Riflessioni e riflessi pianistici
«Lo specchio dovrebbe sempre riflettere prima di riflettere la nostra immagine». Questa massima di Jean Cocteau si potrebbe prestare come epigrafe alla critica di questa registrazione discografica effettuata dalla giovane pianista tedesca Jenufa Schmidt, la quale ha inciso per l’etichetta TYXart un programma basato su un preciso denominatore comune, quello dell’immagine che viene riflessa e dello specchio che si rende protagonista di tale azione. Da qui le tre pagine delle Images oubliées di Claude Debussy, i cinque pezzi che compongono Miroirs di Maurice Ravel, gli altrettanti Préludes di Aleksandr Skrjabin, l’undicesimo brano, Dream Images, tratto dai Makrokosmos I di George Crumb e una pagina contemporanea, Cave Obscure, di Vera Schmidt.
Un viaggio interiore/esteriore, in cui il suono pianistico si assume l’onere di essere veicolo di immagini più o meno scoperte, più o meno identificabili non solo in una forma, ma soprattutto nell’identificarsi in proiezioni generate in chi le produce e in chi le assimila; un viaggio impegnativo, tenendo conto che la pianista di Stoccarda ha solo ventitré anni, un’anagrafe che se dal lato tecnico non deve impensierire più di tanto, lo diviene sicuramente di più se teniamo conto delle immense sfumature espressive e interiori che tali opere sono in grado di emanare e che impongono nell’artista un “vissuto”, un arricchimento emotivo e di retaggio personale che la giovane età non sempre garantisce.
La frammentarietà concettiva contraddistingue l’opera in questione di Debussy, composta nell’inverno del 1894, ennesima esplorazione immanente della tastiera pianistica, ramificata dalla diversità d’intenti, di finalità mirate che esprimono i tre brani, con il primo, Lent, frutto di una ripresa rallentata, uno slow motion timbrico dal quale si distaccano gli altri due, già fissati e omologati dai rispettivi titoli, Souvenir du Louvre e Quelques aspects de “Nous n’irons plus au bois parce qu’il fait un temps insupportable” (quest’ultimo espone le prime quattro battute di una celebre canzone popolare, effettuandone poi una serie di variazioni), in cui quindi le riflessioni emotive personali dell’artista lasciano spazio a riflessi oggettivi che, a loro volta, devono provocare delle riflessioni d’ascolto (per questo motivo, polemicamente, il compositore francese fece notare che tali brani non erano indicati a coloro che frequentano i salons brillamment illuminés, ossia ascoltatori che rifuggono la percezione della musica come elemento di una catarsi della penombra interiore).
Da tale angolazione, i Miroirs raveliani proseguono parallelamente avvolti da un sentore euclideo, poiché anche in questo caso la forza, la potenza immaginifica dell’immagine impregna i cinque brani, di cui il più famoso è il quarto, Alborada del gracioso, che rappresentano, per citare le parole dello stesso musicista, un progressivo cambiamento del sistema armonico adottato per il pianoforte. Anche i cinque Préludes op. 16 del giovane Skrjabin (risalgono al biennio 1894-95) vantano un’espressività trasognata, una rappresentazione che, dietro l’indubbio influsso dato da Chopin e Liszt, lasciano intendere nella loro essenziale e pre-weberniana densità (globalmente non raggiungono i dieci minuti di durata) una ricerca di proiezioni interiori, sovrapposizioni di sensazioni che offrono il fianco a scarni frammenti onirici.
Le due pagine contemporanee seguono e rispecchiano il medesimo trait d’union; se il brano del compositore americano, risalente, con gli altri undici del primo libro dei Makrokosmos, al 1972, è una fantasia che si regge attraverso la ripresa “olografica” della Fantaisie-Impromptu in do diesis minore di Chopin, il cui tema viene ripreso nel corso dell’opera, quindi una fantasia che assume i contorni di una meta-fantasia, sempre bilanciata dall’uso del linguaggio tonale, quello di Vera Schmidt (non conosco nulla di questa musicista, nata nel 1990, poiché nelle note di accompagnamento non si spiega nulla di lei, anche se ritengo che abbia un grado di parentela con la stessa interprete del CD, sebbene il cognome in questione sia molto comune in Germania) adotta, attraverso un linguaggio a tratti più sperimentale (l’uso percussivo del pianoforte), un parametro di ricerca di immagini, di ricordi, di sedimentazioni temporali che appartengono al passato, ricreando una sorta di flashback timbrici, ottenendo un risultato originale e indubbiamente interessante.
Come ne viene fuori da questo “filo conduttore” la giovane Josefa Schmidt? In modo assai convincente, poiché la sua lettura è più che appropriata nel saper rendere adeguatamente la spina dorsale che mantiene erette queste pagine. Vi è, non solo, una maturità di ambito tecnico, la capacità di sapersi districare nella materia sonora degli autori presi in esame, e mi riferisco soprattutto a Debussy, Ravel e Skrjabin, ma anche una consapevolezza d’intenti, vale a dire la proprietà di penetrare nell’essenza, nello spessore espressivo di queste pagine con una padronanza da lasciare piacevolmente colpiti. Vi è soprattutto immedesimazione, lucidità speculativa che si fa atto esecutivo (ne fanno fede una pagina come l’Alborada del gracioso e quel meraviglioso pezzo che è Souvenir du Louvre, la cui interpretazione rende palpabile la dimensione ingombrante, ma ineludibile, del ricordo che s’impossessa di colui che lo vive).
La presa del suono effettuata da Andreas Ziegler, il formato è quello audiofilo 24bit/96kHz, vanta una dinamica rocciosa, ma anche educata, scevra da indesiderate enfasi, con lo Steinway D ricostruito in una profondità assai accentuata del palcoscenico sonoro, cosa che ultimamente non appare di frequente nel mondo della registrazione discografica. Il che, a tratti, tende a sfuocare leggermente il dettaglio, ma senza pregiudicare la resa dei registri nell’equilibrio tonale.
Andrea Bedetti
AA.VV. – Dream Images
Josefa Schmidt (pianoforte)
CD TYXart 19128
Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4/5