Il Doppio Borgato, un “mostro sublime” che fa rima con pianoforte
Nel cuore del Veneto, a Sossano vicino a Vicenza, si trova la bottega dell’unico artigiano al mondo che costruisce ancora completamente a mano uno straordinario gran coda e un incredibile e particolarissimo strumento, il piano pédalier. Questo artigiano si chiama Luigi Borgato ed ecco l’intervista che ha concesso a “MusicVoice”
Tra le tante eccellenze artistiche che il nostro Paese può vantare c’è anche un laboratorio-bottega, a Sossano, nell’operosa provincia vicentina, dove lavora l’unico artigiano al mondo capace di costruire pianoforti gran coda da concerto interamente a mano, pezzo dopo pezzo. Questo personaggio straordinario, che si è creato un’aura di leggenda nel mondo del pianismo internazionale, si chiama Luigi Borgato e dal 1991, anno in cui risale il suo primo pianoforte, continua a fronteggiare, con tanta passione e un pizzico di incoscienza, come un coraggioso Davide, i diversi Golia dell’industria pianistica, a cominciare dalla Steinway, fino ai colossi giapponesi della Yahama e della Kawai. Oltre a costruire un meraviglioso gran coda, il “Borgato L 282”, suonato da artisti come Radu Lupu, Lazar Berman e Vladimir Ashkenazy, Luigi Borgato è anche uno dei pochissimi al mondo capaci di dare vita a uno strumento assai particolare e pochissimo conosciuto, il cosiddetto piano pédalier, formato dall’unione di due pianoforti gran coda da concerto, di cui uno, quello posto in basso, viene suonato con una pedaliera, simile a quella in dotazione degli organi, che consta di trentasette pedali (ossia cinque in più rispetto a quella dell’organo). Un “mostro”, chiamato “Doppio Borgato”, che sfiora i quattro metri e mezzo di lunghezza e con un peso complessivo che supera la tonnellata!
Maestro Borgato, oltre a dare vita alla sua bottega artigianale, che cosa l’ha spinta a creare il “Doppio Borgato”?
L’idea mi è venuta nel 1992, dopo aver assistito a un concerto con musiche di Schumann per piano pédalier, esattamente le opere 56, 58 e 60, eseguite però su due pianoforti da Antonio Ballista e da Bruno Canino. Il pensiero di questo particolare pianoforte mi tornò poi in mente visitando alcuni dei più prestigiosi musei musicali a livello internazionale, come quelli di Norimberga, Anversa e Lipsia, dove sono conservati dei fortepiani e dei clavicembali a doppia cassa armonica, con la seconda posta sotto la prima. Ma fu al museo musicale di Vienna che decisi di creare, in versione moderna, un piano pédalier, dopo aver visto il particolarissimo strumento appartenuto a Mozart, costruitogli appositamente da Anton Walter. Certo, tra la messa a punto teorica e la realizzazione del primo “Doppio Borgato” ci sono voluti esattamente otto anni, dato che il primo modello è stato ultimato nel 2000.
Che peculiarità ha uno strumento del genere? È davvero così difficile e faticoso suonarlo, come mi ha detto Roberto Prosseda, uno dei pochissimi pianisti al mondo capace di “domarlo”?
Indubbiamente sono pochissimi coloro che decidono di cimentarsi con il piano pédalier, anche perchè suonare la pedaliera di questo strumento è molto più difficile rispetto a quella di un organo. E questo per un semplicissimo motivo: a differenza di quanto si possa credere, la pressione che si ottiene con il piede è più debole e più lenta rispetto a quella che si ottiene con le dita delle mani. Quindi, per ovviare a questo problema e per aiutare gli esecutori, nel corso degli anni ho costruito una meccanica capace di eliminare in parte tale ostacolo. Comunque, è vero: suonare uno strumento del genere, oltre che difficile, è anche molto faticoso a livello fisico. Ma a rendere difficile la sua diffusione è anche un altro fatto: la sua letteratura musicale è alquanto scarna, visto che sono stati pochi quegli autori, al di là di Schumann, Alkan, Gounod e qualcun altro, a scrivere pagine per il piano pédalier.
Due curiosità: di quanti distinti pezzi, tra piccoli e grandi, è composto un “Doppio Borgato” e quanto tempo ci vuole per costruirne uno?
Beh, a dire il vero, non li ho mai contati uno a uno ma, a occhio e croce, ogni “Doppio Borgato” è composto dall’assemblamento di non meno di quarantamila pezzi. Per quanto riguarda il tempo della sua costruzione ci aggiriamo intorno alle 1.800 ore di lavoro che naturalmente devono essere spalmate nel corso dei mesi. Diciamo che se un interprete venisse oggi a chiedermi questo strumento, gli chiederei di pazientare non meno di diciotto-ventiquattro mesi prima di vederlo pronto, proprio per il fatto che ogni singolo pezzo viene fatto rigorosamente a mano, oltre al fatto che diversi di essi, una volta assemblati, necessitano di periodi di stagionatura e consolidamento.
Alcuni grandi artisti del passato e del presente prediligono e suonano i suoi pianoforti. Che cosa ci può dire di loro, a livello di aneddoti e curiosità?
Più che altro mi viene voglia di fare una considerazione: i grandi artisti del passato o appartenenti a passate generazioni avevano e hanno una conoscenza tecnica e meccanica del pianoforte sicuramente superiore a quella degli interpreti più giovani. Io non ho mai avuto la fortuna di incontrare e conoscere Arturo Benedetti Michelangeli, ma so che aveva una conoscenza accurata e approfondita dello strumento e sono certo del fatto che il suo modo di suonare, il suo leggendario tocco dipendevano anche da tale conoscenza. Ricordo poi quel grande pianista e signore che è stato Lazar Berman, il quale, prima di ogni concerto, riponeva sempre una grande attenzione sul peso dei tasti e giungeva al punto di chiedermi di aggiungere un paio di grammi su ognuno di essi. Una cura maniacale dei particolari che fa capire il profondo rispetto nei confronti del pianoforte, che è poi lo strumento che permette o meno di poter ottenere determinati risultati. Per quanto riguarda, invece, il “Doppio Borgato” mi viene in mente colui che è un po’ l’interprete attualmente più famoso, l’americano Cameron Carpenter, il quale ha una profonda conoscenza del piano pédalier, oltre a esserne un grande virtuoso.
Un’ultima domanda: mi dica un rimpianto e una speranza che albergano nel suo cuore e nella sua mente.
C’è una cosa che riguarda entrambi: la possibilità di poter insegnare e tramandare il mio mestiere. Finora è un rimpianto, perché non ho ancora avuto modo di trovare dei giovani interessati a imparare quello che per me è un’arte che richiede impegno e sacrifici a profusione, ma allo stesso tempo è anche una speranza per il fatto che confido che, prima o poi, possa finalmente passare il testimone a chi ha in sé il mio stesso entusiasmo e la mia stessa incoscienza.
Andrea Bedetti