Romeo e Giulietta da Shakespeare a Prokof’ev e Čajkovskij al pianoforte
Dalla tragedia teatrale a quella musicale (strumentale): punto di forza, leva ineludibile della concezione romantica, perpetuare un’idea dirompente, un’immagine cardine dell’arte mediante l’apporto di un’altra forma artistica, quella assoluta, appartenente all’empireo delle sfere sonore. Così, passare dalla forza della parola al mistero del suono, non solo dilatandone la portata, ma permettendo l’affiorare di un’altra prospettiva, di un nuovo significato. E in chiave romantica il concetto dell’amore irrealizzabile, destinato a perire sotto il peso del destino e degli uomini trovò vasta eco, soprattutto attraverso la rivalutazione e l’esaltazione della tragedia shakespeariana, a partire dall’opera più celebre del bardo di Stratford-on-Avon o, quantomeno, quella più popolare, Romeo e Giulietta, la quale ha così trovato nella dimensione musicale due creazioni iconiche, la Fantasia-ouverture orchestrale di Pëtr Il'ič Čajkovskij e, in chiave metaromantica, il balletto di Sergej Prokof’ev.
A loro volta, questi due assoluti capolavori sono stati oggetto di una riduzione per solo pianoforte, con la partitura del balletto trascritta (o, per meglio dire, rielaborata) da parte dello stesso autore, mentre quella čajkovskijana ne vanta diverse, alcune indubbiamente valide, altre, al contrario, semplicemente scolastiche. Tra le prime c’è da annoverare quella fatta dal compositore russo Carl Bial, contemporaneo di Čajkovskij, il quale oltre ad aver trascritto per pianoforte pagine bachiane, ha saputo egregiamente restituire l’aura che si irradia dalla versione orchestrale del lavoro con una trascrizione che fu commissionata, sull’onda dell’enorme successo della versione originale, dagli editori Bote & Bock nel 1871, anche se si basa non sulla terza e definitiva stesura, ma sulla seconda versione di Čajkovskij. Queste due riduzioni pianistiche sono state recentemente registrate per l’etichetta Da Vinci Classics dalla pianista pescarese Danila Tomassetti in un disco che merita sicuramente qualche considerazione più approfondita.
Cominciamo dalla fine, ossia da Prokof’ev, rispettando di fatto la scelta di Danila Tomassetti di iniziare la sua registrazione discografica con la rielaborazione pianistica del balletto. La nascita di quest’opera quasi coincide con uno degli episodi più importanti della vita del grande compositore russo, quello del suo ritorno in patria, avvenuto nell’aprile del 1933 all’età di quarantadue anni, ossia quando era ormai un acclamato astro del pianismo internazionale e un compositore più che apprezzato. Una decisione che Prokof’ev pagò ben presto a caro prezzo, visto che la nomenklatura stalinista ci mise poco a etichettarlo come un tipico rappresentante di «una cultura individualista, fastidiosa e avvizzita». D’altronde, il ferreo inquadramento dittatoriale, anche in termini artistici, dell’Unione Sovietica del tempo non poteva di certo accettare e rispettare l’imprinting creativo di Prokof’ev, votato a una perenne inquietudine, tale da portarlo a un’instancabile ricerca musicale improntata a una suprema sintesi dialettica tra passato e presente, fra tradizione e modernità, una sintesi di cui il balletto Romeo e Giulietta rappresentò uno degli ultimi, fattivi lavori a tutto tondo e la cui stesura ebbe luogo l’anno successivo al ritorno in patria, ossia nel 1934, effettuata con l’aiuto del drammaturgo Adrian Piotrovskij. Rispetto alla versione shakespeariana, i due decisero in un primo momento, anche in ossequio alla dimensione ottimistica della dottrina leninista-stalinista, di mutare il finale tragico in un happy end, scelta che poi lo stesso Prokof’ev si rimangiò, optando per un epilogo tragico.
La prima bozza del balletto fu ultimata nell’estate del 1935, con una partitura per pianoforte composta da cinquantasei numeri musicali, la quale servì poi da canovaccio per dare vita all’orchestrazione del balletto. Anche in riferimento al disco preso in esame, bisogna ricordare che questa versione per pianoforte, quando fu eseguita per il Teatro Bolshoi, con lo stesso Prokof’ev al pianoforte nel corso della stagione 1935-36, non ebbe alcun successo, al punto di provocare la rottura del contratto con l’ente teatrale che aveva commissionato il lavoro per il fatto che quella musica fu considerata, anche su indicazione degli stessi ballerini, «impossibile da ballare». Un’impossibilità che derivava, a detta dei responsabili del teatro e di alcuni critici, dal fatto che la musica di Prokof’ev risultava troppo drammatica, troppo “orchestrale” (guarda caso la medesima accusa che fu lanciata decenni prima ai balletti di Čajkovskij) per poter rendere al meglio dei semplici quadri e numeri di danza. Ma se il Bolshoi si tirò indietro, ci pensò il Teatro Kirov a raccogliere la sfida e a mandare in scena Romeo e Giulietta nella sua versione completa nel 1940, anche se in un primo momento i suoi ballerini la trovarono ritmicamente “improponibile”, giudizio che mutò poi in un incondizionato plauso, al punto che la leggendaria étoile Galina Ulanova, la quale fu interprete ineguagliata di quest’opera, considerò la musica di Prokof’ev quella ideale per tratteggiare la tragedia di Shakespeare.
Ora, parallelamente alla stesura del balletto, Prokof’ev nel 1937 compose anche i Dieci pezzi per pianoforte da Romeo e Giulietta op. 75 (per la precisione: Danza popolare, Scena, Minuetto, La giovane Giulietta, Maschere, Montecchi e Capuleti, Frate Lorenzo, Mercuzio, Danza delle ragazze e La separazione di Romeo e Giulietta), andando a scegliere quei quadri che potessero adattarsi meglio al concetto della trascrizione pianistica. Ma come spiega la stessa Tomassetti nelle note di accompagnamento al disco, tale trascrizione non è da considerarsi tout court dalla versione orchestrale a quella pianistica, ma piuttosto è da intendersi come una scelta basata nel privilegiare quelle parti che avrebbero potuto risultare più efficaci e adatte per la tecnica e per le mani di un pianista. Ciò portò l’autore a includere, per così dire, due modelli archetipi, il primo rappresentato dai brani tratti tel quel dal balletto e l’altro da quelli modificati ad hoc per risultare più plausibili e accattivanti per l’eloquio pianistico (e ciò riguarda precisamente Minuetto, La giovane Giulietta e La separazione di Romeo e Giulietta).
Quindi, abbiamo in realtà non un semplice adattamento pianistico ma, attraverso la scelta mirata e la capacità di rielaborare i brani in questione, un’opera pianistica del tutto autonoma e svincolata da quella originaria per balletto, un ciclo pianistico basato sullo stile della musica programmatica, una sorta di tragedia in miniatura, questo perché nei dieci pezzi del ciclo confluiscono tutti i personaggi principali e i temi-guida del balletto in modo da offrire una rappresentazione completa di tutta la vicenda, sebbene l’ordine dei brani non ricalchi fedelmente quello del balletto. Entrando nello specifico, il brano iniziale, la Danza popolare, è il risultato di due quadri del balletto presenti nel terzo e nel quarto atto e si presenta nelle vesti di una tarantella che richiama le atmosfere nelle quali si svolge la vicenda, ossia Verona, anche se Prokof’ev doveva avere un’idea a dir poco approssimativa della musica popolare italiana, visto che questo tipo di ballo appartiene alla tradizione meridionale e non certo veneta… Ma la scelta di questa danza ha anche lo scopo di introdurre l’ascoltatore allo svolgersi della vicenda che prende le mosse nella casa di Giulietta (il pezzo denominato Scena), dove si prepara il ballo in maschera. Segue il Minuetto, il quale incastona una danza nobile e aristocratica che controbilancia la dimensione popolare della tarantella iniziale e che Prokof’ev, per motivi di adattamento pianistico, modificò pesantemente rispetto alla versione originale per il balletto.
Tale tipo di adattamento non significa per forza di cose che la versione pianistica risulti puramente “schematica”, portata agli estremi di una sterile essenzialità, come dimostra efficacemente il brano La giovane Giulietta, il quale anche nella sua trascrizione risulta essere di un'incantevole freschezza, uno schizzo pittorico in continuo mutamento che tratteggia idealmente la personalità in progress della protagonista femminile, catturata nella sua dimensione adolescenziale e che si trasforma in quella di una donna che infine matura la sua identità. Il marchio di fabbrica della tipica visione musicale di Prokof'ev viene fissato magnificamente nel brano successivo, Maschere, che presenta il ballo in maschera nella casa di Giulietta, in cui la vena sarcastica si stempera in una linea grottesca, sorretta da una prodigiosa demarcazione ritmica che cede a pennellate dissonantiche. Il quadro più celebre di tutto il balletto, Montecchi e Capuleti, non perde un'oncia di efficacia rispetto alla versione originale, anche se per motivi di equilibrio dell'architettura generale, Prokof'ev lo condensa in meno di quattro minuti di durata. L'obiettivo del compositore russo, quello di dare vita a un'opera pianistica del tutto autonoma rispetto alla versione del balletto, evitando di farne solo una scarna trascrizione, si evidenzia nel breve quadro di Frate Lorenzo, la cui funzione, con la sua placida calma e con il suo concentrato di profondità riflessiva, è d'allentare la tensione emotiva destinata inevitabilmente ad affiorare con l'esplosione finale della dimensione tragica, che avviene con la morte di entrambi i protagonisti. E un assaggio di tale dimensione già avviene nel brano successivo, Mercuzio, nel quale, oltre ad essere raffigurata la contorta personalità del giovane, resa perfettamente da una scrittura scintillante e briosa, presenta nel breve finale la schematizzazione allegorica del suo duello con Tebaldo, nel quale trova infine la morte. La dimensione sottilmente grottesca torna ne La danza delle ragazze, in cui la materia musicale viene mirabilmente tratteggiata in modo tale da dare l'impressione di una allucinata sospensione. Ciò assume un rilievo ancor più significativo se si tiene conto che nella versione per balletto tale quadro raffigurava il ballo delle fanciulle amiche di Giulietta, che entravano nella sua camera da letto per svegliarla con i gigli (simbolo floreale tradizionale del matrimonio) la mattina del suo finto matrimonio combinato con Paride. Ma la scrittura pianistica cassa la dimensione gioiosa e la trasforma in un'inquietante marcia funebre. Da ultimo, La separazione di Romeo e Giulietta che, oltre ad essere il pezzo più lungo, è anche quello in cui Prokof'ev ha operato il maggior lavoro di “taglio e cucito”, andando a condensare, plasmare e rivoluzionare ben quattro quadri del balletto, illustrando da par suo la sfera sentimentale dei due giovani e accompagnandoli per mano fino al tragico epilogo, scandito allegoricamente dalla tastiera che assume le vesti di un orologio che implacabilmente continua a ticchettare, simbolo del tempo e della morte.
Facendo un passo indietro di alcuni decenni, almeno rispettando l'ordine della tracklist della nostra registrazione, viene preso in oggetto lo Shakespeare romantico in chiave musicale per antonomasia, rappresentato dal Romeo e Giulietta di Čajkovskij nella trascrizione effettuata dal collega connazionale Carl Bial. Una trascrizione che quantomeno ha il merito non solo di non snaturare l'aura esaltante e commovente della versione orchestrale, ma anche di salvaguardare un altro aspetto fondamentale di quest'opera, vale a dire la corrispondenza che si viene a creare tra uno strumento e un personaggio della tragedia, visto che la trascrizione pianistica di Bial riesce a far trasparire il senso della “narrazione”, come avviene esemplarmente nella fantasia-ouverture. Una narrazione che è il risultato di un'adeguata calibrazione della materia musicale, con la struttura armonica capace di dare vita a una “profondità” nella quale viene ricostruita idealmente in termini minimali la fantastica complessità della dimensione orchestrale con i suoi colori e le sue variegate sfumature. Il tutto sorretto da una corrente ritmica in grado sia di disciplinare i momenti più drammatici, sia di sostenere quelli più idilliaci e sentimentali.
Ascoltando la lettura fatta da Danila Tomassetti di questi due lavori pianistici, mi sono tornate alla mente le parole che il grande regista Sergej Ėjzenštejn scrisse a proposito della versione per balletto del Romeo e Giulietta di Prokof'ev, suo amico e collaboratore: «Prokof'ev scrive una musica “plastica” che non si accontenta di essere illustrazione, ma rivela il movimento interno dei fatti e la struttura dinamica, cioè l'essenza e il significato di ogni evento». Ecco, l'interpretazione della pianista abruzzese è perfettamente allineata a questa resa “plastica” che tende a mantenere sempre sul filo il meccanismo della vicenda narrata, vuoi che sia il balletto, vuoi che sia la fantasia-ouverture. E la citazione ėjzenštejniana ha un suo perché anche per un altro motivo: rendere vive, palpabili queste pagine significa restituirne una valenza che potremmo definire “cinematografica”, vale a dire che lo svolgersi e l'alternarsi dei quadri di Prokof'ev e la fantasia drammatica di Čajkovskij non devono mai cedere a un'esecuzione nel quale il soggettivismo dell'interprete tende a rompere l'omogeneità oggettiva che le contraddistingue, quel senso di autonomismo rappresentativo che le impregna. Danila Tomassetti riesce così a mantenersi ottimamente “neutrale”, non si lascia trasportare dalla veemenza e dalla tragicità della fantasia-ouverture (sarebbe come cercare di ricreare Toscanini e le sue leggendarie letture di questo capolavoro sulla tastiera del pianoforte), così come non cerca di esasperare la linea grottesca di Prokof'ev quando si presenta nei quadri in cui si annida, ma mantiene sempre una condotta votata a un magistero disciplinato, scontornato, all'insegna di una focalizzazione timbrica che risulta essere lucida ed efficace, in quanto eccelso denominatore comune con il quale decodificare le molteplici valenze che permeano questi due lavori.
La presa del suono è stata effettuata da Stefano Ligoratti ed è contraddistinta da una dinamica pulita, capace di far trasparire sia una buona velocità, sia una necessaria energia espresse dallo Steinway Modello D utilizzato per la registrazione. Ne consegue un palcoscenico sonoro nel quale il pianoforte si trova al centro dei diffusori a una discreta profondità, in grado di proiettare lo strumento sia in altezza, sia in ampiezza. L'equilibrio tonale è rispettoso del registro grave e di quello medio-acuto, senza che l'uno vada a coprire o interferire con l'altro. Infine, il dettaglio è piacevolmente materico, con una buona messa a fuoco dello strumento.
Andrea Bedetti
Sergei Prokofiev - Pyotr Ilyich Tchaikovski – Romeo and Juliet - Piano Music Inspired by Shakespeare's Tragedy
Danila Tomassetti (pianoforte)
CD Da Vinci Classics C00540