Mario Castelnuovo-Tedesco, il “Ravel fiorentino”
Fino a pochi decenni fa, il nome di Mario Castelnuovo-Tedesco veniva quasi sempre assimilato alle sue composizioni per chitarra, al punto di fare del musicista fiorentino uno dei maggiori autori del Novecento per questo strumento. Poi, fortunatamente, si è cominciato a capire che questo musicista, che lasciò l’Italia all’indomani delle leggi razziali nel 1939 per trasferirsi in America dove prese la cittadinanza sei anni dopo, aveva lasciato un catalogo che andava a coprire quasi ogni genere compositivo e che, inspiegabilmente, l’azione corrosiva del tempo aveva fatto inspiegabilmente obliare, dopo che i suoi contemporanei (gente come Toscanini, Heifetz, Piatigorsky, Segovia, Barbirolli, Casella) lo avevano ammirato e cercato per poter collaborare con lui. A volte, però, se il tempo toglie il tempo dà, e quindi in questi ultimi anni si è assistito a una sorta di “Castelnuovo-Tedesco Renaissance”, grazie alla quale si è compreso che il compositore italo-americano è stato veramente un autore a tutto tondo, capace di lasciare un segno distintivo, una traccia, un’idea compositiva ed espressiva dal respiro decisamente europeo.
E questa nuova uscita discografica permette di conoscere meglio una delle tante sfaccettature compositive del musicista fiorentino, quella dedicata alle opere per pianoforte. A proporla è il giovane pianista pugliese Alfonso Soldano che, dopo aver fatto conoscere in occidente la figura (tratteggiata anche in un saggio-romanzo, Il confine dell’inganno, uscito per la Florestano Edizioni) del compositore e pianista russo Sergej Bortkiewicz, ha voluto riprendere idealmente un progetto lasciato incompiuto dal suo maestro, il grande e compianto Aldo Ciccolini, quello di far emergere per l’appunto l’opera pianistica di Mario Castelnuovo-Tedesco. Ecco, allora, in assoluta prima mondiale, pezzi come “Notturno in Hollywood” e “Sonatina Zoologica”, oltre a “Alt Wien. Rapsodia Viennese”, “Vitalba e Biancospino, fiaba silvana”, “Cantico” “2 Film Etudes”, l’esordiente “Cielo di Settembre” e “Piedigrotta 1924 – Rapsodia napoletana”, in cui un certo dandysmo raffinato e diluito nella quotidiana mondanità (Castelnuovo-Tedesco nacque da una delle famiglie più agiate di Firenze) viene impiegato e fissato musicalmente dall’autore per raffigurare emozioni, pensieri, immagini di una realtà interiore (fatta anche di sogni e visioni fiabesche delle quali il musicista fu sempre affascinato e di cui “Vitalba e Biancospino” rappresenta un caso esemplare) in cui lo sviluppo pianistico, in questo caso, si trasforma in un medium attraverso il quale allinearsi alle moderne pulsioni artistiche e culturali della sua epoca. Sì, perché Castelnuovo-Tedesco pur essendo un “modernista” non è certo uno “sperimentatore”, poiché per lui la musica è soprattutto racconto fatto “con” i suoni, con un apporto armonico e melodico che non tracima per mutarsi in una ricerca “di” suoni esplicata con la nascita di un nuovo linguaggio, come sarà nel caso di Schönberg e della Seconda Scuola di Vienna.
Quindi, non risulterà forzata l’immagine di un Castelnuovo-Tedesco che pianisticamente si pone nei binari di quella tradizione francese (ma aggiungerei anche quei colori, quei timbri caldi e allo stesso tempo taglienti di un Granados) che lasciato Fauré nelle retrovie manda in avanscoperta dapprima Debussy e poi, soprattutto, Ravel. E qui la tastiera diventa veramente luogo di un incontro tra le impressioni personali dell’autore con il suo desiderio di narrarle, di tratteggiarle con la forza di una timbrica che è macchia di colore delimitata da contorni che a volte assumono le linee e i ritmi di una forma precisa e articolata (si pensi ad “Alt Wien” e all’Opus 1 “Cielo di Settembre”). E anche in opere in cui l’attualità storica e personale dell’autore, come in “Notturno in Hollywood” e “2 Films Etudes”, frutto del lavoro di autore di colonne sonore per il cinema americano, per il quale Castelnuovo-Tedesco lavorò, stipendiato dalla Metro-Goldwin Mayer, diventano spunto di elaborazione, questa necessità di raccontare, di mostrare immagini sonore, non abbandona la sua verve creativa, ma si fissa in intense (e struggenti) pennellate dialettiche, capaci di trasmettere l’intensità dell’emozione-colore.
Va da sé che opere del genere, per essere rese al meglio, esaltate nella loro concretezza espressiva, necessitano di un interprete in grado di mostrare un virtuosismo (“Piedigrotta 1924” è un caso lampante) in perenne bilico con la voglia di raccontare, senza debordare istintivamente con il primo a scapito del secondo, con la capacità di dipingere con la tastiera la raffinata tavolozza cromatica dei colori, senza però scimmiottare in modo pedissequo le istanze simboliste di un Debussy e di un Ravel dai quali Castelnuovo-Tedesco trae spunti, certo, ma non certo soluzioni fini a se stesse. Così, la lettura di Alfonso Soldano risulta essere ideale, probabilmente pregna di quella lezione, di quella visione, di quella dimensione interpretativa espresse dal suo maestro Ciccolini e da lui esemplarmente metabolizzate e sviluppate in un percorso artistico squisitamente personale. Al pianoforte Castelnuovo-Tedesco esige un funambolo capace di saper esprimere su una sottile fune sottigliezze e lampi, fraseggi discorsivi ed eruzioni timbriche, descrizioni anche ironiche (“Sonatina Zoologica”) e abissali squarci introspettivi: aspetti e peculiarità in cui il giovane pianista pugliese si trova a meraviglia, restituendo un quadro introduttivo e d’assieme coerentemente compiuto.
Buona anche la presa del suono, in grado di riproporre adeguatamente, sia nella dinamica, sia nel dettaglio, la sontuosità timbrica dello Steinway gran coda, così come il palcoscenico sonoro che anche se appare avanzato, nulla toglie alla correttezza dello spazio sonoro riproposto.
Andrea Bedetti
Mario Castelnuovo-Tedesco – Piano Works
Alfonso Soldano (pianoforte)
CD Divine Art dda 25152
Giudizio artistico 5/5
Giudizio tecnico 4/5