Lo Schumann “innocente” di Maria Gabriella Mariani

Ormai mi trovo in una posizione e, soprattutto, in un’età grazie alle quali mi posso concentrare su quelle registrazioni discografiche che possono stimolare il mio interesse e non esclusivamente quello di altri interessati, che siano autori, artisti, editori e lettori. L’avanzare del tempo impone aderenza e l’aderenza necessita di totalità per la quale investire il moto delle riflessioni su cui si concentra l’interesse dato dall’oggetto in sé. E l’oggetto in sé in questione, ora, è offerto dall’ultimo disco registrato dalla pianista (e compositrice) napoletana Maria Gabriella Mariani per l’etichetta Da Vinci Classics, la quale ha presentato un trittico schumanniano, Kreisleriana, op. 16, Faschingschwank aus Wien, op. 26 e Drei Romanzen, op. 28.

L’artista partenopea diverso tempo fa mi aveva informato di questa sua nuova registrazione, senza specificare i brani che avrebbe scelto, ma solo il fatto che una pianista come lei, con le sue caratteristiche e soprattutto con la sua Weltanschauung interpretativa, avesse scelto un compositore come Schumann, aveva allertato le mie antenne ricettive. E il motivo è assai semplice: a mio avviso, le letture che Maria Gabriella Mariani propone con le sue esecuzioni, fanno di lei un’“appianatrice”, se posso coniare tale neologismo, nel senso che il suo pianismo viene edificato, strutturato, sorretto e mantenuto nel tempo attraverso una volontà e un desiderio di smussare ciò che è contorto, spigoloso, urticante, dipanandone una linea che sottintende un ordine, una pacificazione, un metodico rotolamento in nome di un disvelarsi che viene nutrito dalla sua dimensione temporale e, parallelamente, da quella spaziale. Non per nulla, le scelte di autori e di brani, da parte sua, così come le sue creazioni compositive, partono sempre dalla sacralità delle Erinnerungen, ossia di “ricordi”, così cari e fondamentali nella dottrina romantica, e dalla necessità di un luogo fisico, geografico, che sia uno scorcio, una “cartolina emotiva” personale o meno, dal quale attingere ispirazione e adesione esecutive.

La cover del CD Da Vinci Classics dedicato a pagine pianistiche di Robert Schumann.

Finora, la sua “tradizione” discografica l’aveva portata a presentare programmi equamente suddivisi tra opere sue e di altri autori, giungendo, addirittura, ad abbinare suoi scritti letterari pubblicati in concomitanza da case editrici. Quindi, suono perpetuato in parola e viceversa. Di fronte a tali premesse, era inevitabile che prima o poi il suo sentiero avrebbe incrociato quello del genio di Zwickau, capace di conciliare le sue esigenze musicali con quelle letterarie. E così è stato.

A questo punto, la mia curiosità risiedeva nella scelta dei brani schumanniani e quando ho letto nella tracklist la presenza degli op. 16, 26 e 28 non sono di certo rimasto stupito o, peggio, deluso, in quanto queste tre pagine avrebbero permesso all’artista napoletana di attuare quei processi “etici” ed “estetici” che le sono a dir poco indispensabili per dare vita alle sue letture esecutive (guarda caso, il titolo del CD in questione è Etica, estetica. Il sentimento, come a dire, per ciò che mi riguarda, invitarmi a nozze senza sapere che razza di ospite avrei potuto essere). Ebbene, partiamo proprio da questo titolo, facendo bene attenzione alla punteggiatura utilizzata per suddividere i tre concetti: da una parte, abbiamo l’etica e l’estetica divise da una virgola e chiuse, a mo’ di cesura, da un punto; dall’altra, il solo sentimento. E qui, il risultato di ciò, nella visione di Maria Gabriella Mariani, non può che essere uno solo, quasi un’equazione dell’anima che intende dimostrare che sommando l’etica all’estetica (Kierkegaard non ne sarebbe felicissimo, ma facciamo finta di nulla… ) si ottiene il sentimento. Affermiamolo chiaramente, con questo disco dedicato a Schumann, la nostra pianista ha svelato le sue carte, ha aperto la porta d’accesso (a suo rischio e pericolo) per poter leggere dentro di lei, ascoltando il suo suono, poiché il principio ultimo, quasi escatologico, che la spinge e la anima, è dato proprio dal poter trovare, individuare e, conseguentemente, evidenziare il “sentimento” nelle cose.

Sia ben chiaro, però, qui si parla di “sentimento”, non di “sentimentalismo”. Certo, bisogna chiarire, delimitare, cercare di razionalizzare ciò che si intende per “sentimento”. Un po’ come, beffardamente, scrisse una volta Louis Aragon: «Chi è là? Come? L’infinito? Benissimo, fatelo entrare!». Perché qui, e per la stessa Mariani, il sentimento, in fondo, è l’infinito stesso. Una cosa da poco, insomma. E, trasposto, in un ambito poetico/teologico, è il verso che chiude la Comedia dantesca, quel L’amor che move il sole e l’altre stelle sul quale si regge l’entità stessa dell’esistenza delle cose, del nostro essere soggetto e di quello degli oggetti che sono oltre il nostro essere soggetto. In tale ottica, il sentimento, nella sua totalità, quindi non solo nelle sue risposte, ma soprattutto nelle domande che si pone, ha anche una funzione “appianante”, proprio come il pianismo di Maria Gabriella Mariani, la quale, nelle note di accompagnamento al disco, vergate da ella stessa, scrive testualmente: «Confesso che non mi hanno mai attratto i problemi psichici di Robert Schumann: sarebbe stato come giustificare il pessimismo leopardiano alla luce delle malformazioni fisiche di Giacomo Leopardi». Per lei non conta la patologia, qualunque essa sia (e per “patologia”, ovviamente, nella sua applicazione dell’espressività artistica, intendo un principio straordinario che implacabilmente stravolge l’ordinario, in modo da dare avvio al procedimento creativo), ma la “cura” che per lei non è manifestazione “terapeutica” rispetto all’affermazione patologica, ma che riprende, non so quanto consapevolmente o meno, la famosa riflessione heideggeriana della Sorge, vale a dire non un concetto psicologico, ma la struttura ontologica fondamentale dell’essere-nel-mondo dell’esserci, dunque un’originaria apertura verso le cose e gli altri. Con le sue letture pianistiche, insomma, l’artista partenopea vuole aprire ella stessa e chi l’ascolta, senza tenere conto di ciò che precede la realizzazione dell’essere-nel-mondo e di tutto ciò che ne comporta.

Il compositore tedesco Ludwig Boehner. Secondo alcuni musicologi tedeschi dietro questo musicista si celerebbe il Kapellmeister Kreisler narrato da E.T.A. Hoffmann.

Ecco perché le sue esecuzioni si trasformano in un atto intimo, se per intimità intendiamo la supremazia di un’istintiva innocenza che può celarsi nelle cose e, di conseguenza, il suo, sul piano artistico-interpretativo, è un ribellarsi all’essere-per-la-morte. Ecco perché se ne frega allegramente della psiche disturbata di Schumann, così come di quello scarabocchio fisico che è stato Leopardi. “Mondare dalla deturpazione”, sembra essere il motto artistico di Maria Gabriella Mariani, per far affiorare in superficie già-ciò-che-c’era, aprire dove prima era erroneamente chiuso e che la porta ad affermare, sulla base di quanto speculato dal filosofo di Meßkirch, «Quando io suono, “io sono gli altri”». Forse, proprio in nome di ciò, questo suo “essere gli altri”, l’ha portata ad escludere se stessa, ossia non proponendo sue composizioni in questo disco, ma offrendosi esclusivamente “agli altri”. E qui, finalmente, arriviamo al suo Schumann.

La Kreisleriana, prima di tutto, con il quale molla il primo ceffone (a volte, anche l’innocenza impone maniere forti). Ceffone che deve essere inteso come si faceva ai bei tempi, quando le tenzoni, tra persone di alto spirito, si risolvevano con un duello, con uno dei due contendenti che lanciava un guanto di sfida o faceva partire sul volto dell’altro uno sganassone bene assestato. E che alla Mariani piaccia duellare è dimostrato da come si apre a questa pagina immortale, con la quale si confronta nel nome di quell’assunto del quale ho già accennato, ossia non tenere conto o considerare determinanti le alterazioni psichiche che hanno costellato e accompagnato la vita di Schumann fin da ragazzo (se proprio vogliamo essere onesti, non si può dare torto marcio a Friedrich Wieck quando si oppose con tutte le sue forze al matrimonio tra Clara e Robert, ben conoscendo squilibri e zone d’ombra che si erano manifestati nel giovane musicista nel periodo in cui era stato suo allievo), anche di fronte a una pagina, come Kreisleriana che, oltre a emozionare e a sedurre gli appassionati musicali, è stata oggetto di studi di psichiatri e psicoanalisti per il fatto di essere una sorta di sismografo nel quale sono riportati tutti i mutamenti repentini, gli scarti improvvisi, così come le ascese fulminee e le discese abissali che si affacciarono in Schumann nel corso di quei quattro giorni della primavera del 1838, quando in uno stato a dir poco febbrile compose le otto parti dell’op. 26.

Il pianista e didatta Friedrich Wieck, insegnante di Schumann e padre di Clara, che si oppose fermamente al loro matrimonio.

Se a Maria Gabriella Mariani tutto ciò non interessa o, quantomeno, non lo considera vincolante per avere un quadro ricettivo maggiormente utile rispetto alla sua identificazione interpretativa, è per il fatto che in lei, e questo non vale solo per Kreisleriana ma anche per le altre due composizioni presenti nel CD, ciò che conta è la possibilità di presentare un suono emancipato e depurato da tutto ciò che esula dal suo affioramento. Inoltre, c’è anche un altro fattore da considerare e che la stessa pianista partenopea chiarisce nelle sue note di accompagnamento; un fattore che concerne l’attenzione a come Schumann «vede nella forma, nella compostezza bachiana un rifugio verso cui tendere», oltre a voler indagare, da parte della nostra interprete, «la sua logica, il suo comporre in modo da conferire ai brani pianistici una valenza sinfonica». Quindi, alla luce di ciò, non bisogna stupirsi se Maria Gabriella Mariani considera la Kreisleriana una pagina contrassegnata da «un’impronta drammatica, direi epica». La debita conferma di ciò si ha ascoltando la lettura che la pianista napoletana fa per l’appunto di questa pagina, le cui destabilizzazioni emotive vengono ricondotte e disciplinate da un’estrema compostezza, la quale, però, non dev’essere considerata alla stregua di una “rigidità”, di una costrizione formale in sé, ma in una forma di equilibrio nell’arcata generale del brano tra i segmenti più “alterati” e quelli più placidi, proprio in nome di quella logica di stampo bachiano che, e ciò è indubbio, va a governare il pianismo schumanniano (si ascolti il settimo segmento, Sehr rasch-Noch schneller-Etwas langsamer). Semmai, Mariani tende a esaltare gli umori, i sapori, i colori, gli odori che inevitabilmente sono proiettati da quest’opera, lezione, come ella stessa ammette, dall’aver appreso da Aldo Ciccolini, il quale, nel solco della tradizione francese, aveva premura nel voler evidenziare tali aspetti che, al contrario, passano in second’ordine nella prassi esecutiva della scuola tedesca. La pianista partenopea insegue, quindi, un canone di bellezza, di “armonia”, di smussamento, di equilibrio “diplomatico” tra le otto parti, onde evitare quello scissionismo, quella frantumazione traumatica tra gli opposti, come se Florestano ed Eusebio avessero voluto dapprima stringersi la mano per poi accomodarsi a un possibile tavolo di pace. Inoltre, risulta evidente, se non lampante, la ricerca in Maria Gabriella Mariani di una chiarezza assoluta del suono, segno di una volontà di spostare l’ago della bilancia verso una proiezione maggiormente “classica”, apollinea di ciò che la struttura musicale può offrire all’ascolto, come a voler cercare in quest’opera scritta da un ventottenne un moto di “saggezza”. Questo significa che anche nei momenti in cui si verificano quei contrasti dinamici e timbrici, penso al Sehr lebhaft del quinto segmento, la lettura da lei fatta è all’insegna di una dimensione “costruttiva”, proprio per far affiorare la genialità compositiva del musicista di Zwickau. Certo, poi alla fine, c’è il confronto con l’abisso dato dallo Schnell und spielend, in cui l’esecutore deve avere il coraggio di affacciarsi senza per questo farsi prendere dalle vertigini e che la nostra artista fissa in una sorta di “allarmata contemplazione” della voragine che c’è sotto di lei, affidandosi molto, a livello agogico, al concetto dello Spiel che permea questo finale.

Capitolo Faschingschwank aus Wien, op. 26, risalente al 1839, che l’artista napoletana definisce testualmente dal carattere «brillante». Si tratta di una pagina che non ha nulla, o quasi nulla, a che fare con l’op. 9. Se in quest’ultimo il richiamo alle maschere è chiaramente fissato ed evidenziato, con tutto ciò che ne comporta a livello inconscio e subconscio, nell’op. 26 il tutto assume un rilievo assai più sfuggente e problematico. Schumann ha quasi trent’anni e ha ormai compreso che la visione squisitamente ed eroicamente “romantica”, anche a livello esistenziale, non può più sostenerla e viverla nel quotidiano. Siamo alle soglie del suo contrastato matrimonio con Clara e capisce che “deve metter su famiglia”, insomma, nei limiti della sua natura, mettere la testa a posto e farsi una bella flebo di “imborghesimento”. E, soprattutto, siamo al tramonto dell’esaltante decennio dedicato esclusivamente al pianoforte, visto che il 1840 sarà l’anno consacrato, stupendamente, ai Lieder. Quindi, per Schumann è il momento di tirare le somme e di capire che cosa succhiare ancora dalla tastiera pianistica e l’op. 26, in un certo senso, rappresenta una risposta, con una netta virata verso un ritorno, sebbene edulcorato e filtrato dalla sua sensibilità compositiva, a un concetto di “classicismo”, se per classicismo possiamo intendere e concepire l’impianto di Faschingschwank aus Wien come quello di una sonata dotata di cinque tempi, confortati da quanto scrisse lo stesso Schumann, ossia che questa pagina era stata ideata come una große romantische Sonate, che però non ha nulla a che vedere con l’idea di Sonata dell’ultimo Beethoven e, soprattutto, di quella permeata da Schubert. L’idea di Sonata per Schumann è più simile alla calza della Befana nella quale ficcare le sue idee musicali senza rispettare necessariamente i canoni appartenenti alla tradizione viennese. Idee che, nel caso dell’op. 26, sono essenzialmente “caratteri”, non certo “maschere”, poiché quelle erano ormai cadute da tempo.

Il celebre dagherrotipo che ha immortalato Clara Wieck e Robert Schumann.

La nostra interprete ha voluto precisare che la sua lettura è di ordine “concettuale”, e ciò si nota d’acchito fin dalle prime note dell’Allegro iniziale in cui la struttura non viene “dipanata”, bensì “fissata” con un timbro netto, incisivo, incalzante, effervescente. È uno stato d’animo che si fa strada fin da subito e che marca in modo indelebile il DNA di tutta l’esecuzione. Questa concettualità si rende necessaria, a mio avviso, poiché l’apparato costruttivo che sovrasta questa composizione è per così dire “organico” (termine orribile, lo ammetto, ma che fa comprendere come in fase di riascolto ci si renda conto come l’equilibrio formale e la volumetria delle idee/caratteri siano integrati come un meccanismo ben oliato). Inoltre, la Mariani riesce a evidenziare quel velo di mestizia, di soffusa e amara nostalgia che governa non solo la Romanza, ma che permea in chiave generale l’intera composizione, in quanto dietro la timbrica effervescente si celano sempre punte acide, quasi “singhiozzate” (si ascolti il “sussultare” di cui è intriso l’Intermezzo). Anche la scansione del Finale non cede alla tentazione di una resa convulsa, famelica, frenetica, ma nel suo essere palpitante viene enunciata con rigore (echi bachiani… ) e con quella disciplina che lo Schumann di cinque anni prima non sarebbe stato in grado di offrire allo stesso modo.

Nella tracklist del disco le Tre Romanze op. 28 sono poste tra la Kreisleriana e Faschingschwank aus Wien, non so se per creare, nella volontà della pianista napoletana, una sorta di oasi felice (parola, questa, rara da assaporare nella vita schumanniana), netta, solare, aperta a un domani che è speranza e auspicio al tempo stesso, e che la Mariani imposta in una dimensione, anche questa è una sua espressione testuale, “narrativa”. Può sorprendere, soprattutto in chi ha una conoscenza non radicata della musica pianistica del genio di Zwickau, il fatto che lo stesso Schumann considerasse l’op. 28, con i Phantasiestücke op. 12, la Kreisleriana e le Novelletten op. 21 (!), quanto di meglio avesse composto per questo strumento. Non so, ma sono propenso nel credere che il pianismo di Maria Gabriella Mariani si sia identificato idealmente in questi tre brani, sia per l’eleganza che traspare da essi (e ciò si avverte soprattutto nel secondo, Einfach), sia per la capacità di distribuire il peso dell’eloquio puntato presente nel terzo, senza trasformarlo in una piacevole, ma sterile, marcetta. Il risultato finale riassume perfettamente quella che è l’idea e il desiderio della nostra interprete, depurare Schumann dalla sua ingombrante e “patologica” biografia, per restituire alla sua musica quella connotazione “fiabesca” , altro ambito assai caro alla Mariani, capace di condurre l’ascoltatore a scoprire il côté d’innocenza, quasi da “orizzonti perduti” nella loro pura essenza, che il pianoforte del genio di Zwickau può mostrare.

La pianista napoletana Maria Gabriella Mariani (©Pasqualino Farinaccio).

La presa del suono, effettuata da Giovanni Caruso, permette di apprezzare pienamente lo Steinway utilizzato da Maria Gabriella Mariani per la registrazione di questo disco. La dinamica, anche se leggermente latente in fatto di energia, si presenta naturale e più che sufficientemente veloce. A livello di ricostruzione dello strumento all’interno del parametro riguardante il palcoscenico sonoro, il pianoforte è spazialmente presente al centro dei diffusori, leggermente avanzato rispetto all’ascoltatore, ma senza perdere efficacia in fatto di altezza e ampiezza del suono, che si irradia ben oltre i diffusori stessi. L’equilibrio tonale non mostra pecche di sorta, con un’adeguata riproposizione scontornata del registro medio-grave e di quello acuto, così come il dettaglio è piacevolmente materico, con una corretta sensazione tridimensionale del pianoforte.

Andrea Bedetti

 

Robert Schumann - Etica, estetica. Il sentimento

Maria Gabriella Mariani (pianoforte)

CD Da Vinci Classics C01069

Giudizio artistico 4,5/5
Giudizio tecnico 4/5