Ritratto di una partitura dall’interno: i segreti della Sinfonia Corale visti dalla sua trascrizione
Mauro Loguercio ed Emanuela Piemonti hanno registrato, in prima assoluta mondiale, la trascrizione di Hans Sitt della Nona sinfonia beethoveniana per violino e pianoforte e curata, a livello di presa del suono, da Corrado Ruzza. Li abbiamo intervistati per conoscere aspetti insospettabili che riguardano questo capolavoro in chiave artistica e tecnica
Maestro Loguercio, ascoltando la vostra registrazione riguardante la trascrizione per violino e pianoforte della Sinfonia Corale beethoveniana effettuata da Hans Sitt (leggi la recensione), c’è un dato che colpisce proprio per via dell’efficacia del lavoro fatto dal musicista praghese, ossia la capacità di saper estrapolare dalla partitura originale il senso di ritmo interiore, presente soprattutto nel primo tempo e in quello, decisamente ostico, finale, e il ritmo esteriore, che connota ovviamente il meraviglioso Scherzo. Anche lei è dello stesso avviso?
Penso che Sitt sia riuscito a fare una straordinaria sintesi della complessa partitura beethoveniana, trasformando la potenza orchestrale in una scrittura che, pur mantenendo intatta la trascendenza del messaggio, ha una cifra assolutamente cameristica. Trovo anzi che spesso il violino e il pianoforte riescano a trovare probabilmente degli accenti più adatti a comunicare dei sentimenti che inevitabilmente nella rutilante scrittura orchestrale vanno persi: ci sono svariati messaggi, che ho pubblicato sul mio sito, che sottolineano proprio questo aspetto. E questa è stata per noi la sfida più grande: voler dire la propria, con delle armi inevitabilmente più modeste, in una composizione con la quale si sono misurati i più grandi musicisti, da Furtwängler a Karajan, da Abbado a Bernstein. Per me, poi, trasferire in questa esecuzione tutta l’esperienza fatta studiando gli ultimi quartetti col Quartetto David e incidendo tutti i trii per DECCA col Trio METAMORPHOSI è stato un viaggio meraviglioso.
Sitt, che qui si è dimostrato un formidabile trascrittore, ha anche fatto lo stesso tipo di lavoro con le altre otto sinfonie del sommo genio di Bonn. Con il maestro Piemonti, sempre che anche le altre trascrizioni siano dello stesso livello, non ha pensato di dare vita a un’incisione integrale di tutto il corpus sinfonico beethoveniano, visto il risultato ottenuto con la Corale?
È esattamente la stessa domanda che ci ha posto Brilliant Classics: incidere tutte le nove sinfonie. Il desiderio è grande, ma è grande anche l’impegno: saranno sicuramente tanti anni di lavoro, e per vedere se Sitt sia riuscito a trovare la stessa chiave anche per le altre sinfonie abbiamo già cominciato a lavorarci. Si vedrà, ma non nascondo che la voglia è tanta…
Maestro Piemonti, come vi siete imbattuti nella partitura di Hans Sitt e che cosa vi ha convinto del fatto che la sua trascrizione meritava una prima registrazione assoluta mondiale?
In un periodo molto triste per il mondo, il Covid dilagava, a noi è stato fatto il regalo di imbatterci in questa partitura che ci ha fatto compagnia per parecchi mesi. Mauro ed io abitiamo nella stessa zona di Milano e così trovarci, prima leggendo e poi approfondendo questa trascrizione, è stato un modo per “esorcizzare” un diffuso malessere. A un primo momento di diffidenza è seguito un atto d’amore; in primis per conoscere meglio, in ogni nota, il capolavoro beethoveniano, in secondo luogo per metabolizzarlo sotto un differente punto di vista: sottolinearne i molteplici contrappunti, i rapporti formali e ritmici tra un movimento e l’altro, la distribuzione dei piani sonori e dei timbri, etc. Insomma, una vera analisi compositiva prima che esecutiva. Porto sempre in me come esempio il rapporto tra sinopia e affresco: noi avevamo una preziosa sinopia tra le mani, non solo per contemplarla ma per ricalcarne le linee. Dall’interno di una partitura si diventa amici del compositore, se ne condivide il cammino. Interessante in questo percorso è stato lo scambio dialettico con Mauro: partendo talvolta da visioni differenti, nel lavoro abbiamo raggiunto un’unità di intenti che rimane la più bella conquista del far musica insieme. Oso quasi dire che il viaggio è più importante della meta!
Maestro Ruzza, lei è musicista e ingegnere del suono. In termini di percentuale reciproca, quanto di queste due componenti vanno a incidere, in fatto di musicalità e di tecnica, l’una e l’altra? Insomma, i risultati di questa doppia veste professionale aiutano sia il lavoro artistico, sia quello tecnico?
Sì, indubbiamente. La conoscenza della materia sonora che ho acquisito come tecnico del suono mi ha reso più consapevole di aspetti meno presenti al musicista che talvolta arriva a considerare ingenuamente la partitura come una specie di “codice midi”, dove le note sembrano avvolte da una ignota vacuità. In realtà è proprio tra le note che succedono le cose più interessanti: le risonanze, l’interazione sempre nuova con gli ambienti, la crucialità della posizione degli strumenti nella sala, tra di loro e rispetto al pubblico nel bilanciamento dell’ascolto e nel relativo adattamento dell’esecuzione musicale. Oppure semplici banalità come la posizione del leggio, potenziale barriera acustica, o la percezione di un rumore di fondo. Come pianista e docente di Musica da camera faccio costantemente tesoro di questa preziosa esperienza. Poter, ad esempio, vedere graficamente il dettaglio del suono fino ai singoli armonici svela un mondo brulicante di eventi prima insospettati, utili o meno al risultato musicale, assolutamente illuminanti per l’attività di un interprete. D’altro canto, avere degli obiettivi estetico-musicali aiuta il tecnico del suono a organizzare attrezzature e tecnologie in loro funzione, evitando il “lato oscuro” del tecnicismo fine a sé stesso. Direi che in campo musicale tutto è connesso.
Mi ha colpito, per ciò che riguarda la presa del suono della registrazione della Brilliant Classics, la microfonatura, come ho messo in luce nella recensione. Che tipo di microfoni ha utilizzato e che accorgimenti ha impiegato nel loro posizionamento, tenuto conto che la registrazione è avvenuta in un ambiente vasto come quello della Fazioli Concert Hall?
La microfonatura è solo una parte del processo di messa a punto del suono, per la quale ho utilizzato modelli di riferimento come la gamma degli Schoeps e i versatili AKG 414. Per il violino ho optato per una coppia base di ipocardioidi nel tentativo di dare maggior profondità timbrica nel dialogo non facile con la densa parte pianistica eseguita su un Fazioli dal suono imperioso (firmato sul telaio nientemeno che da Aldo Ciccolini). Vede, la sala Fazioli in realtà è ampia ma poco generosa di risonanze lunghe e l’obiettivo musicale qui è stato molto particolare, in quanto ho cercato non solo la precisione “cameristica” dell’esecuzione ravvicinata, ma anche l’evocazione dell’ampiezza strutturale, della profondità di campo a cui siamo abituati per la Nona Sinfonia, senza tuttavia pretendere di eguagliarle. Insomma, la fase di post-produzione ha avuto un ruolo decisivo nella ricerca del punto di ascolto ideale. Un problema stimolante, condiviso con gli eccellenti interpreti e forse con lo stesso Sitt quando ha pensato di “miniaturizzare” un monumento di tale complessità - e che tutti conoscono! - a riprova del fatto che la musica non conosce compartimenti stagni.
Andrea Bedetti