Le Goldberg Variationen tra pianoforte e organo
Se si volesse fare una cernita del numero di registrazioni discografiche che sono state dedicate alle Goldberg Variationen di Bach si potrebbero riempire svariati fogli di un quaderno, tenuto conto che questo capolavoro è stato eseguito in tutte le salse possibili e immaginabili, al di là delle versioni per clavicembalo e pianoforte, arrivando perfino a interpretazioni orchestrali. È l’estrema, geniale duttilità della composizione che permette la sua realizzazione esecutiva attraverso diversi tipi di strumenti e di formazioni, senza che ciò possa sminuire il suo fascino e la sua profondità.
Per rimarcare tale concetto sono state pubblicate recentemente due nuove registrazioni delle Goldberg Variationen, una versione pianistica ad opera del pianista olandese Hannes Minnaar per l’etichetta Challenge Records e l’altra, in una versione organistica, da Umberto Forni per la Fluente Records. Entrambe sono contrassegnate da una ricerca esecutiva in cui si cerca di privilegiare, attraverso un andamento ritmicamente mutabile, la musicalità insita in questa composizione. Minnaar, già al centro di diverse incisioni sia in ambito solistico, cameristico e orchestrale, dimostra di possedere un’estrema purezza nella resa timbrica, quasi volesse restituire in ogni autore affrontato la sua dimensione apollinea, con un suono non solo estremamente pulito, espresso con un uso minimo della pedaliera, ma soprattutto cristallino, altamente scontornato nella fase del fraseggio, come testimoniato, da ciò che ho già ascoltato di lui, dal suo Beethoven, dal suo Bach e da un’interessantissima registrazione di opere di Fernand de La Tombelle.
Questa pulizia, questa lucidità sfumata vengono riproposte anche nella sua lettura delle Goldberg Variationen, le quali non soggiacciono alla tentazione di mediare il pianoforte con l’idea clavicembalistica originaria, ma demandando al pianoforte stesso un ex-novo totalizzante, punto di partenza e di arrivo della sua sensibilità e della sua ricerca. Il suo pianismo trova poi nelle varie pieghe contrappuntistiche una docilità di espressività che ne esalta le altrettante sfaccettature, anche prendendosi lecite libertà di tempo, in modo da poter dipanare di volta in volta le mirabili architetture. Questo però non significa che sotto le sue dita le Goldberg Variationen prendono il volo temporale e divengono un’opera “romantica” nel senso estetico del termine, ma restano vincolate all’epoca e alla concezione bachiane, supremo “esercizio” che, partendo dalla visione di chi le affronta, vengono conseguentemente rese mediante il filtro della propria temporalità. È come se Minnaar ci volesse dire con la sua lettura che un capolavoro scopre la propria immortalità attraverso i vari tasselli esecutivi con i quali viene continuamente ricordato e che ogni lettura che ne consegue è un atto di aderenza personale, nel quale ogni interprete può trovare un piano di restituzione, di imitazione, di esplorazione (basterà ascoltare il Quodlibet che chiude l’opera prima della riproposizione dell’Aria iniziale per rendersi conto di come la libertà con la quale il pianista olandese rende questo brano fedele/innovativo tenendo conto di quanto si è scritto).
E proprio per evidenziare la temporalità atemporale che il pianista olandese ha voluto dare alla sua lettura, nella registrazione discografica in oggetto c’è un’altra composizione, ad opera del compositore contemporaneo olandese Daan Manneke, dal titolo Gedanken zu Bach, scritta su precisa richiesta dello stesso Minnaar, che funge da ideale anacrusi alle Goldberg Variationen, suddivisa in sei parti, il cui segmento centrale si basa sull’inno tedesco Ach wie flüchtig, ach wie nichtig, scritto dal poeta-compositore tedesco Michael Franck (1609-1667) nel 1652. Lo stesso Bach impiegò tale inno per concludere la sua Cantata BWV 26; Manneke ha così utilizzato tale corale per dare vita alla terza parte del suo Gedanken zu Bach, oltre a inserire nella partitura anche echi rarefatti di Flow my lacrime di John Dowland e Mein G’müt ist mir verwirret di Hans Leo Hassler.
In un certo senso, anche Umberto Forni parte dalle medesime prerogative, ma avvalendosi delle piene sonorità dell’organo (per la precisione un Carli-Silbermann Opus 101, che si trova nella Chiesa parrocchiale di S. Martino Vescovo a Olmego, in provincia di Trento), con le quali sfruttare appieno le sfumature timbriche date dai registri. Forni, inoltre, tende a lavorare maggiormente su un aspetto “verticale” del suono, puntando quindi su una forza immanente del suono; un suono che nasce interiormente, per poi sprigionarsi nelle regioni fisiche dell’acustica. I tempi distesi scelti poi dall’organista bolognese impongono anche un ascolto che è anche e soprattutto riflessione sia del suono stesso, sia di quanto il suono esprime nella fase in cui fisicamente muore. Certo, questa è caratteristica peculiare dell’organo e della sua essenza comunicativa, ma Forni tende a fornire una lettura in cui la matrice “laica” dell’esposizione sembra poi accedere ad altre porte, trascendentalmente sovrumane, come a dire che Cartesio tiene Pascal per mano. L’organista emiliano, quindi, è sempre molto attento nel cercare di restituire questo compromesso, gestendo pienamente sia l’arcata globale dell’opera, sia esplorando con razionale intensità e lucidità formale le sue sfaccettature. Questo significa parametrarsi con la lettura pianistica data da Minnaar per ciò che riguarda la libertà espressiva dell’opera, ma su un piano diverso, dato non solo dalla diversità dello strumento, ma soprattutto dalla visione di Forni che scava il suono pur fissandolo formalmente nel contorno timbrico che l’organo gli permette di ottenere; una libertà, quindi, che gioca su più piani, esigendo da parte dell’interprete una continua ricerca di equilibrio tra forma e ciò che si pone oltre la forma stessa. Questo risultato porta a una lettura organistica delle Goldberg Variationen che appare leggera, snella, sgravata da quei pesi timbrici che sono tipici, per esempio, di una certa matrice germanica (ma qui subentra anche il tipo di organo che si suona); tale leggerezza porta un indubbio vantaggio alla resa del fraseggio che, in certi casi, sfiora persino un’immedesimazione pianistica, da quanto è reso fluido il tessuto armonico e melodico (prendendo sempre a prestito il Quodlibet, Forni enuncia la libertà della composizione come un urlo liberatorio, un canto popolare, come appunto è questo brano, che viene “sgrezzato”, nobilitato, pur mantenendone le matrici volgari, nel senso etimologico del termine).
La presa del suono effettuata dai tecnici della Challenge Records è di ottima fattura: la dinamica è sontuosa, piena, capace di sprigionare una grande energia e, allo stesso tempo, una convincente naturalezza. Da qui, una ricostruzione del pianoforte (un Straight Strung Concert Grand della ditta belga Chris Maene) posto al centro dei diffusori, in una posizione avanzata ma non innaturale; l’equilibrio tonale è sempre scontornato nel registro acuto e in quello grave, permettendo di cogliere il gioco contrappuntistico senza sbavature. Infine, il dettaglio è intriso di una più che soddisfacente matericità, capace di presentare sempre a fuoco il pianoforte.
Al contrario, la cattura del suono effettuata da Michele Fontana nel CD della Fluente Records, sebbene dotato di una buona dinamica, capace di restituire debitamente le sfumature dei vari registri in ambito timbrico, pone qualche lieve problema nella ricostruzione dell’organo nel palcoscenico sonoro e nell’equilibrio tonale; lo strumento, difatti, appare confinato in profondità, ma senza vantare né ampiezza, né altezza, come se fosse “intubato” in fondo allo spazio sonoro (ma ciò può dipendere anche dalle problematiche insite date dal tipo di ambiente nel quale è stata effettuata la registrazione. L’equilibrio tonale risente da questa ricostruzione fisica dell’organo, in quanto capita a volte di non percepire la pulizia dei vari registri, che risultano quindi essere leggermente impastati, soprattutto nel registro acuto. Anche il dettaglio appare quasi “velato”, con una messa a fuoco dello strumento che non è scolpita, con una conseguente carenza di nero, che però non pregiudica, se non a livelli audiofili, l’ascolto del disco.
Andrea Bedetti
Johann Sebastian Bach – Goldberg Variations
Hannes Minnaar (pianoforte)
SACD Challenge Records CC 72859
Giudizio artistico 4/5 Johann Sebastian Bach – Variazioni Goldberg Umberto Forni (organo) CD Fluente Records FL 28080 Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4,5/5
Giudizio tecnico 3,5/5