Omaggio al Sassone e a un genio lucchese
Con colpevole, colpevolissimo ritardo, rispetto alla sua data di pubblicazione, risalente ormai a quasi due anni fa, affronto la riflessione di una registrazione discografica uscita per l’etichetta francese Galaxie Y e che vede quale protagonista un giovane pianista lucchese, Cristian Monti, alla sua prima incisione su CD. Allievo dapprima di Carlo Palese e Pietro Rigacci presso l’Istituto Boccherini di Lucca e poi specializzatosi con Konstantin Bongino al Conservatorio Pollini di Padova, Monti ha voluto cimentarsi con due autori che, tra l’altro, ebbero modo di suonare insieme, più precisamente a Londra alla corte di re Giorgio I, ossia Francesco Xaverio Geminiani e il sommo Sassone, Georg Friedrich Händel, presentando di quest’ultimo due Suites, la n. 2 in fa maggiore HWV427 e la n. 8 in fa minore HWV433, mentre del lucchese undici dei tredici brani che compongono il primo libro dei Pièces de clavecin, che furono pubblicati a Londra nel 1743 (mancano all’appello i due Minuetti in do minore e in sol minore, esclusi, probabilmente, per questioni di eccessivo minutaggio).
Faccio presente fin da subito, che il motivo più interessante di questa registrazione risiede nell’opera di Geminiani, in quanto i Pièces, che vantano una discografia alquanto striminzita, concentrata principalmente, a livello di valore esecutivo, sulle versioni clavicembalistiche di Roberto Loreggian per la Tactus e di Fabio Bonizzoni per la Glossa, non si ascoltano soventemente, anche in sede concertistica, nella versione per pianoforte. Il fatto che pianisticamente risultino praticamente assenti e che a livello clavicembalistico la discografia sia ridotta al minimo, testimonia la poca importanza che i Pièces abbiano tuttora nel mondo dell’interpretazione musicale; il motivo di ciò è presto detto: la fama di Geminiani si regge ancora sul suo côté violinistico e dall’apporto dato al genere del concerto grosso, per il quale, al contrario, la discografia dedicata è più lunga della lista della spesa di un bulimico.
Ma ascoltando gli undici numeri del Primo libro dei Pièces, non si può non riandare con il pensiero a quanto, assai ingenerosamente, Charles Burney scrisse a proposito della qualità compositiva del musicista lucchese, ossia che peccava nel ritmo e nella melodia, pur elogiando il suo tentativo di staccarsi dalle spire di quello stile, ormai considerato vetusto, che aveva contraddistinto la musica di Arcangelo Corelli. Semmai, se proprio si deve fare una distinzione gerarchica sulla qualità compositiva che questi pezzi per clavicembalo possono manifestare, allora la preferenza, per via della ricchezza tematica, per le molteplici sfumature espressive che vi si annidano e per il fascino melodico che riescono a trasmettere, va sicuramente ai numeri lenti rispetto a quelli veloci, che risultano essere leggermente più convenzionali e ancorati ancora a un certo passato. Ecco, allora, che la lettura fatta qui da Cristian Monti si rivela oltremodo preziosa, poiché in questo modo, attraverso l’eloquio e la timbrica del pianoforte, questa ricchezza, queste sfumature e questo fascino vengono dilatati, ampliati e resi con la dovuta perizia interpretativa, squarciando di fatto quella cortina fumogena che ha sempre avviluppato la produzione tastieristica geminiana.
Prestando attenzione alla dislocazione dei vari brani all’interno della tracklist, ho la netta sensazione che il giovane artista lucchese abbia voluto porre gli undici numeri dei Pièces tra le due Suites händeliane come si fa con un dipinto che viene impreziosito dalla raffinatezza di una cornice in grado di esaltarne la bellezza; se l’intento è stato questo, allora è come se avesse voluto evidenziare il valore della musica tastieristica del suo conterraneo, senza uscirne sminuita dal confronto con quella del grande Sassone. In effetti, lo sviluppo compositivo dei numeri più lenti non ha nulla da invidiare alla costruzione fatta da Händel nelle sue Suites, le quali, semmai, evidenziano sempre una predisposizione e un parallelismo con le tecniche e le riproposizioni espressive operistiche, puntando su una dimensione drammatica, se non drammaturgica, rispetto alla profondità, al senso di una misteriosa nostalgia mista a inquietudine che si può cogliere, al contrario, nell’afflato geminianiano.
Semmai, è da notare come Cristian Monti abbia voluto differenziare la lettura delle due Suites del divino Sassone; se la seconda mostra un’enunciazione che avvicina il timbro del pianoforte, uno splendido Fazioli da concerto, a una resa prossima al “contenutismo” timbrico del clavicembalo (e questo anche grazie a un uso parsimonioso, se dobbiamo usare un eufemismo, della pedaliera), l’ottava, invece, si mostra in passerella sfoggiando un modello d’abito confezionato sulla misura del pianoforte nudo e crudo, in quanto la drammaticità e la potenza che riesce ad emanare abbisognano di una tavolozza timbrica maggiormente ricca e variegata.
Ma il meglio, lo ripeto, il giovane pianista lucchese lo sfodera proprio con il concittadino: perfino attraverso un ascolto del tutto approssimativo, rifulge infatti tutto il suo entusiasmo e tutta la sua passione nei confronti di questi brani, nei quali evidentemente riesce a immedesimare la sua sensibilità interpretativa. Sembra quasi che la sua volontà sia stata quella di mettere in luce come la musica per tastiera di Geminiani risponda meglio alle sollecitazioni pianistiche, dispensando manciate di un lirismo (ancora i tempi lenti!) che fanno in modo di trasfigurare la dimensione storica del loro essere, per lanciarli in un divenire già proiettato in avanti, come se il musicista lucchese, in tal senso, avesse anticipato in un certo modo il proprio tempo.
Buona anche la presa del suono, effettuata da Sami Bouvet, che mette in evidenza una dinamica molto accentuata, energica, ma anche precisa e debitamente naturale. Ne consegue una ricostruzione del parametro del palcoscenico sonoro in cui il pianoforte appare alquanto ravvicinato, ma la mancanza di profondità non pregiudica la veridicità dello strumento, che appare sempre messo a fuoco e con un suono capace di irradiarsi in altezza e in ampiezza ben oltre i diffusori. Anche l’equilibrio tonale è degno di nota, con un’ottima focalizzazione del registro medio-grave e di quello acuto, senza mostrare sbavature o ingerenze di sorta. Infine, il dettaglio è squisitamente materico, il che, oltre ad esaltare la fisicità del Fazioli, permette anche un ascolto che non diviene mai acusticamente faticoso.
Andrea Bedetti
Georg Friedrich Haendel-Francesco Geminiani – Suites pour clavecin Nos 2 & 8 – Pièces de clavecin
Cristian Monti (pianoforte)
CD Galaxie Y CC002
Giudizio artistico 4,5/5
Giudizio tecnico 4/5