La sfinge, Toscanini e il contrabbasso
Il titolo del disco che la contrabbassista toscana Valentina Ciardelli e il pianista milanese Alessandro Viale, ossia Music from the Sphinx, hanno pubblicato con l’etichetta discografica Da Vinci Classics, merita di essere chiarito. Il significato, con una finalità indubbiamente ironica, risiede nella famosa affermazione che Arturo Toscanini fece in età ormai matura, ossia «Morirò senza aver capito le donne e l’intonazione dei contrabbassi» e che la giovane interprete di Pietrasanta ha voluto provocatoriamente trasformare, come donna e come contrabbassista (prendendo così due piccioni con una fava), definendosi una Sfinge, creatura mitologica nota per la sua enigmaticità (allora, già che ci siamo, aggiungiamoci un bel carico da quaranta, ricordando le celeberrime, ultime parole, del tutto apocrife sia ben chiaro, che Sigmund Freud avrebbe proferito sul letto di morte, a Londra, pochi istanti prima di morire: «Ho studiato le donne per più di quarant’anni e non ci ho capito niente»).
Ad ogni modo, mettendo da parte la premiata coppia Toscanini & Freud, così come il problema dell’intonazione dei contrabbassi, che personalmente trovo magicamente risolta nel modo in cui Carlos Kleiber riesce a farli suonare nelle sue mirabili letture delle sinfonie beethoveniane, il disco in questione, che vede anche la collaborazione del soprano Veronica Granatiero e del violista Ignazio Alayza, può essere grossomodo suddiviso in due parti distinte: quella che presenta trascrizioni e arrangiamenti di brani più o meno famosi (Morgen, il quarto dei Vier Lieder op. 27 di Richard Strauss, Orientale, la seconda delle 12 Danzas Españolas di Enrique Granados, un impervio brano di Éric Serra, The Diva Dance, il Lied Erlkönig di Franz Schubert ed Echidna’s Arf (of you) di quel geniaccio che è stato Frank Zappa) e quella che offre dei brani originali (la Sonata n. 1 per contrabbasso e pianoforte della stessa Valentina Ciardelli, una rivisitazione in chiave compositiva dell’artista toscana tratta dalla Madama Butterfly pucciniana “E soffitto, e pareti” A Journey ino Madama Butterfly, Notturno a Lerici per contrabbasso e pianoforte di Alessandro Viale e Motivy di Emil Tabakov.
Insomma, una scelta di programma, tenuto conto che stiamo parlando di uno strumento come il contrabbasso, che non può di certo vantare una letteratura specifica a dir poco vasta ed esaustiva, che vuole prima di tutto essere un “biglietto da visita” per capire Valentina Ciardelli (leggi qui la sua intervista), facendo in modo di sfruttare appieno, sia in chiave di arrangiamento, sia in quella che vede il più grave strumento degli archi quale protagonista (quasi) assoluto con brani ad hoc, le peculiarità insite del double-bass.
Ciò pone un duplice piano di valutazione e di conseguenti considerazioni: la prima riguarda come il duo Ciardelli & Viale, con l’apporto di Veronica Granatiero e di Ignazio Alayza, riesca a rendere e a restituire un qualcosa di già presente, già delineato nella sua versione originale, come nel caso specifico dello straussiano Morgen, di cui esiste la versione per voce e pianoforte, così come quella per voce e orchestra. Oppure, Erlkönig, la cui versione originale liederistica si è trasformata poi in un pozzo senza fine dal quale hanno attinto a piene mani Liszt con la sua versione pianistica, Berlioz e Reger nella versione per voce e orchestra e, ancora, Heinrich Ernst per farne una parete di sesto grado per violino solo. Quindi, composizioni, come la seconda danza granadosiana, la cui struttura poteva essere ricondotta alle necessità e dei bisogni di uno strumento come il contrabbasso, giocando su trascrizioni e arrangiamenti che potevano sia ripercorrere più o meno fedelmente le orme originarie, sia esaltare il timbro intrinseco dello strumento in questione. Ho trovato interessante la scelta di optare su Echidna’s Arf (of you)di Frank Zappa, la cui versione originale fu inclusa nell’album live The Muffin Man Goes To College, risalente al 1975. Nelle note di accompagnamento la stessa Ciardelli, oltre ad ammettere che il musicista di Baltimora è il suo compositore preferito, afferma che l’ammirazione nei suoi riguardi è dovuta al fatto che Zappa è stato un “casinista”. In realtà, ciò che appare un “casinismo” fine a se stesso, poggia su strutture creative, immaginative, compositive sempre calibrate e ponderate aprioristicamente, centellinate e valutate sempre con un’ossessiva attenzione maniacale, il cui risultato (e qui risiede anche parte della sua genialità) dava poi l’illusione che fosse qualcosa di assolutamente spontaneo, subitaneo, una pletora di pulsioni dionisiache canalizzate in un flusso musicale/demenziale. In fondo, l’attenzione maniacale che Zappa riesce a camuffare nel suo far affiorare il suono è la medesima che guida e sovrasta la scrittura di Louis-Ferdinand Céline, il cui flusso apparentemente caotico, disordinato, letterariamente “casinista” trae in inganno un lettore superficiale e poco attento, poiché in fatto di scelta delle parole, degli aggettivi, di una semplicissima congiunzione, lo scrittore di Courbevoie è stato il Flaubert del Ventesimo secolo, così come Frank Zappa è stato, sotto questa peculiare prospettiva, il Čajkovskij del Novecento.
Personalmente, considero più interessante e strumentalmente più aderente la parte nella quale il contrabbasso è il sarto e non il vestito, ossia la seconda, poiché se nelle trascrizioni e negli arrangiamenti è lo strumento a doversi appoggiare al costrutto musicale, è nei brani appositamente elaborati per esso che la musica si appoggia sul double-bass. Certo, in fatto di affiatamento e di resa sonora nulla da obiettare riguardo un brano come Erlkönig, così come nell’Orientale di Granados, anche se, ça va sans dire, la derivata costrizione a cui si deve sottoporre il contrabbasso ne strizza inevitabilmente le gonadi espressive (a tale proposito, forse il brano meno convincente, proprio per via del suo lirismo, è il Morgen! straussiano). Ma il discorso cambia totalmente quando il contrabbasso decide di prendere tessuto e forbici e decide di confezionare musicalmente ciò che vuole, ossia quando è fonte stessa, genesi della sua originalità, sia a livello compositivo, sia a livello di resa musicale. Già un’avvisaglia viene fornita nel brano di Frank Zappa, che nella versione originale è uno sberleffo della durata di neanche quaranta secondi, ma che Valentina Ciardelli dilata oltre i quattro minuti, con il risultato di esaltarne, attraverso un preciso inquadramento ritmico, la sua portata, udite udite, squisitamente “classica”, poiché Zappa anche quando rutta dissonanze e pernacchie sonore ha sempre in mente una lucida e inappuntabile nobiltà “formale”, un canone enunciato attraverso una liceità del contenuto, sulla falsariga di un’altra realtà “classica” del Novecento musicale, questa in campo jazz, rappresentata dalla bachiana visione del Modern Jazz Quartet dell’illuminato John Lewis.
Così, quando il contrabbasso si ribella di essere il vestito per essere il sarto (sarebbe meglio specificare il Sartor resartus di carlyleiana memoria) allora la penombra diviene luce; a cominciare dalla Sonata di Valentina Ciardelli, strutturata in tre tempi, ognuno dei quali prende in oggetto le rifrazioni fisiche che divengono acustiche di tre pietre dure, la giada, l’opale e il quarzo, nei quali l’inventiva, l’ironia (anche qui c’è una mitragliata di chiari riferimenti alla Weltanschauung zappiana), il senso di un dialogo sempre fruttuoso tra contrabbasso e pianoforte portano a un quadro musicale accattivante e, allo stesso tempo, timbricamente raffinato.
E poi Puccini rivisto, corretto, distorto, dilatato in una novella dimensione spazio-temporale che, partendo dai confini territoriali della Madama Butterfly, porta a immaginare l’illustre compositore toscano preso sottobraccio dalla nostra contrabbassista (la distanza tra Pietrasanta e Torre del Lago è praticamente uno sputo), che in occasione di E soffitto, e pareti noleggia per una serata il dadaistico Cabaret Voltaire a Zurigo, per presentare la sua musica, la sua ricerca armonica nella condensazione liofilizzata del contrabbasso, il quale esplora, sedimenta, rilancia, tratteggia, concupisce, blandisce e accarezza contropelo squarci del suo capolavoro operistico. Senza dimenticare l’ufficialmente arrangiamento, ma in realtà brano originale in sé, The Diva Dance di Serra (pezzo che fa parte del soundtrack cinematografico Il quinto elemento di Luc Besson) in cui l’afflato contrabbassistico s’infila a letto con la magnifica voce di Veronica Granatiero, le cui pareti vocali di sesto grado affrontate e superate brillantemente avrebbero provocato l’ammirazione della povera Giuni Russo. E, per finire, sempre nel quadro del Sartor resartus, quell’autentico “Studio” del secondo Novecento che è Motivy del bulgaro Tabakov, il quale, oltre ad essere compositore e direttore d’orchestra, è anche, guarda caso, contrabbassista. E qui Valentina Ciardelli nuota nel suo mare di liquido amniotico, feto nel ventre materno, diventa tutt’uno con il suo strumento, con il brano che si trasforma in una quintessenza epidermica.
Che dire? Indubbiamente, Valentina Ciardelli dimostra qualità non comuni con il contrabbasso, anche se ho trovato, come già spiegato, più convincenti i brani originali rispetto a quelli arrangiati e trascritti, anche se questo dipende anche dalla difficoltà dello strumento ad indossare quel particolare tipo di vestito. Ogni volta che mi imbatto in un valente contrabbassista, mi chiedo perché mai i concerti di quel gigante dello strumento in questione che è stato Isaia Billé (mi riferisco al Concerto in sol maggiore con orchestra e quello in la maggiore con pianoforte) attendono sempre una prima registrazione mondiale, al contrario di quello del grande direttore e anche formidabile contrabbassista qual è stato Sergej Kusevickij, che è già stato registrato, invece di affidarsi al solito repertorio stucchevole di un Bottesini (stucchevole poiché anche il musicista cremasco cedette alle necessità di impantanarsi nel genere delle dannate parafrasi operistiche); ecco, magari le qualità che la giovane interprete di Pietrasanta è riuscita a dimostrare in questa occasione potrebbero rappresentare un plausibile viatico per affrontare in futuro un repertorio che attende di essere finalmente valutato per la sua scoperta e per la sua importanza.
L’accompagnamento pianistico (termine a dir poco atroce e desolatamente riduttivo) di Alessandro Viale non si fissa per nostra fortuna in un ruolo di cicisbeo timbrico, ma dimostra di essere prima di tutto artista di vaglia, a dir poco camaleontico nella sua capacità di interloquire, di dialogare, di prendere in pugno la situazione alla bisogna, oltre a saperci fare anche nel contesto compositivo (Notturno a Lerici anche se non è un capolavoro, è pur sempre strutturato con intelligenza, equilibrio e sapienza nel proporre i dovuti pesi e contrappesi di cui si fanno carico i due strumenti); quindi, il suo ruolo, proprio per via di questa duttilità e lucidità interpretative dimostrate, risulta determinante per dare valore aggiunto al tutto. Infine, il soprano Veronica Granatiero, della quale si è già accennato, merita di essere seguita, auspicando un suo prossimo appuntamento in una sala di registrazione (ascoltando la sua voce, mi è venuto in mente il Pierrot lunaire schönberghiano quale possibile approdo discografico), e anche Ignazio Alayza si è mostrato pienamente affidabile e sapientemente inserito nei brani in cui è intervenuto.
La presa del suono, effettuata a Londra in massima parte da Spencer Cozens, è abbastanza buona. L’“abbastanza” è dovuto dal fatto che in quasi tutti i parametri il contrabbasso denota una presenza debordante sugli altri strumenti (non so se ciò dipenda da una microfonatura particolarmente ravvicinata); la dinamica è oltremodo corposa, energica (fin troppo per ciò che riguarda il contrabbasso), sufficientemente naturale, mentre il palcoscenico sonoro ricostruisce in modo alquanto avanzato lo strumento a corde grave rispetto al pianoforte, con quest’ultimo che risulta posizionato più in profondità, al punto da generare uno spazio fisico di distanza leggermente innaturale tra i due strumenti. L’equilibrio tonale, per i motivi di cui sopra, vede il registro grave del contrabbasso coprire in alcuni frangenti, soprattutto nei pp e ppp, il corrispettivo registro e anche medio-acuto del pianoforte, mentre il registro acuto della voce di Veronica Granatiero raggiunge dei leggeri picchi di saturazione. Il dettaglio è piacevolmente materico, anche se il contrabbasso è messo maggiormente a fuoco rispetto al pianoforte e alla viola.
Andrea Bedetti
AA.VV. – Music from the
Valentina Ciardelli (contrabbasso) - Alessandro Viale (pianoforte) - Veronica Granatiero (soprano) - Ignazio Alayza (viola)
CD Da Vinci Classics C00210