La scuola violinistica romana dopo Corelli: Antonio Montanari e Giovanni Mossi
Il nome di Arcangelo Corelli è legato indissolubilmente a quello di una città, Roma, nella quale visse, dopo essere nato in terra di Romagna, dal 1675 fino alla morte, avvenuta nel 1713, senza essere arrivato ai sessant’anni. Nell’Urbe eterna il compositore e violinista di Fusignano, dopo essersi fatto le ossa come strumentista e primo violino, soprattutto nell’ensemble dell’ex-regina Cristina di Svezia, stabilitasi proprio a Roma, nel giro di pochi anni si fece un nome non solo nella città dei papi, ma anche in tutta Europa, come virtuoso del violino e, in seguito, grazie alle sei raccolte di opere, cinque dedicate al Trio e una ai Concerti grossi, al punto da essere accettato all’Accademia dell’Arcadia, la più prestigiosa società artistica e intellettuale del suo tempo, e da essere soprannominato il “nuovo Orfeo” e il “principe dei musicisti”. In breve, Corelli, negli ultimi decenni del XVII secolo, fu il dominatore incontrastato della musica strumentale romana, figura assoluta che fece da punto di riferimento per allievi, seguaci e immancabili imitatori.
Tra coloro che presero inevitabilmente a imitare Corelli e ad esserne coinvolti nella vita musicale romana ci furono anche il romano Giovanni Mossi, presumibilmente nato intorno al 1680, e Antonio Montanari, nato a Modena nel 1676 e trasferitosi a Roma nel 1690. La storia e l’attività di questi due artisti è fondamentalmente quella legata al periodo del Barocco, la cui peculiarità è data dall’indispensabile aiuto fornito dal mecenatismo. Difatti, nei primi anni della sua attività, Mossi fu musicista del cardinale Benedetto Pamphilj e, a partire dal 1711, fu nel libro paga del duca Livio Odescalchi, nipote di papa Innocenzo XI, noto per essere stato un raffinato collezionista, amante delle belle arti e della musica. Anche Montanari poté lavorare grazie a Benedetto Pamphilj. Ma l’aiuto più importante, per entrambi, avvenne grazie al mecenatismo del cardinale Pietro Ottoboni, che può essere considerato il personaggio più potente e illustre della Roma barocca di quel periodo, al punto che Mossi volle dedicare al grande mecenate le Sonate dell’op. 6 (lo stesso Corelli volle dedicare a Ottoboni nel 1694 le sue Sonate a tre dell’op. 4). Se Mossi fece parte della compagine orchestrale del cardinale a partire dal 1717, Montanari gravitò intorno all’entourage musicale di Ottoboni già dal 1693; inoltre, negli anni successivi, ossia tra il 1717 e il 1729 e tra il 1733 e il 1737, sia Mossi, sia Montanari figurarono spesso insieme nelle orchestre del cardinale Ottoboni con il secondo nel ruolo di “capo degl’istromenti”, compito avuto dallo stesso Corelli quando fu al servizio del potente mecenate.
C’è un fatto che può attestare la validità delle opere di questi due autori post-corelliani, ossia che la loro fama, soprattutto per ciò che riguarda Mossi, nel corso del Settecento andò oltre Roma, propagandosi per buona parte d’Europa, grazie anche alla diffusione garantita dalle stampe fatte da Roger e Le Cène (basterà ricordare che il nome di Mossi appare in una raccolta collettiva, pubblicata da Roger, insieme con quelli di Giuseppe Valentini, altro valente compositore e violinista che fece la sua fortuna nella città pontificia, e di Antonio Vivaldi, senza dimenticare che uno dei suoi concerti più famosi, il n. 5 dell’op. 3, colpì a tal punto il grande violinista tedesco Johann Georg Pisendel, che quest’ultimo volle acquistarne una copia a Roma, portandola con sé a Dresda, assieme ad alcune sonate dello stesso Montanari). Tornando a Valentini, figura di spicco e che sancì in un certo qual modo il tramonto della fama di Arcangelo Corelli nella città pontificia, si deve ricordare che in veste di poeta dedicò ad Antonio Montanari un madrigale incluso nella raccolta Rime pubblicata a Roma nel 1708, nel quale il violinista modenese viene addirittura definito con l’appellativo di “nuovo Achille sonoro” grazie alla qualità espressiva delle sue esecuzioni e per la dolcezza delle sue “corde d’oro” (sic).
Proprio l’espressione poetica di “corde d’oro” presente nel madrigale di Valentini fa da titolo a un interessante CD, pubblicato dall’etichetta Arcana, che vede debuttare a livello discografico il giovane ensemble filologico Anima & Corpo, composto da Gabriele Pro al violino e alla direzione, Maria Calvo al violoncello, Cristiano Gaudio al clavicembalo e Simone Vallerotonda all’arciliuto e alla chitarra barocca, che presenta alcune Sonate per violino e basso continuo di Giovanni Mossi e Antonio Montanari (per la precisione, del primo la Sonata in re minore, Op. 6 n. 4, la Sonata in mi maggiore, Op. 6 n. 5 e la Sonata in sol minore, Op. 5 n. 6, queste ultime due in prima assoluta mondiale, e di Montanari la Sonata Dresda in re minore, la Sonata Dresda in mi minore e la Sonata Dresda in la minore, quest’ultima in prima assoluta mondiale).
Come spiega lo stesso Gabriele Pro nelle note di accompagnamento, stilate insieme con la musicologa Antonella D’Ovidio, il catalogo di Antonio Montanari è composto da solo sette Sonate, conservate in forma di manoscritto in varie biblioteche europee, le quali, almeno per le tre qui registrate, denotano una progressiva diminuzione dell’apporto improvvisativo e la presenza di un apparato di diminuzioni e di ornamentazioni tale da aumentare il livello virtuosistico, oltre a donare una maggiore espressività melodica, soprattutto nei tempi lenti. Per ciò che riguarda Mossi, invece, la sua produzione per violino e basso continuo si focalizza in tre raccolte, le quali ospitano rispettivamente dodici Sonate che si caratterizzano per un’indubbia evoluzione del genere, lasciandosi alle spalle le regole e le tematiche corelliane e spianando la strada verso quello che sarà il tipico stile galante.
Per ciò che concerne la lettura fatta dai componenti del giovane ensemble di queste sei Sonate, c’è da constatare un’indubbia brillantezza dell’eloquio nei tempi veloci e una debita “cantabilità” in quelli lenti, oltre a mettere in debita luce le capacità espressive, suadenti, affascinanti delle opere di Montanari, così come le raffinatezze stilistiche in quelle di Mossi (la scelta caduta nelle Sonate composte dall’autore romano puntano proprio a evidenziare quella fase di transizione dalla sfera corelliana allo stile galante ormai storicamente all’orizzonte). Tali peculiarità tecnico/espressive vengono inoltre enunciate con una gradevolissima pulizia esecutiva, il che rende assai piacevole l’ascolto di una registrazione che supera i sessantacinque minuti di durata e che testimonia, nonostante la giovane età di tutti gli interpreti, una maturità d’intenti destinata, se le successive incisioni manterranno tali premesse, a dare luce ad altre interessanti e stimolanti scorribande nel ricco, e per certi versi ancora inesplorato, panorama della musica strumentale barocca italiana.
Altrettanto ottima è la presa del suono effettuata da Fabio Framba; la dinamica è energica e veloce, contraddistinta da un’indubbia naturalezza che si riscontra nel timbro. Il palcoscenico sonoro vede i quattro interpreti scolpiti a una discreta profondità al centro dei diffusori, con una notevole ampiezza e altezza attraverso le quali si propaga il suono. E se l’equilibrio tonale è esente da sbavature e ingerenze date dai registri degli strumenti, il dettaglio è oltremodo materico, con una buona messa a fuoco.
Andrea Bedetti
Giovanni Mossi & Antonio Montanari – Golden Strings. Sonatas for violin and basso continuo
Ensemble Anima & Corpo
CD Arcana A539
Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4,5/5