Mario Marcarini, il sacerdote rossiniano
Abbiamo intervistato il musicologo e produttore discografico, da sempre ammiratore dell’opera del compositore pesarese, fautore di un recentissimo progetto discografico dedicato alle Melodie per due clarinetti che Benedetto Carulli elaborò dalla Semiramide di Rossini. Ecco che cosa ci ha detto
In camera caritatis, mi hai detto chiaramente che a tuo avviso la Semiramide di Rossini rappresenta il capolavoro assoluto non solo del compositore pesarese, ma di tutta la storia dell’opera. Di fronte a un’affermazione così “forte”, se vogliamo usare un eufemismo, e se ti trovassi davanti a una giuria composta da musicologi e storici della musica, che cosa diresti loro per convincerli e per farti assolvere dall’accusa di lesa maestà nei confronti di tutte quelle opere, italiane e straniere, che possono ambire a tale titolo?
Semiramide rappresenta la volontà consapevole e programmatica di Rossini di lasciare un legato testamentario che ben lo rappresentasse e che rendesse conto di duecento anni di melodramma, tracciandone i confini. Un tipo di concezione musicale che porta con sé recitar cantando, cantar fiorito, gusto per l’ornamentazione, magniloquenza delle forme e dei contenuti, amore sconfinato per il canto “che nell’anima si sente, capacità di concepire l’opera” cucendola addosso ai cantanti ed alle loro capacità; elementi tutti che stavano per essere sgretolati dalla tempesta romantica e da un nuovo gusto per un tipo di drammaturgia differente. Semiramide rappresenta l’addio di Rossini a quella Venezia che gli aveva donato fama internazionale e all’Italia; è un saluto potentissimo nei confronti di un mondo musicale in procinto di sgretolarsi. Dopo questi presupposti non sarà forse inutile parlare dei valori specifici della musica, semplicemente inarrivabili a partire dalla Sinfonia, che racchiude alcuni leitmotiv ricorrenti all’interno della partitura e uno fra i “crescendo” più potenti ed impressionanti della storia della musica. Diventerei eterno se dovessi poi parlare della nostalgia rossiniana per i ruoli “en travesti”, regesto della storia veneziana e destinata a scomparire nel giro di pochi decenni. Di una modernità sconvolgente nella musica, Semiramide vive nell’eterno contrasto con il gigantismo delle forme, in cui Rossini rispetta volutamente il numero chiuso, che viene fatto esplodere dal suo interno. E in questo meccanismo perfetto ed equilibrato nelle sue quasi quattro ore di musica, i personaggi non sono più solo maschere, ma diventano allegoria del dolore umano, della passione, del tradimento, portando nella vicenda un messaggio universale. Scusate se è poco!
Veniamo al lavoro carulliano. Appare scontato che abbia fatto da traino per ricordare il bicentenario della prima assoluta dell’opera rossiniana, avvenuta il 3 febbraio 1823 al Teatro La Fenice di Venezia. Confido, però, che la decisione di dare vita a questo progetto discografico non dipenda solo dalla ricorrenza in questione…
Il lavoro di Carulli (leggi la recensione del disco) è di particolare bellezza e affascinante nell’affidare ai due clarinetti le melodie originali di Semiramide senza modificarle, se non trasponendole di tonalità. Solo nella parte conclusiva i clarinetti si lasciano andare a variazioni, ripercorrono leitmotiv, si perdono in magnifiche cadenze, ma sempre in dialogo; non vi sono divisioni fra “primo” e “secondo” clarinetto. non si trova qui chi accompagni e chi faccia da “primadonna”. In questo modo l’ascolto è affascinante e coinvolgente allo stesso tempo. Strabiliante il virtuosismo richiesto agli interpreti da Carulli, che ricalca con amore quello che Rossini chiedeva ai suoi interpreti!
Tornando a Rossini, sia a quello operistico, sia a quello del buen retiro parigino, quanto resta da indagare per mettere meglio a fuoco l’uomo e l’artista? Insomma, la parola fine è stata scritta oppure no?
Vi sono innanzitutto ancora numerosissime partiture rossiniane in attesa di prima esecuzione e registrazione. Pare un’affermazione azzardata, ma è purtroppo corroborata dalla realtà dei fatti. Il mio lavoro di discografico mi ha visto produrre un numero considerevole di questi brani, ad esempio le arie per tenore del Tancredi volute da Rossini per un cantante particolarmente dotato che il Pesarese trovò a Milano, quando diede per la prima volta la sua opera fuor di Venezia nel 1813. Ho avuto la fortuna di studiarle e di poterle affidare a un grandissimo direttore come Markus Poschner e a un tenore fantastico come Dmitri Korchak, accompagnati mirabilmente dell’Orchestra della Svizzera Italiana in cui gli assoli di clarinetto erano affidati a Corrado Giuffredi. E il cerchio si chiude.
Andrea Bedetti