La violoncellista e gambista valdostana e il pianista e ingegnere del suono milanese hanno registrato recentemente per la Da Vinci Classics le due Sonate di Brahms. Abbiamo rivolto loro alcune domande sul loro ruolo di artisti e su come si deve affrontare un repertorio, quello romantico di lingua tedesca, particolarmente complesso e articolato. Ecco che cosa ci hanno detto
Maestro Colliard, fissando l’attenzione sul rapporto tra tradizione e innovazione in Brahms, nello specifico sul suo strumento, ossia il violoncello, è più affascinata dal primo o dal secondo aspetto?
A proposito di tradizione, vorrei smontarne subito una sull’uso del maschile per indicare determinate professioni importanti svolte dalle donne: io sono Maestra Colliard! Detto ciò, penso che la tradizione debba essere innovazione e viceversa; sembra un ossimoro (lo è!), ma anche nella musica la poesia e la bellezza delle figure retoriche, con le loro contraddizioni, hanno il potere di rendere un’esecuzione interessante ed affascinante. Affidarsi totalmente a un filone del passato, rispettando l’uso di un determinato vibrato o dell’arcata lunga piuttosto che corta, l’uso o meno del pedale, generano esecuzioni anacronistiche e ci si limita ad assecondare qualcosa che non ci appartiene davvero. Per contro, anche l’ostentare innovazioni ed artifici, arcate senza un senso per il compositore e per quello che ha scritto, con il solo scopo di stupire o di omologarsi alla moda di oggi, lo troverei alquanto superficiale, oltre che un mero sfoggio di capacità più o meno virtuosistiche fini a sé stesse. Credo che un artista debba riuscire a guardare avanti senza perdere mai di vista il passato; si tratta di un’equazione alquanto delicata perché volta a tenere in considerazione le due visioni per poi ottenere il proprio risultato, che è unico, personale.
Insieme con il Maestro Ligoratti, dopo aver registrato sempre con la Da Vinci Classics, l’integrale delle Sonate per violoncello e pianoforte di Beethoven, ora è la volta delle due Sonate di Brahms. È l’inizio di un preciso percorso discografico dedicato al Romanticismo, oppure all’orizzonte, a livello di incisioni, vi è qualcosa di completamente diverso?
Non ho mai programmato mentalmente il repertorio che inciderò nel futuro, si è sempre trattato di situazioni della vita che in quel momento mi mettono di fronte ai compositori! L’integrale dei lavori per violoncello e pianoforte di Ludwig van Beethoven, per esempio, è un progetto che è nato da un’idea di Stefano Ligoratti che io ho accolto con entusiasmo (e anche con un po’ di sana incoscienza!). Le sonate di Johannes Brahms sono a noi molto care, in particolare l’Op. 38: il primo brano che abbiamo suonato insieme come duo, dieci anni fa. Ci sembrava bello festeggiare questo importante anniversario fissando questa musica su disco! Per eventuali prossime incisioni non mi sento di limitare la programmazione a un genere specifico, anche perché attualmente sono polistrumentista: con la viola da gamba affronto repertori che spaziano dal rinascimento al periodo galante e dall’altra, con il violoncello, c’è poi tutto il resto della musica!
Maestro Ligoratti, anche vedendo la sua discografia, si può notare il suo spiccato interesse per il Romanticismo di matrice tedesca (al di là dei titoli incisi con il Maestro [Maestra, pardon] Colliard, vi sono quelli dedicati allo Schubert a quattro mani, all’integrale delle Sonate per violino di Beethoven, oltre ad alcuni Lieder di Liszt). Considerata tale propensione, la domanda è scontata: quali sono le caratteristiche, le peculiarità tecniche ed espressive che un pianista deve possedere, per poter emergere in un repertorio nel quale il suo strumento è sia elemento accompagnatore, sia in grado di dialogare sullo stesso piano con quello considerato “principale”?
Sono affascinato dal percorso creativo in cui i compositori di cultura germanica danno luce alle proprie composizioni. Tutto parte dalla “linea del basso” e dalla fantasia armonica. La melodia è come se si generasse dalla “base”. In queste musiche sento una reale esigenza demiurgica in cui tutto si plasma e prende forma organizzata dal nulla. Per non parlare poi del continuo connubio tra le arti, la filosofia e la letteratura! Da italiano forse dovrei essere più sensibile al belcanto, ma trovo il percorso compositivo partendo dalla linea melodica meno affascinante. Detto questo, per affrontare questo tipo di repertorio con cognizione di causa un pianista dovrebbe avere un’ampia conoscenza e sensibilità al linguaggio armonico oltre a un’ottima capacità di analisi. È poi molto importante avere “mente fredda e cuore caldo”. Il dosaggio della dinamica è un altro aspetto decisivo poiché come sappiamo il pianoforte è uno strumento molto potente e spesso i compositori tendono a usare per questo strumento una scrittura complessa e molto densa. Una vera sfida quando si suona con strumenti ad arco. Poi bisogna forse anche ripensare al concetto di strumento “principale” dato che fino al tardo Ottocento spesso nei titoli delle composizioni cameristiche veniva indicato prima il pianoforte. Ne sono un esempio le Sonate per pianoforte e violoncello di Beethoven e Brahms.
Lei è anche un apprezzato tecnico del suono, visto che cura sempre le sue produzioni discografiche. Com’è nato questo interesse votato alla cattura del suono?
Quando ero ragazzino possedevo un pianoforte Yamaha digitale che dava la possibilità di registrare in multitraccia. Essendo alle prime armi mi divertivo ad eseguire e registrare brani difficili molto lentamente e poi durante il riascolto velocizzavo il metronomo e mi dava molta soddisfazione. Componevo molto all’epoca e avevo l’esigenza di tenere un archivio su cassette. Così piano piano ho acquisito le basilari competenze per registrare e riprodurre musica. Vivevo in una casa in campagna in cui c’era molto spazio e nel 2005 insieme con mia madre informatica e appassionata di musica, concepimmo l’idea di fare uno studio di registrazione casalingo, così da poter anche diventare produttori discografici con tanto di etichetta indipendente. Nacque così lo studio di registrazione ed etichetta discografica “ClassicaViva”. Sentii poi di aver bisogno di approfondire le mie conoscenze tecniche e decisi di iscrivermi nel 2011 all’accademia del Teatro alla Scala di Milano dove trovai tutto ciò di cui avevo bisogno. Nel tempo mi resi conto di quanto fosse impegnativo mantenere vivo il catalogo di una casa discografica e della impossibilità di concentrarmi appieno sulla mia attività di musicista. Decisi così di eliminare quell’attività e fare, allo stesso tempo, registrazioni per terzi cercando un buon bilanciamento per la gestione delle risorse del tempo.
Andrea Bedetti