Quando il jazz (ri)elabora l’opera lirica
Personalmente, non sono un grande estimatore di quel tipo di operazione che porta il nome di crossover, di intreccio, di “contaminazione” tra differenti generi musicali, il quale oggi va così tanto di moda. Ma questo non significa che ogni risultato che scaturisce da tale pratica sia da disprezzare e accantonare; a volte plasmare un’opera che viene enunciata con un linguaggio e con uno stile che originariamente sono appartenuti a un altro genere e a un’altra epoca può portare a un compimento stimolante, capace di mostrare nuovi scorci, altre prospettive di ascolto e di riflessione.
Tra le operazioni di crossover che rientrano nella (rara) casistica dei tentativi riusciti vi è sicuramente questa registrazione, pubblicata dalla casa discografica pugliese Digressione Music, che ha visto due giovani artisti, il trombettista Dario Savino Doronzo e il pianista Pietro Gallo, con la collaborazione del trombonista francese Michel Godard al serpentone, presentare sette brani provenienti dal repertorio lirico e rivisti in chiave jazz, oltre a un bonus track, Fruccia d’ali, dello stesso Godard, ispirato dall’aria “Pur ti miro” dall’Incoronazione di Poppea di Monteverdi.
I sette brani sono l’Ouverture dell’Otello di Giuseppe Verdi, il madrigale Sì dolce è’l tormento di Claudio Monteverdi, l’aria Se tu m’amidi Alessandro Parisotti, l’immancabile e immarcescibile “Nessun dorma” dalla Turandot di Giacomo Puccini, l’altrettanto ineludibile Intermezzo dalla Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni, l’aria barocca Caro mio ben, ascrivibile al napoletano Tommaso Giordani e “Nel cor più non mi sento”, l’aria più celebre della commedia musicale La Molinara di Giovanni Paisiello, brani, absit iniura verbis, già di per sé stucchevoli o che, a forza di ascoltarli in tutte le salse, lo sono diventati (purtroppo, il principio della reiterazione è un nemico giurato dell’espressione artistica).
L’operazione effettuata però dal duo dei giovani interpreti è risultata accattivante per alcuni motivi, vediamo quali. La prima considerazione verte sul fatto che è stata accuratamente evitata la trappola nel riproporre banalmente l’ambito classico-barocco in salsa jazz, ossia “rispettando” la struttura del brano, mantenendo l’impianto melodico e imbellettandolo con un make-up jazzistico (quindi, se qualcuno si aspetta di ascoltare questi pezzi avendo a mente l’originale convinto di risentirli tel quel annacquati con venature jazz andrà incontro a una cocente delusione). Al contrario, Doronzo, il quale ha saputo domare tecnicamente uno strumento dannatamente difficile come il flicorno soprano, e Gallo hanno fatto qualcosa di più intelligente e convincente, ossia mettere da parte l’impianto melodico di questi brani ed elaborare nel senso più alto la matrice armonica che li contraddistingue, effettuando così una “scomposizione/ricomposizione” della loro struttura musicale (un’operazione, questa, che sarebbe piaciuta tantissimo a due formidabili “trascrittori” quali furono Brahms e Schönberg), per dare vita a un prodotto sonoro del tutto svincolato dall’originale senza però svilire e “tradire” il punto originario del tutto.
Ecco, allora, che il titolo di questa incisione, Reimagining Opera, non solo viene semanticamente rispettato, ma permette all’ascoltatore di tenere il piede in due scarpe, in quanto i sette brani in questione possono essere recepiti sia come un immaginare sotto nuove vesti timbriche, armoniche, ricettive il messaggio musicale dato dal ponte di collegamento tra “antico” e “nuovo”, tra il germe portante dato dal classico e il suo trasferimento in sede attualizzata (come a dire il nuovo che si specchia nell’antico, confrontando sia l’antico, sia il nuovo sorpreso nell’atto stesso del rispecchiamento), sia come opera stante in sé, svincolata dall’apporto iniziale e plasmata secondo la sensibilità, l’urgenza di comunicare/rappresentare dato da una costruzione armonica che nulla “ruba” all’originale, ma che tende a sviluppare in senso germinale un humus generalizzato, un modo di sentire il prodotto artistico conformandolo a quelle che sono le leggi, le volontà, le impellenze stilistiche date dal genere jazz.
Ascoltata in tal senso, questa incisione si trasforma in una speculativa escursione intellettuale, in cui il pensare contemporaneo, il suo approcciarsi alla realtà esterna (vale a dire l’io del musicista che trascrive, pensando con i suoni il mondo oggettivo che lo circonda) assume i contorni di una trasposizione artistica in cui, facendo un debito parallelo, un pittore re-immagina un soggetto, una scena fissata da un artista del passato e lo ri-propone non solo attraverso la propria sensibilità, ma anche con gli occhi del presente oggettivo nel quale vive e opera (a tale proposito, mi torna alla mente quel capolavoro pittorico che è Le Déjeuner sur l'herbe di Édouard Manet, che rappresenta una splendida ri-attualizzazione “classica” di una celebre incisione di Marcantonio Raimondi, il Giudizio di Paride, dal quale il geniale pittore impressionista trasse un meraviglioso spunto).
Ebbene, sulla base di ciò, il duo Doronzo & Gallo, con l’apporto di Godard nei brani dedicati a Monteverdi e a Tommasi, e con il contributo trascrittivo di Mariano Paternoster e Gianluigi Giannatempo, ha voluto fissare un nuovo, “altro”, spunto riflessivo partendo da scorci di un passato musicale, dando vita però a qualcosa di decisamente nuovo, plasmando brani del tutto avulsi (ecco il rinnegamento della banale riproposizione melodica) dal loro punto di origine, proprio come Manet fece nei confronti dell’incisione di Raimondi.
Quindi, ascoltando Reimagining Opera, non prestiamo attenzione al “canale di provenienza” di questi brani, ma concentriamoci sull’“adesso”, su come Dario Savino Doronzo e Pietro Gallo riescono a costruire ex novo una proposta sonora che assume degnamente una sua autonomia, una sua propria esistenza attraverso la quale, anche grazie alla duttilità tecnica dei due musicisti, la dimensione artistica non è un punto di arrivo, bensì di partenza, così come quando ammiriamo il capolavoro di Manet, senza dover tenere presente quanto fatto da Raimondi. Rivelazione.
Di ottima fattura è la presa del suono, effettuata da Giovanni Chiapparino, mentre il mastering è stato curato da Federico Pelle. La dinamica vanta quella velocità e quella naturalezza atte ad esaltare il timbro e la corposità dei due strumenti (soprattutto il Fazioli usato da Pietro Gallo, intorno al quale si muove l’enunciato musicocentrico), mentre il palcoscenico sonoro è in grado di ricostruire esemplarmente lo spazio nel quale sono posizionati correttamente i due interpreti. E se l’equilibrio tonale non slabbra di un’oncia lo spessore timbrico dei registri, il dettaglio è un autentico esempio di matericità.
Andrea Bedetti
AA.VV. – Reimagining Opera
Dario Savino Doronzo (flicorno soprano) - Pietro Gallo (pianoforte) - Michel Godard (serpentone)
CD Digressione Music DIGR96
Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4,5/5