Un mestiere per tutti e per nessuno: l’imprenditore discografico
Noemi Manzoni, proprietaria di una delle più prestigiose etichette italiane dedicate alla musica classica, la Urania Records, ci spiega in che cosa consiste la sua professione, un mix, come afferma lei stessa, di fantasia, pazienza e follia. Soprattutto, con i tempi che corrono
Quali sono stati i passaggi, le opportunità e gli strumenti che le hanno consentito di diventare un’imprenditrice discografica?
Una serie di fattori determinati più che altro dal caso. Ero molto giovane quando ho incontrato Alessandro Nava, che prima di Urania aveva fondato e diretto alcune tra le più importanti etichette nate con il compact disc a metà anni Ottanta. Quando lo conobbi, Urania aveva già diversi anni e un catalogo di oltre 500 titoli. Io lavoravo in un altro settore, ma cominciai a collaborare con lui e finii per dedicare sempre più tempo all’attività di Urania, finché, nel 2010, feci il grande salto nell’imprenditoria discografica: rilevai l’etichetta e cominciai sul serio, in prima linea.
L’Urania Records, nel mondo degli appassionati discofili, è conosciuta per essere una delle più importanti realtà discografiche nel nostro Paese per ciò che riguarda il settore delle cosiddette “registrazioni storiche” del Novecento. Ora, però, si sta facendo una fama anche per ciò che riguarda incisioni odierne, soprattutto per autori e opere del periodo barocco.
Sarebbe bene intendersi sulle cosiddette “registrazioni storiche”. Per tutto un lungo periodo si è fatta confusione tra la pirateria “live” e un serio lavoro di riproposte discografiche ormai classiche, realizzate, grosso modo, tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta del Novecento: un trentennio d’oro. Urania, sin dal 1998, ha operato in questo settore giungendo, attualmente, ad avere circa 800 titoli a catalogo. In tutti i casi, si è trattato di mantenere sul mercato, dopo un accurato restauro fonico, registrazioni di importanza capitale per la storia del disco, registrazioni che le etichette originali avevano spesso abbandonato o addirittura dimenticato, e verso le quali il pubblico continuava e continua a nutrire un notevole interesse in tutto il mondo: un fatto, insomma, trasversale a tutti i Paesi, e addirittura a tutte le culture, come ben testimonia il pubblico giapponese. Ora, proseguendo nell’attività promossa da Nava, nel 2010 ho dato avvio alla “Collana Widescreen Collection”, che ha generato circa 150 titoli, e da pochi mesi è nata la “Collana Urania Arts”, che prosegue il lavoro di “Urania Storica” e “Widescreen”, con un’attenzione ancora maggiore alle grandi produzioni soprattutto degli anni Sessanta e alla qualità del restauro, nonché a un assetto grafico assolutamente rivoluzionario nel mondo della discografia classica, che propone master di elevato livello sonoro. Insomma, tutta una parte di Urania fa il paio con quella di un editore che ripubblica, in perfette edizioni tipografiche, i capolavori della letteratura di tutti i tempi. Per quanto riguarda invece la “Collana Leonardo” (una trentina di titoli) il discorso è molto vasto e complesso. Oggi, produrre un disco è un salto nel buio: le vendite, anche con una buona distribuzione, sono comunque scarse. Basta guardare le major del disco: un tempo producevano centinaia di titoli all’anno; oggi solo qualche decina. Noi produttori indipendenti dobbiamo quindi fare i conti con una realtà per nulla esaltante. Difficilissimo è coprire i costi. Non parliamo quindi di produrre ex-novo, per esempio, opere liriche dal vivo. Per raggiungere il punto di pareggio tra costi e ricavi bisogna vendere una quantità di dischi che il mercato attuale non è in grado di assorbire, per cui siamo costretti a chiedere l’aiuto degli stessi musicisti, aiuto che, in genere, consiste nell’indurli ad autoprodursi il master, operazione oltre la quale interveniamo noi con la produzione industriale, la promozione e la distribuzione. Nonostante tutte queste difficoltà siamo aperti al nuovo: ai nuovi strumentisti, ai nuovi gruppi da camera, alla nuove formazioni concertistiche, con un’attenzione particolare, più che al barocco, a tutta la musica prodotta dall’Ars antiqua a Vivaldi: ovvero seicento anni di musica colta europea!
Che qualità sono richieste per poter operare nel mondo dell’imprenditoria discografica?
Quelle di tutti gli imprenditori: fantasia, pazienza e follia.
Quali sono le mansioni, i compiti e, in termini più generali, qual è la quotidianità professionale di un imprenditore discografico?
Non saprei. Forse una via di mezzo tra un direttore di circo, un impiegato del comune e un regista operistico. Nelle nostre piccole realtà siamo abituati a fare diverse cose. Non siamo megastrutture con organigrammi pieni di locuzioni in american-english. Trattiamo con gli artisti, sollecitiamo la Siae, lavoriamo sulle discografie, analizziamo archivi, collaboriamo con le industrie che producono fisicamente i CD, ci ingeriamo di grafica, pubblicità, promozione. Insomma, tante cose. Talvolta creative e stimolanti; altre volte ripetitive e monotone.
Quali sono i lati più interessanti e positivi e quelli, invece, che si vorrebbero decisamente evitare di questa professione?
Partiamo da quelli che si vorrebbero evitare. Il primo: la mostruosa sottocultura della gente con riferimento a quella che si definisce “musica classica”. Dopo la Prima guerra mondiale c’è stato un divorzio tra il pubblico e la produzione musicale corrente, e nel Novecento ha vinto la “canzone”. Tutto qui. Sono persuasa che se soltanto l’un per cento della popolazione mondiale riuscisse in qualche modo ad avvicinarsi alla musica classica e a capire cos’è, il nostro mercato decuplicherebbe le proprie forze e la cultura ne trarrebbe un vantaggio epocale. La glaciazione del rock‘n’roll prima o poi dovrà pur ritirarsi. È inevitabile. Per quanto riguarda i lati positivi rimane il piacere di produrre cultura, spiritualità, qualcosa che resti. Ricorda cosa diceva Cervantes? “Dove c’è musica non c’è nulla di male”.
Che ne sarà del mondo del disco in un prossimo futuro? Ci sarà effettivamente ancora un avvenire per i supporti fisici o siamo destinati a un totale predominio della cosiddetta “musica liquida”, ossia i file in alta risoluzione da scaricare via Internet?
Difficile fare previsioni. Credo comunque che nel settore classico rimanga prioritario l’oggetto-prodotto, esattamente come il libro di valore. Non sarà così per la musica non classica, ma per quella classica ci sarà sempre un mercato: magari ridotto, ma ci sarà. Del resto la crisi del disco classico ha una lunga storia: parte addirittura dagli anni Cinquanta. Non dimentichi che la Decca per produrre il gigantesco Ring di Wagner diretto da Solti trasse i propri fondi dalle vendite dei Rolling Stones. Credo quindi che lentamente – come del resto dimostra il ritorno del glorioso LP – il nostro mercato supererà questa crisi di valori artistici iniziata ben cent’anni fa. Noi restiamo in trincea.
Andrea Bedetti