La viola da gamba secondo Telemann e tesori organistici dalla Germania
Ogni volta che si affronta la musica di Georg Philipp Telemann, non si può fare a meno di meravigliarsi davanti alla sua capacità di lasciare un’impronta, spesso indelebile, nei vari generi nei quali si cimentò brillantemente (meraviglia che aumenta, quando si viene a sapere che il compositore di Magdeburgo fu fondamentalmente un autodidatta), se si tiene conto che l’ammontare del suo catalogo generale ammonta a più di cinquemila opere, facendo di lui uno dei musicisti più prolifici della storia della musica.
Ora, una testimonianza che va ad illuminare ulteriormente il rapporto qualità/quantità in Telemann è data da una recente pubblicazione dell’etichetta discografica italiana Baryton, che vede il violoncellista e gambista Gianni La Marca presentare la Sonata per viola da gamba in la minore TWV 41:a6 e quella in mi minore TWV 41:e5, unitamente al Trio Sonata per violino, viola da gamba e basso in re maggiore TWV 42:D9 e al Trio Sonata per cembalo obbligato, viola da gamba e basso continuo in sol maggiore TWV 42:G6 e, per concludere il programma, il Concerto per viola da gamba, archi e basso continuo in la maggiore TWV 51:A5. Ad accompagnare l’artista napoletano, i violinisti Raffaele Tiseo e Federico Maria Valerio, il clavicembalista Antonio Varriano, il gambista Marco Ottone, la violoncellista Michelle Gerard e la clavicembalista Debora Capitanio, che si sono alternati nella registrazione di queste pagine.
Al di là del fatto che Telemann visse in un’epoca dalla quale, come poi ha dimostrato l’evolversi della tradizione storica musicale, fu inevitabilmente oscurato dalla figura di due giganti quali Bach e Händel (anche se durante la sua lunga vita, il compositore di Magdeburgo fu considerato superiore rispetto al Kantor e al Sassone), resta il fatto che la sua dote, in termini artistici e creativi, fu quella di una suprema adattabilità rispetto ai tempi in cui operò, focalizzati in un graduale passaggio dalla musica squisitamente barocca allo stile galante (si tenga a mente che Telemann nacque nel 1681 e morì ad Amburgo nel 1767).
Le Sonate e i Trii presentati in questo progetto discografico appartengono agli Essercizii musici, pubblicati tra il 1739 e il 1740, e quindi rientrano non solo nel solco della maturità, ma rappresentano anche un prezioso esempio di come Telemann affrontò e risolse, in termini stilistici, la fase del passaggio tra il Barocco e lo stile galante, ossia la fine di un costrutto messo quasi sempre in rapporto con il contrappunto e l’inizio di una fase in cui l’afflato melodico prende decisamente il sopravvento, privilegiando di conseguenza una maggiore importanza all’“orecchiabilità” della materia musicale, a un’immediata fruibilità d’ascolto. Ascoltando le due Sonate e gli altrettanti Trii si riesce a percepire questa soluzione di felice “compromesso”, con la quale Telemann poté equilibrare la materia sonora attraverso una scrittura che è allo stesso tempo squisitamente lineare e meno elaborata da un punto di vista armonico e votata verso un tematismo che è ancora naturalmente ad uno stadio embrionale, ma che permette di affiorare mediante l’apporto melodico, reso più marcato dalla presenza di un accompagnamento che non si avvale più del severo scheletro contrappuntistico, bensì ormai più prossimo alle caratteristiche dello stile galante.
Da parte sua, il Concerto TWV 51:A5 mette in luce un’ulteriore peculiarità della capacità compositiva del musicista di Magdeburgo, quella di saper dosare adeguatamente il suono pieno dei passaggi di tutti con la “voce” delicata dello strumento solista, in modo da trasformare efficacemente il relativamente limitato volume del timbro della viola da gamba in una caratteristica positiva.
Indubbiamente, la lettura fatta da Gianni La Marca e dagli altri artisti che hanno dato vita a questa produzione discografica ha il merito non solo di rispettare appieno quanto richiesto dalla scrittura telemanniana, vale a dire senso delle proporzioni per far sì che il suono della viola da gamba risalti sempre distintamente, ma anche di mettere in evidenza proprio quella ricerca di equilibrio compromissorio che tali opere necessitano, calate perfettamente in un’epoca musicalmente fluida, mutevole, nella quale le innovazioni devono fare ancora i conti con l’inevitabile tradizione del passato. Notevole pulizia di suono, quindi, chiarezza degli intenti, senso di equilibrio tra i vari strumenti (una nota di merito, in tal senso, va ad Antonio Varriano e a Debora Capitanio), che rendono altamente apprezzabile questo disco, il quale permette di conoscere meglio una delle moltissime sfaccettature compositive di Georg Philipp Telemann.
Un’altra registrazione discografica, sempre dell’etichetta Baryton, è dedicata invece a una miscellanea di brani organistici di vari autori, fissati, ma sarebbe meglio affermare esaltati, dalle sonorità di un meraviglioso organo, il “Francesco Pasquale D’Onofrio”, risalente al 1775 e ospitato nella chiesa di San Giovanni Battista a Carunchio, in provincia di Chieti. Il CD in questione s’intitola Suoni antichi d’Oltralpe e vede protagonista un giovane organista molisano, Giovanni Petrone, il quale presenta otto pagine di cinque autori, l’olandese Jan Pieterszoon Sweelinck (Ballo del Granduca, Sei Variazioni su Mein junges Leben hat ein End e la Poolsche Dans), il tedesco-danese Dietrich Buxtehude (Preludio e Fuga in sol minore BuxWV 163), il boemo poi naturalizzato tedesco Johann Caspar Ferdinand Fischer (la Chaconne in fa maggiore), e i tedeschi Johann Caspar Kerll (il Capriccio sopra il cucù e la Toccata I) e Johann Pachelbel (Arietta in fa maggiore, Tema e Variazioni).
Scopo di questo programma articolato e assai interessante è dimostrare come uno strumento come quello di Francesco Pasquale D’Onofrio, appartenente quindi alla scuola barocca italiana, votata a un timbro più melodico e raffinato, fosse in grado di rendere al meglio pagine provenienti da scuole dell’Europa del Nord, le cui sonorità più severe e contrappuntistiche solitamente appaiono più adatte per organi dotati di una maggiore potenza e volume sonori. È anche vero, però, che la maggior parte degli autori presi in esame furono affascinati da quanto elaborato dalla grande tradizione organistica italiana (Sweelinck conobbe e apprezzò le composizioni di Claudio Merulo e Giovanni Gabrieli, così come Johann Caspar Kerll e, parallelamente, Johann Pachelbel furono affascinati dallo stile italiano, mentre se Johann Caspar Ferdinand Fischer fu più vicino a quello della musica francese, si è propensi infatti a credere che studiò a Parigi con Jean-Baptiste Lully, l’unico ad essere avulso da possibili influenze italiane è sicuramente Buxtehude, maestro indiscusso della prima scuola tedesca del Nord).
Ma che si tratti di compositori vicini o meno alla sensibilità italiana, resta il fatto che Giovanni Petrone è riuscito a dimostrare quanto si era prefissato, ossia portare a compimento una lettura più che convincente di queste pagine (reputo che la scelta da parte sua sia stata quella di presentare opere che nella loro diversità espressiva potessero essere “tradotte” su un organo che “teoricamente” non era in grado di poterle decodificare al meglio). Quindi, che fosse da restituire la brillantezza ironica, sfruttando sonorità particolari, come nel caso del Capriccio di Kerll, oppure un volume sonoro più ampio e articolato, come nel celeberrimo Ballo del Granduca di Sweelinck, o ancora il meccanismo contrappuntistico che regge mirabilmente l’edificio musicale del Preludio e Fuga di Buxtehude, l’organo della chiesa di San Giovanni Battista a Carunchio ha saputo non solo reggere l’urto armonico, oltre a quello melodico, ma ha fatto sì che queste pagine, anche grazie alla sagacia tecnica e alla sensibilità espressiva di Giovanni Petrone, fossero delineate e rese con la tipica precisione garantita dagli strumenti tedeschi e con la proverbiale raffinatezza, “vellutatezza” e rotondità tipica degli strumenti italiani.
Entrambe le prese del suono sono state effettuate dallo stesso Gianni La Marca, facendo ricorso, come si legge nelle note di accompagnamento dei due dischi, a una microfonatura composta da Neumann TLM 103 e AKG C414, estremamente versatili certo, ma che devono essere posizionati con cura certosina, soprattutto quando si tratta di restituire il suono di un organo all’interno di una chiesa. In entrambi i casi il risultato è stato ottimo, grazie a una dinamica ricca di energia, precisione e velocità, il che ha permesso di ricostruire un palcoscenico sonoro degno di nota (e questo vale soprattutto per la registrazione organistica, con lo strumento scolpito nello spazio fisico a debita profondità, ma capace di vantare un suono più che ragguardevole anche in altezza e in ampiezza). Anche il parametro dell’equilibrio tonale è di ottima fattura, sia nella resa dei registri dei vari strumenti presenti nella registrazione delle opere per viola da gamba, sia nel restituire il manuale e la pedaliera dell’organo, senza manifestare sbavature di sorta; infine, il dettaglio, anche grazie alla qualità della dinamica, è estremamente materico, capace di restituire degnamente il senso fisico di tutti gli strumenti.
Andrea Bedetti
Georg Philipp Telemann – Sonate, Trii, Concerto per viola da gamba
Gianni La Marca (viola da gamba) - Raffaele Tiseo & Federico Maria Valerio (violino) - Antonio Varriano (clavicembalo) - Marco Ottone (viola da gamba) - Michelle Gerard (violoncello) Debora Capitanio (clavicembalo)
CD Baryton 2022/02
Giudizio artistico 4/5 AA.VV. – Suoni antichi d’Oltralpe Giovanni Petrone (organo) CD Baryton 2023/01 Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4,5/5
Giudizio tecnico 4,5/5