Ombre e luci beethoveniane sotto le dita e la direzione di Buchbinder
Settimo appuntamento sinfonico della stagione 2023/24 della Fondazione Teatro La Fenice. In programma due concerti per pianoforte e orchestra capisaldi della produzione pianistica di Ludwig van Beethoven: il numero 3 in do minore Op. 37 e il numero 5 in mi bemolle maggiore op.73 “Imperatore”.
Fenice a dir poco gremita per la seconda serata (9 marzo, la prima il 7) che ha visto l’austriaco Rudolf Buchbinder nei panni di direttore e pianista, considerato attualmente uno dei massimi interpreti del concertismo pianistico beethoveniano (non per nulla ha registrato per due volte l’integrale dei concerti del genio di Bonn).
Il concerto in do minore, composto tra il 1802 e il 1804, rappresenta la prima esaltazione per pianoforte e orchestra del genio beethoveniano, con un primo tempo, l’Allegro con Brio, che si esprime attraverso una partecipazione del pianoforte che non si manifesta solo come solista, ma come parte vera e propria dell’orchestra e in stretto dialogo con essa, a partire dal celeberrimo incipit, contrassegnato dalla classica esposizione in capo dall’orchestra, dapprima in modo incisivo, quasi marziale, poi più morbido fino all’entrata del solista. Il tempo centrale, un Largo, vanta un inizio quasi timido, come a cercare le note sulla tastiera, che sembra poi risollevarsi prima con gli archi e poi, in lontananza, con i fiati, dando vita a una ricerca con il flauto e i due corni, che porta a un finale d’insieme, il quale prepara al Rondò di chiusura. Quest’ultimo tempo vede sempre il solista rompere il ghiaccio, agile e scattante, che coglie di sorpresa e che si presenta con le tipiche ripetizioni del Rondò.
L’esecuzione da parte dell’Orchestra del Teatro La Fenice è stata a dir poco pulita, con i fiati ben assestati, strumenti che in organici non esagerati spesso sono un tallone d’Achille, e con gli archi che hanno seguito magistralmente tutte le dinamiche, specialmente nel secondo tempo. Questo concerto, differentemente dall’Imperatore, è particolarmente intimo, basato su un dialogo molto studiato tra il pianoforte e l’orchestra. In un’esecuzione che non vede la presenza di un direttore, forse è inevitabile che si perda qualcosa; il costante passaggio dalla direzione all’esecuzione non è semplice da mantenere, e anche un grande interprete come Buchbinder evidentemente non ne è immune. A tratti il pianoforte sembra quasi il “conduttore” dell’orchestra, invece di dialogarvi. Oltretutto, il Largo, così come maggior parte dell’esecuzione, ha avuto una connotazione sempre molto veloce, quasi impegnativa da seguire, lasciando poco spazio per “capire” la frase dopo il suo ascolto.
Il concerto in mi bemolle maggiore (dedicato all’Arciduca Rodolfo d’Asburgo) prende il titolo da Johann Baptist Cramer, pianista e editore, probabilmente vista la contemporaneità con l’invasione francese di Vienna, che però il compositore pare non condividesse. Sicuramente, è il concerto più popolare tra i cinque scritti da Beethoven (anche se la sua maturità e precisione arriva all’apice con il quarto op.58) e precursore o quantomeno anticipatorio di alcuni elementi del concerto romantico. Non troviamo, per esempio, una vera contrapposizione del solista nei confronti dell’orchestra, ma un costante dialogo in cui il pianoforte è principale attore nel costruire il movimento. Nell’Allegro, il tema passa costantemente tra i due attori, e se in mano all’orchestra è imponente e deciso, in quella del solista invece è modellato e addolcito. Il dialogo trascende poi in una breve meditazione nel corso del tempo centrale, prima appena accennato dagli archi e poi sviluppato dal pianoforte. Infine, immediato e scattante il passaggio al Rondò finale che, come prima, vede un continuo passaggio del tema dal pianoforte all’orchestra (ai fiati prima e agli archi poi), pur con uno slancio stretto e carico. Celebre rimane l’ultima pagina, con un inedito dialogo tra il solista e i timpani, che concedono un momento di pace prima della sorprendente e brillante conclusione.
In tal senso, quella del pianista austriaco e della compagine orchestrale della Fenice è stata una lettura assolutamente spettacolare, con timbri e ritmi molto più coerenti rispetto all’esecuzione del concerto in do minore. La gestualità di Buchbinder si è presentata molto concisa e calibrata e la risposta dell’orchestra ne ha sicuramente guadagnato.
Almeno cinque minuti di esultanza per Buchbinder e l’orchestra del Teatro La Fenice, che ancora una volta non si è smentita, trascinando il pubblico in un trionfo di applausi.
Marco Pegoraro
Ludwig van Beethoven
Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 in do minore op. 37
Concerto per pianoforte e orchestra n. 5 in mi bemolle maggiore op. 73 Imperatore
Rudolf Buchbinder - Orchestra del Teatro La Fenice
Teatro La Fenice – 7 & 9 marzo 2024