Le sonate per violino e pianoforte di Ferruccio Busoni
L’empolese Ferruccio Busoni fu uomo assai severo e sprezzante non solo nei confronti degli altri (basta leggere la sua corrispondenza per rendersi conto dei suoi giudizi spesso negativi e ironici verso colleghi e interpreti), ma anche verso se stesso. Per farsi un’idea di questa severità, basterà rammentare come il grande compositore tardoromantico fu a dir poco spietato nei riguardi della sua produzione musicale che va dal 1873 fino al 1898, vale a dire non meno di trentacinque opere pubblicate, senza contare quelle decine rimaste inedite, visto che nel cerchio ristretto delle sue amicizie affermò che in realtà il suo vero opus 1 cominciava con la Seconda Sonata per violino e pianoforte in mi minore, che porta ufficialmente la denominazione di op. 36a, risalente al periodo 1898-1900, quando il musicista aveva ormai trentadue anni! Questo perché tutto il lavoro precedente, e che già assomma opere di assoluto valore come il Konzertstück per pianoforte e orchestra op. 31a e il Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 35a, fu da lui considerato non all’altezza delle sue finalità e dei suoi obiettivi compositivi.
Tra le composizioni per un certo verso “ripudiate” da Busoni vi è anche la prima Sonata per violino e pianoforte in mi minore op. 29 risalente al 1890, la quale, insieme con l’op. 36a, è stata registrata nel 2011 dal duo Luca Fanfoni al violino e Luca Ballerini al pianoforte e pubblicata l’anno successivo in un CD accluso a un numero del mensile Amadeus. Ora, questa stessa registrazione è stata riproposta recentemente dall’etichetta discografica Aulicus Classics.
La Sonata op. 29 fu dedicata da Busoni al grande violinista russo Adolf Brodskij. Si tratta di una pagina giovanile (l’autore all’epoca aveva ventiquattro anni) ma, al di là del giudizio negativo del compositore empolese, rappresenta un’opera che mette in luce l’ammirazione e conseguentemente il tributo che l’autore nutriva nei confronti di due giganti del passato, l’immancabile Bach e Mozart, un amore sbocciato anche grazie all’insegnamento ricevuto da bambino da parte della figura materna, Anna Weiss. E che questa composizione sia stata compresa ed apprezzata dai contemporanei lo testimonia il fatto che in quello stesso 1890 Busoni volle presentarla al concorso di Mosca dedicato ad Anton Rubinštejn vincendolo. Ascoltando però attentamente questa Prima sonata, non si può fare a meno di notare come, oltre agli influssi bachiani e mozartiani, sia infarcita anche da uno lancio squisitamente melodico, addirittura arricchito da una vena di cantabilità, da richiamare alla mente autori come Gounod e Liszt. Ne viene fuori un’opera che, sebbene non manchi di punti in cui l’ingenuità e una certa prevedibilità, con le quali Busoni poi fece i conti in termini così severi, affiorino nel corso dei tre tempi, offre all’ascoltatore la possibilità di cogliere distintamente l’appassionato dialogo tra i due strumenti in cui spicca una decisa e nobile energia espressiva, la quale già denota il marchio di fabbrica del Busoni maturo e consapevole della propria capacità compositiva, vale a dire la consueta scrittura imitativo-contrappuntistica, senza che venga mancare la proprietà di diluizione della materia sonora tramite il cromatismo melodico.
La Seconda sonata, il fatidico “Opus 1” con il quale Busoni riconosce a tutti gli effetti l’inizio della sua “vera” produzione musicale, è anch’essa votata al sacro richiamo bachiano (la linea germinale su cui si dipana la composizione si basa sulla citazione del Choral-Lied “Wie wohl ist mir, O Freund der Seelen” del sommo Kantor), al quale si aggiunge un altro tributo, quello dedicato a Beethoven, visto che l’abbozzo iniziale della Sonata portava il titolo di “Sonata/quasi una fantasia”, con una precisa allusione alla visione delle ultime Sonate pianistiche del genio di Bonn, in particolar modo all’op. 109, che si evidenzia nel proporre una serie di sezioni che scorrono senza soluzione di continuità, tali da richiamare per l’appunto il tempo iniziale dell’op. 109 beethoveniano costituito da un’alternanza di sezioni lente e più veloci, seguito da uno Scherzo e da un tempo conclusivo in forma di tema e variazioni. La figura di Bach emerge prepotentemente nel tempo finale grazie alla citazione del Corale in questione che, nel corso delle variazioni, diluisce la materia sonora partendo ancora una volta dallo schema dell’ultimo tempo dell’op. 109 di Beethoven, per poi letteralmente esplodere nella Fuga finale, contraddistinta da dimensioni colossali (solo il tempo finale dura quasi venti minuti).
La bellezza, la profondità, la straordinaria materia compositiva di cui sono intrise queste due pagine cameristiche (a mio parere da porre ai vertici di questo genere musicale) sono rese esemplarmente dal duo Fanfoni & Luca Ballerini. Al di là della perizia tecnica con la quale i due interpreti riescono a venire a capo della terribile difficoltà tecnica, tipica nella scrittura busoniana, trovo che la chiave di lettura da loro adottata rispecchi il valore intrinseco di entrambe. Se la Sonata giovanile (?) viene dipanata attraverso la lente di una comprensibile passionalità che erutta senza debordare in modo anomalo e oltremodo accentuato, la seconda Sonata assume quasi colori mistici, ultraterreni, con l’ultimo, maestoso tempo che diviene una sorta di percorso spirituale, reso con una limpidezza timbrica che diviene un fervido manifesto di perfezione stilistica e compenetrazione del fitto tessuto di cui vive.
Riascoltandole oggi, queste due opere divengono sotto la magica sensibilità di Luca Fanfoni e di Luca Ballerini un momento ineludibile per comprendere la poetica busoniana, una sorta di ideale introduzione alla sua musica, prima di affrontare il suo mirabile repertorio pianistico e, ancor più, quello, splendido, visionario, della sua produzione operistica. Una lettura, la loro, che resta un punto di riferimento assoluto.
Buona anche la presa del suono effettuata da Raffaele Cacciola, con una dinamica che, pur non essendo esplosiva in fatto di energia e di velocità, risulta essere sufficientemente naturale. Il parametro del palcoscenico sonoro ricostruisce i due strumenti al centro dei diffusori, anche se il pianoforte appare un po’ avanzato rispetto al violino. Più che discreto l’equilibrio tonale, con una debita separazione tra i registri degli strumenti, così come il dettaglio, capace di restituire una piacevole matericità.
Andrea Bedetti
Ferruccio Busoni – Sonatas for Violin and Piano
Luca Fanfoni (violino) – Luca Ballerini (pianoforte)
CD Aulicus Classics ALC 0107
Giudizio artistico 4,5/5
Giudizio tecnico 4/5