Le visioni visionarie di Luis Felipe Ramírez Santillán
Le visioni visionarie di Luis Felipe Ramírez Santillán
Luis Felipe Ramírez Santillán è un compositore, arrangiatore e chitarrista messicano e per la peculiarità della sua investigazione sonora si pone tra le personalità più interessanti della musica contemporanea centroamericana. Al di là degli studi effettuati in patria, ha poi approfondito la materia musicale a Bratislava, studiando con il compositore russo Evgenij Irshai. Inoltre, è un ingegnere del suono e, come si dice oggigiorno in quest’epoca di imperialismo linguistico anglosassone, un sound designer. Per completare il quadro, il cinquantaduenne compositore messicano è anche docente di chitarra a Bratislava, dove vive ormai stabilmente dal 2016.
Chiariamo subito che la sua musica è poco o punto conosciuta nel nostro Paese, ma oggi abbiamo a disposizione una silloge dei suoi lavori orchestrali (genere che Ramírez Santillán predilige) grazie a una recentissima produzione discografica della Da Vinci Classics che presenta due delle sue tre sinfonie (la prima e la terza), il poema sinfonico FES-C e il brano El Piano per pianoforte e orchestra. Peccato che le note di accompagnamento (elaborate dallo stesso autore) presentino per due terzi l’elenco degli studi effettuati, i premi vinti e altre informazioni di poco conto (compresi i ringraziamenti divini e umani), mentre sarebbe stato maggiormente utile per gli ascoltatori italiani conoscere più in profondità la sua concezione estetica e musicale, ma tant’è… Ho come l’impressione che tale scelta da parte dell’autore sia stata quella di camuffare, di immergere in una indistinta soluzione annacquata la sua visione, come se non fosse di primaria importanza delinearla a chi lo avrebbe ascoltato. E ciò rappresenta un peccato, poiché, al contrario, le composizioni qui registrate offrono molto da dire.
Prima di tutto, ciò che colpisce è la forza d’impatto sonoro che queste opere offrono fin dal primo ascolto (il che non significa, però, che siano di facile e immediata assimilabilità); una forza che trae origine dal fatto che Ramírez Santillán è anche compositore di colonne sonore per il cinema e per la televisione. Non per nulla, la musica di questo compositore risulta essere squisitamente “visionaria”, arrivando al punto di presentarsi, come spiega lo stesso autore nelle note del booklet, come una sorta di vere e proprie opere “programmatiche”; lo testimonia, prima di tutto quanto enunciato dalla Terza sinfonia (qui registrata dalla Moscow Studio Symphony Orchestra e diretta da Alexander Polianichko), la più articolata tra quelle qui registrate, suddivisa in tre tempi e risalente al 2020 e che porta il titolo di Symfónia z dial’ky (che in lingua slovacca, almeno per quanto mi risulta in fase di traduzione, significa Una sinfonia da lontano). Questa composizione sinfonica è un esempio della multistratificazione visionaria del nostro autore, con il primo tempo che si basa sugli eventi che hanno coinvolto il musicista messicano tra il giorno in cui prese il volo per Bratislava e la conclusione del suo esame di ammissione alla locale Accademia musicale per ottenere il dottorato in composizione. Una visione che viene tratteggiata allegoricamente dalle due valige portate con sé e che rappresentano uno spartiacque con il bagaglio materiale ed esistenziale che ha lasciato alle spalle.
La mole di ricordi, i quali trasmettono sempre sonoramente una pletora di emozioni e di sensazioni, continua con il secondo tempo e che temporalmente e storicamente Ramírez Santillán fissa nella data del 19 settembre 2017 quando alle 13:14 ora locale, la sua città natale, Città del Messico, fu vittima di un devastante terremoto che distrusse edifici, scuole, strade, case, provocando centinaia di vittime nella popolazione. L’esplorazione sonora che impregna questo tempo musicale intende raccontare con i colori orchestrali quanto avvenne subito dopo le violente scosse telluriche, con gli abitanti che corsero subito in aiuto a quanti erano rimasti sotto le macerie; un racconto che il musicista centroamericano suddivide all’interno del movimento in tre precise parti, ossia “Caduta”, “Solidarietà”, “Oblio”. Qui, la “programmaticità” della musica del nostro si fa ancor più palpabile, a dir poco “filmica”: le sezioni orchestrali e soprattutto la scrittura della musica, che efficacemente (e questa è un’altra delle costanti presenti nel suo comporre) alterna strutture dissonantiche ad altre consonantiche, con le prime che “filmano” i primi soldati che giungono sul luogo della tragedia (qui, la presenza ossessiva delle percussioni implementa un quadro nel quale viene raffigurato efficacemente l’idea “marziale” dei reparti dell’esercito), dando un’immagine densa, glaciale della “Caduta”. Subentra la “Solidarietà”, offerta tenuamente dal suono di una tromba che accenna le note del celebre brano Cielito Lindo, il quale fu continuamente cantato in quei giorni dai tanti soccorritori, sia per darsi forza, sia per rassicurare coloro che dovevano essere ancora salvati. Infine, l’atto di accusa, concentrato in “Oblio”: di fronte a questa tragedia interviene o, meglio, non interviene il governo, messo a tacere dai militari, che intendono minimizzare l’entità della tragedia, imbavagliando la stampa e facendo calare una cortina di silenzio. Quello del musicista è un urlo di dolore, di rabbia, di vergogna, in cui l’orchestra assume i contorni di un prodigioso mantice sonoro, un muro di suono dipanato con forza, energia, ma anche con tanta sapienza nelle sue connotazioni armoniche. Il terzo tempo è un arcipelago di emozioni/ricordi personali, cadenzati dai ritmi di temi del folklore musicale messicano, temi che prendono origine da generi come lo Huapango, il Son e il Danzón, risultati di un crogiolo di razze, influenze europea e africana e ritmi caraibici. Ma questo terzo tempo è anche un atto di ammissione, di spiegazione di come Ramírez Santillán costruisce la sua musica, una sintesi, un sincretismo tra temi popolari e musica colta europea (le reminiscenze che partono da Hindemith, Prokof’ev e Šostakovič sono più che evidenti… ), un mélange affascinante capace di far precipitare l’ascoltatore in un’empatia totale con i suoni dai quali viene aggredito.
La Prima sinfonia, che risale al 2004 e qui presentata dalla Moscow Radio Symphony Orchestra e diretta da Sergej Skripka, con Irina Popova al pianoforte) risulta essere un lavoro più compatto, più condensato nella sua espressione (la sua durata supera di poco i dodici minuti ed è in un solo tempo): i punti che la animano rappresentano in fase germinale ciò che viene poi sviluppato in modo più capillare dalla Terza sinfonia, ma già si dispiega esemplarmente la capacità d’orchestrazione del compositore messicano, con un intervento mirato delle sezioni, che si alternano compiutamente o che si assemblano con una volumetria sonora nella quale, anche qui, la contrapposizione tra elementi consonantici e quelli dissonantici si dimostra assai calibrata. Il tutto giocato su una minuta resa del timbro, sono soventi i passaggi in pp e ppp, con il risultato di offrire un affresco a tratti glaciale, vitreo e che rimandano a sottili sfumature appartenenti alla tradizione sinfonica russa, date dall’intervento dello xilofono. Ciò che viene fuori è una poliedrica tavolozza di colori, di immagini sfuggenti, eppure magicamente scontornate, racchiuse nell’arcata di un respiro generale, un mantice rappreso, ma capace di delinearsi anche in particolari che possono essere colti sempre distintamente, cadenzati soprattutto dalla presenza delle percussioni (certo, su tutto continua a volteggiare l’ala della presenza di Šostakovič, ma senza mai arrivare al punto di scimmiottarlo).
Una proiezione decisamente affascinante è dato dal Poema sinfonico FES-C per orchestra sinfonica (composto nel 1995) e dedicato alla FES-C (ossia la Facultad de Estudios Superiores Cuautitlán appartenente alla UNAM, l’Università Autonoma Nazionale del Messico). Un brano che richiama, ancora una volta, immagini che potrebbero adattarsi benissimo a una produzione cinematografica, un acquarello narrativo di nobili intenzioni, a tratti splendidamente declamatorio (grazie alla sezione degli ottoni), radioso, con altri momenti invece imperniati da una tensione data dall’intervento degli archi, ma che permette sempre di apprezzare l’equilibrio della scrittura orchestrale.
Infine, El Piano per pianoforte e orchestra sinfonica (risalente al 2007 e registrato sempre con la Moscow Radio Symphony Orchestra e diretta da Sergej Skripka, con Irina Popova al pianoforte). Si tratta di un lavoro estremamente breve (poco più di tre minuti), ma che grazie alla sua compattezza giunge subito alla materia primaria del suo essere, con l’intervento iniziale del pianoforte, il quale dipana un tema trasognante, ripreso e ampliato subito dopo dalla compagine orchestrale. Un brano denso, immediato nelle sue intenzioni e altrimenti non avrebbe potuto essere, visto che è stato utilizzato per un cortometraggio, intitolato Matices (Sfumature) diretto dal regista messicano Saúl Masri.
Luis Felipe Ramírez Santillán, da quanto si può ascoltare attraverso questa produzione discografica della Da Vinci Classics, è un autore decisamente originale, a tratti geniale, dotato di un dono nel saper valorizzare, con originalità e duttilità compositiva, le potenzialità offerte dal suono orchestrale. È indubbio che la sua musica è contrassegnata da un’efficace visionarietà, da un saper trattare la materia sonora come se fosse un’immagine fissata o in continuo movimento, evocatrice di emozioni, di sensazioni, ma che a differenza di altre musiche dense di emozioni, destinate inesorabilmente a volatizzarsi dopo il loro ascolto, quella del compositore messicano resta avvinghiata alla coscienza, al cuore, al cervello di colui che l’ascolta. Non nascondo che sono rimasto affascinato dalla potenza che si sprigiona dai tre tempi della Terza sinfonia, una delle più avvincenti e profonde che mi siano capitate di ascoltare per quanto riguarda tale genere in ambito contemporaneo.
Il coinvolgimento di queste composizioni è dato anche dall’eccelsa lettura fatta dalle due compagini orchestrali moscovite, dai direttori Alexander Polianichko e Sergej Skripka e dalla pianista Irina Popova; da quanto si può ascoltare (non avendo a disposizione le partiture di tali opere), la resa interpretativa delle due sinfonie (soprattutto la Terza) non è delle più agevoli, ma perigliosa, rischiosa se non si riesce a fornire la debita volumetria dei pesi e contrappesi che le sostengono, se non si riesce, allo stesso tempo, a scavare nelle molteplici sfumature timbriche che le impregnano, se non si riesce a offrire il piano delle immagini evocate e che si alternano continuamente sotto la spinta di una tensione ritmica, necessaria come l’aria che si respira. E tutto ciò, tutti gli interpreti (una nota di merito particolare va alla sezione degli ottoni e a quella delle percussioni delle due orchestre) lo hanno saputo fare in modo che sfiora l’esaltazione di lettura e, conseguentemente, di ascolto.
Dalle note accluse, non si evince chi si sia occupato della presa del suono, ma chiunque sia stato, è stato capace di fare un lavoro più che egregio. La dinamica è a dir poco nucleare (e in tempi di magra come questi, avrebbe fatto comodo anche come fonte di energia per la nostra quotidianità… ), ma questo non significa che forza e velocità vadano a discapito di un’ottima naturalezza del suono, avulso da colori artificiosi e indesiderati. Le due compagini orchestrali vengono poi ricostruite ottimamente all’interno del palcoscenico sonoro, con una presenza che si contraddistingue (per fortuna, considerata la massa sonora sprigionata) anche in altezza e in ampiezza, tale da oltrepassare i confini spaziali dati dai diffusori, al punto che se la presenza fisica delle sezioni risulta alquanto avanzata, nulla toglie a una resa corretta del tutto. L’equilibrio tonale, di fronte alle continue criticità date dagli impatti sonori offerti dai fff e ffff, non va mai in crisi e presenta sempre un ottimo scontorno nei registri medio-grave e acuto; infine, il dettaglio è semplicemente sontuoso nella sua matericità (viene voglia di impugnare le mazzuole e picchiare sui timpani da quanto sono reali!), con vagonate di nero che scontornano esemplarmente tutti gli strumenti.
Andrea Bedetti
Luis Felipe Ramírez Santillán – Symphonies Nos. 1 & 3 and other Orchestral Works
Irina Popova (pianoforte) Moscow Studio Symphony Orchestra - Moscow Radio Symphony Orchestra - Alexander Polianichko - Sergej Skripka (direzione)
CD Da Vinci Classics C00513