L’anticonvenzionalità di Schumann secondo Baglini
Il pianista toscano, dopo aver registrato le opere di Musorgskij, ha deciso di affrontare l’incisione integrale di quelle del grande compositore romantico tedesco, con il quale si sente particolarmente affine, come ci confida in questa intervista
M° Baglini perché ha deciso di intraprendere la registrazione dell’integrale pianistica schumanniana in un’impresa che la impegnerà per svariati anni? Per quale motivo proprio Schumann e quanti CD sono previsti?
Credo che avere obiettivi a lunga scadenza sia sempre un segno di distinzione: l’integrale è forse un falso mito, ma a mio avviso rimane comunque, qualsiasi essa sia, un valore aggiunto reale per un interprete, soprattutto se si decide di fissarla su disco. Schumann ritengo che mi sia particolarmente vicino, non voglio dire congeniale, per profilo emotivo e soprattutto perché a me piace tutto ciò che è anti-convenzionale, oggi come nel passato. Sono previsti almeno dieci CD ma temo che si debba pensare anche almeno a dodici-tredici, se consideriamo anche le opere per pianoforte e orchestra. A dire il vero, quattro anni fa ebbi già modo di registrare Carnaval op. 9 e Carnevale di Vienna op. 26, insieme ai Papillons op. 2 e alle Variazioni Abegg op. 1. All’epoca non si pensava, con i produttori di Decca, a un’integrale e quindi è vero che quest’ultima, intesa come progetto “architettonico“, parte adesso.
Nel primo CD, dedicato in principal modo alle prime due Sonate, lei parla della “purezza infantile” che ha sempre contraddistinto la visione musicale schumanniana. Una purezza sulla quale fece leva, decenni dopo, anche un altro sommo compositore, Gustav Mahler, il quale, tra l’altro, decise di orchestrare le sinfonie di Schumann. A suo avviso, a parte la concezione della “purezza infantile”, esiste una linea di continuità tra la concezione artistica schumanniana e quella mahleriana?
Penso che le purezze infantili siano un aspetto dell’individualità: da adoratore di Mahler, mi piacerebbe dire che i due geni Schumann e Mahler hanno punti in comune ma, in realtà, devo ammettere che si tratta di poetiche molto diverse. Prendiamo ad esempio il senso del dolore, sentimento tragico che pervade spesso le opere di entrambi (anche nei frangenti rispettivi dedicati alla fanciullezza): Schumann soffre per ossessioni di ricerca personale, per insoddisfazioni forti nella propria collocazione sociologica e culturale, mentre Mahler, soffre fondamentalmente a causa di circostanze tangibili particolarmente tristi (lutti familiari, ad esempio). Ovvio che nel Romanticismo la continuità esiste, ma personalmente mi sento di dire che vedo i due compositori piuttosto distanti dal punto di vista della pura e semplice concezione poetica.
Un altro punto sul quale lei basa la sua riflessione sulla musica di Schumann è la dimensione “danzante” del suo pianismo. La stessa osservazione è stata fatta tempo fa dalla pianista canadese Angela Hewitt, la quale, affrontando la musica di Bach, ha messo in debito rilievo l’aspetto “danzante” che si evince dalle composizioni del Kantor. Partendo dalla sua analisi e dalla sua interpretazione, questa dimensione “danzante” Schumann può averla effettivamente mutuata dall’attento studio delle opere di Bach?
In questo caso, sì, mi sento di dare una risposta affermativa: Bach viene sempre preso da Schumann come modello, anche nei momenti di maggior rivolta nei confronti del passato: ad esempio, il “trio“ del Pantalone e Colombina dal Carnaval op. 9 è una citazione contrappuntistica ispirata a Bach. In questo CD, ad esempio, la Toccata op. 7 offre, nello sviluppo, un vero e proprio fugato, per altro di difficilissima esecuzione.
Sulla base della famosa distinzione goethiana secondo la quale “tutto ciò che è classico è sano e tutto ciò che è romantico è malato”, ha ancora un senso definire Schumann squisitamente romantico e Mendelssohn, al contrario, classico nel suo romanticismo?
Secondo me no, anche perché io mi batto per una vera e propria ri-attualizzazione della musica del passato: ha senso rileggerla facendo tesoro del nostro presente e, possibilmente, dell’ipotetico futuro, altrimenti non avremo mai modo di abbattere il tabù della tradizione interpretativa. La musica cosiddetta classica ha bisogno di essere “svecchiata”: non potendone cambiare il testo, ovviamente e fortunatamente, direi che lo si possa fare soltanto con un approccio al suono, al fraseggio e alla ritmica che sia più vicino alla civiltà di oggi, con tutti i propri pregi e difetti.
Quali sono i suoi prossimi progetti discografici, M° Baglini, al di là dell’impresa dedicata a Schumann?
L’integrale delle opere per violoncello e pianoforte di Sergei Rachmaninov, insieme con Silvia Chiesa è uscita da pochissimo tempo, così come un disco monografico dedicato a Azio Corghi, registrato interamente dal vivo, contenente fra l’altro la prima esecuzione del pezzo scritto da Corghi in omaggio a Pier Paolo Pasolini , intitolato “Tra la Carne e il Cielo”, che mi vede insieme con la voce recitante di Omero Antonutti, il violoncello di Silvia Chiesa, la voce lirica di Valentina Coladonato e l’Orchestra Filarmonica di Torino con la prestigiosa bacchetta di Tito Ceccherini. Una produzione che nasce da un progetto esclusivo del Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone. Tutto in esclusiva per la Universal, come sempre.
Andrea Bedetti