sempre di differenziarsi e quasi mai ripetitiva. Non solo, facendo un debito raffronto con la lettura di Albright e, allo stesso tempo, ascoltando (cosa che si può fare su YouTube) quei pochi brani che lo stesso Joplin riuscì a registrare su piano meccanico prima di morire (tra cui Maple Leaf Rag), non si può non apprezzare le scelte stilistiche e di approccio espressivo di Alessandro Simonetto, il quale è molto più rispettoso a livello di agogica rispetto allo stesso Albright.

Ne scaturisce, così, un’interpretazione che può definirsi realmente “classica”, come avrebbe voluto e sognato Scott Joplin, sul solco di un’evoluzione compositiva che ci fa comprendere come il compositore texano vedesse nel ragtime un genere capace di raccontare e non solo di esprimere il proprio tempo attraverso un linguaggio falsamente leggero e “ballabile”, una sorta di Chopin di colore in grado di raffigurare con un’impareggiabile sensibilità le mutazioni sociali e culturali di quegli anni in America.

Lo stesso Alessandro Simonetto ha curato la presa del suono, come al solito con un approccio squisitamente audiofilo, rendendo piena giustizia al meraviglioso timbro dello Steinway D-274 “Ferrari-O”, selezionato nel 1968 da Arturo Benedetti Michelangeli e che ora appartiene allo stesso Simonetto. Un timbro che Scott Joplin non avrebbe potuto minimamente immaginare, ma che trasforma le sue opere pianistiche con una spazialità “polifonica” capace di restituire le debite sfumature della sua musica grazie a un equilibrio tonale in cui gli armonici del registro grave e di quello acuto sono riprodotti sempre con una precisa autonomia timbrica. Inoltre, lo strumento è spazialmente scolpito al centro dei diffusori, leggermente ravvicinato ma perfettamente plausibile nel dettaglio, complice una dinamica efficacemente naturale, priva di enfasi, e straordinariamente veloce.

Andrea Bedetti

 

Scott Joplin – Ragtimes, Marches, Waltzes and other Pieces

Alessandro Simonetto (pianoforte)

3 CD OnClassical OC19122B

 

Giudizio artistico 4/5

Giudizio tecnico 5/5

 

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