La sacralità melodrammatica di Ruggero Manna e il “macchiaiolo” Giovanni Rinaldi
Tra le personalità artistiche che hanno fatto la storia musicale dell’Ottocento italiano, sebbene non abbia raggiunto apici di fama imperitura, la figura del triestino Ruggero Manna (nato nel 1808 e morto a Cremona nel 1864) si mise in luce non solo per la sua precocità (la sua prima composizione risale al 1820, un Duetto per soprano e tenore, tratto dall’Artaserse di Metastasio), ma anche per aver saputo valorizzare l’importanza dell’apprendimento musicale e della diffusione delle opere e delle tecniche musicali presso istituzioni che raccoglievano appassionati dilettanti, soprattutto in quel di Cremona, la quale oltre ad essere stata la città dove nacque il padre, il nobile Pietro Manna, divenne anche il luogo dove il compositore triestino visse e operò per la maggior parte della sua vita a partire dal 1835.
Se la sua produzione comprende anche musica pianistica, cameristica e sinfonica, i generi nei quali Manna seppe fornire i migliori risultati furono l’opera lirica e la musica sacra (non per nulla il musicista triestino divenne a Cremona sia Maestro di Cappella della Cattedrale, ruolo che ricoprì fino alla morte, sia maestro concertatore presso il Teatro Concordia, oggi Teatro Ponchielli, al fianco di Carlo Bignami, con quest’ultimo che ricopriva la carica di Kapellmeister e Konzertmeister).
Proprio alle composizioni di musica sacra scritte appositamente per la Cappella delle Laudi della Cattedrale di Cremona, il direttore e organista Alberto Pozzaglio, specialista della produzione musicale di Ruggero Manna, alla testa del complesso corale e orchestrale Lux Animæ, ha voluto dedicare un CD pubblicato dalla Urania Records, con brani registrati in prima assoluta mondiale. Come scrive lo stesso Pozzaglio nelle note di accompagnamento, il genere della musica sacra nell'autore triestino può essere divisa in tre distinti filoni, quello della musica d’uso per il servizio ordinario della cappella cremonese (messe, mottetti e altri brani non concertati a tre o quattro voci con accompagnamento dell’organo), quello riguardante sempre brani d’uso, concertati con la presenza di una formazione orchestrale (che riguardano per l’appunto in massima parte i brani registrati nel presente CD, a partire dalle antifone mariane), sicuramente più elaborati e più ricchi a livello armonico, e infine quello di più vasto respiro e impegno rappresentato dalle grandi messe d’occasione conservate tutt'oggi a livello di manoscritti.
Per ciò che riguarda le dieci pagine contemplate nella registrazione della Urania Records, ben sette sono delle antifone, mentre otto brani prevedono l’accompagnamento orchestrale (il Capriccio in forma di toccata vede solo la presenza dell’organo e il Salve Regina in re minore coinvolge il coro con l’accompagnamento del solo organo, senza dimenticare un Non vos relinquam in sol maggiore con doppio coro). Le peculiarità di queste composizioni risentono indubbiamente dell’influenza data dal genere melodrammatico attraverso il quale Ruggero Manna operò, soprattutto nella prima parte della sua attività, che va dalla Francesca da Rimini, risalente al 1832 ma mai rappresenta fino a Il profeta velato del 1846 (senza contare l’esperimento dato dal melodramma La Vergine di Kermo, che vide la collaborazione di ben dodici compositori, tra cui lo stesso autore triestino, che andò in scena una sola volta nel 1870). Questo lo si denota non solo dall'ariosità degli interventi corali, ma anche dalla presenza di un apparato melodico che vede il trattamento delle voci e dell’orchestra su un impianto che richiama strutture e comportamenti squisitamente operistici, facilitando anche la comprensione e il coinvolgimento da parte di ascoltatori e fedeli.
In brani come Tantum ergo in re maggiore, il Non vos relinquam in sol maggiore, la Virgo prudentissima in re maggiore, il Vespere autem sabbati in si bemolle maggiore e il Regina Coeli in do maggiore si può notare come l’afflato drammatico e misterico segua i canoni di un “racconto” più che di una “riflessione” (a differenza di come avviene invece nella musica sacra protestante); racconto che si dipana tra momenti di raccordo dati dall'intervento orchestrale e la capacità del coro di fornire elementi di contrasto e di dialogo, quasi sulla falsariga di un connotato oratoriale.
La lettura fatta da Alberto Pozzaglio (al quale sono riservati anche gli interventi all'organo) e dai componenti vocali e strumentali della compagine Lux Animæ rende quindi l’dea di questo senso narrativo, di questo andamento “teatrale” che emanano dalle linee strutturali di questi brani, insufflando un’aura spirituale (e questo lo si denota dal fraseggio che permea queste pagine) che ha il merito di proiettare idealmente chi ascolta alle dimensioni spaziali e temporali di ciò che si doveva respirare negli appuntamenti liturgici nella Cappella delle Laudi. A livello delle voci, quelle maschili sono un gradino sopra a quelle femminili, mentre l’accompagnamento orchestrale, terso, compartecipe, si trasforma in un elemento di appoggio attraverso il quale le voci ricevono il conforto di sfumature psicologiche, di afflati tesi ad illuminare o ad oscurare quei determinati passaggi.
Afferma il vero il giovane pianista romano David Simonacci, quando scrive nelle note di accompagnamento del suo CD dedicato alla musica pianistica di Giovanni Rinaldi, che il pianoforte ha vissuto una storia tutta sua nel corso dell’Ottocento in Italia. Questo perché se nella prima metà del secolo, il pianoforte fu il principale “ambasciatore” del melodramma nostrano, in quanto utilizzato dai compositori per dare corpo a fantasie operistiche, oltre a rappresentare lo strumento d’accompagnamento nelle riduzioni di intere opere liriche per canto e pianoforte, nella seconda metà, invece, complice anche lo sviluppo storico e politico dell’Italia unita, divenne il termine di paragone, grazie a musicisti come Giuseppe Martucci, Giovanni Sgambati (i più conosciuti), Stefano Golinelli, Adolfo Fumagalli e Giovanni Rinaldi (questi ultimi decisamente meno noti), per confrontarsi con le più recenti acquisizioni del linguaggio musicale europeo in campo strumentale e solistico.
E che Giovanni Rinaldi appartenga alla pletora di quei tanti “sconosciuti” di cui è zeppa la storia della musica (non per nulla, il CD in questione, pubblicato dalla Urania Records, presenta due opere pianistiche in prima assoluta mondiale) lo testimonia anche il fatto che andando a consultare il DEUMM, che fino a prova contraria rappresenta l’enciclopedia musicale più specialistica che abbiamo in Italia, al compositore e pianista emiliano Giovanni Rinaldi viene riservato poco più di un trafiletto. Sia ben chiaro, non ci troviamo di fronte a un autore imprescindibile, la cui caratura può competere con quella dei grandi del secondo Ottocento (il nostro nacque a Reggiolo, vicino a Reggio Emilia, nel 1840 e morì a Genova, città d’elezione che scelse per vivere e lavorare, nel 1895), ma la cui opera ci aiuta a comprendere meglio le dinamiche, le prospettive, le peculiarità della musica strumentale italiana dell’epoca, nella quale il melodramma e il verismo, quest’ultimo dapprima nascente e poi imperante, dettarono legge nei gusti e nelle preferenze del pubblico.
Ascoltando i brani che David Simonacci ha voluto registrare, per l’esattezza la raccolta Venti sfumature op. 68, risalente al 1877, i tre Bozzetti a matita op. 67 (1882) e i due pezzi che formano Sulle Alpi op. 34 (1871), non si può fare a meno di notare un aspetto che non accomuna solo l’autore emiliano ma anche buona parte dei musicisti votati al genere strumentale di quell'epoca, ossia un approccio non soltanto larvatamente semantico, ma anche di sostanza sonora, assimilabile alla pittura, alla rappresentazione musicale proiettata nella dimensione “tattile” della tavolozza pittorica. Al di là dei titoli che fanno parte di queste raccolte, basterà citare brani come “Villanelle in festa”, “Campagna squallida”, “Entrata d’arlecchino”, “Lungo il viale”, “Marina”, “Sotto i castagni”, e che rimandano necessariamente a quadri, dipinti, raffigurazioni in cui linee e colori già si fissano nella mente dell’ascoltatore, resta indubbio il fatto che la medesima materia sonora si presta a una concezione in cui la forma si trasforma in contenuto, con una rappresentazione in cui il costrutto musicale si raffigura, si fa immagine attraverso un filo conduttore, che può essere per l’appunto dato dal titolo di quella composizione o che suscita nell'ascoltatore immagini che richiamano l’idea di schizzi, bozzetti (come recita testualmente l’op. 67), pennellate, sfumature che lasciano tracce visive.
E ascoltando le pagine pianistiche che David Simonacci ha scelto per la sua registrazione non si può non accostare i brani di Rinaldi alle solarità, così come le oscurità (a tale proposito, penso a pezzi come “Rintocchi funebri” e “Campagna squallida”) così tipiche dei Macchiaioli, alle loro chiazze di colori ordinati, affastellati nel rigore approssimativo di una forma, di cose, di persone, dipinti che a loro volta rimandano a una necessità sonora e che invitano a un ascolto che va oltre la fisicità stessa di ciò che è raffigurato. E qui interviene la musica di Giovanni Rinaldi, la quale è indubbiamente, grazie alla caratura armonica e melodica che la contraddistingue, votata a “impressionare” colui che lo ascolta, focalizzandolo su immagini suscitate, evocate dalla tessitura stessa e che rimandano proprio alle istanze della pittura macchiaiola, a tratti accennati, sebbene delineati a sufficienza, a colori che persistono il tempo di una pennellata, schizzi (si va dai cinquantotto secondi de “La Cornamusa” ai cinque minuti e quindici secondi della “Campagna squallida”) attraverso i quali l’autore emiliano esprime sensazioni che ha l’obbligo di fissare, imprimere sulla tela della tastiera.
La lettura che ne fa David Simonacci risulta convincente in quanto il pianista romano comprende perfettamente che per rendere queste pagine non bisogna pensare solo come musicista, ma anche come pittore, solo che al posto dei pennelli bisogna usare (e dosare, soprattutto) l’intensità delle dita, avendo il dono di saper “raffigurare”; insomma, si devono avere doti “metamusicali” per rendere al meglio la musica pianistica di Giovanni Rinaldi, perché solo in questo modo si riesce a fornire l’immagine (ancora una volta!) di un’epoca, permettendo all’ascoltatore di comprendere come il pianoforte, dopo essere stato strumento di veicolazione del melodramma, ha fatto il suo ingresso nel nostro Paese per essere altro, per allinearsi finalmente a quanto si faceva ormai da tempo in altre realtà del vecchio continente.
Simonacci si muove sicuro, musicalmente è convincente senza per questo cercare di presentare Rinaldi per quello che non è, ma solo evidenziando al meglio qualità e difetti, con le prime che si fissano sull’inventiva melodica che a volte sfiora l’onomatopeico, e i secondi che riguardano, ma non dobbiamo dimenticare la brevità di questi brani, una mancanza di sviluppo, di progressione della tessitura (non si può, d’altra parte, chiedere a un pittore di racchiudere l’intero dipinto quando ancora è allo stato larvale del bozzetto, del mero schizzo).
La presa del suono del CD dedicato a Ruggero Manna, effettuata nella Basilica di Santa Maria della Pace a Scandolara Ravara, vicino a Cremona, è abbastanza buona. L’unico piccolo appunto risiede nella ricostruzione del palcoscenico sonoro, in quanto la compagine orchestrale, composta dalla sezione degli archi, a volte viene coperta dalla massa corale che invece si trova dietro di essa, con un conseguente leggero squilibrio nel parametro dell’equilibrio tonale, in quanto il registro acuto delle voci tende ad assorbire la resa timbrica degli strumenti. Adeguata la dinamica e sufficientemente buono il dettaglio.
Migliore la presa del suono che riguarda il CD con le musiche pianistiche di Giovanni Rinaldi; il meraviglioso Fazioli F278 viene reso al meglio grazie a una dinamica e a una microdinamica efficaci, capaci di restituire ottimamente le sfumature rese dal registro acuto e da quello grave. Anche il palcoscenico sonoro è in grado di ricostruire correttamente lo strumento, posto leggermente in modo avanzato rispetto all’ascoltatore senza risultare però irreale; da ultimo, anche l’equilibrio tonale e il dettaglio vantano le stesse peculiarità positive.
Andrea Bedetti
Ruggero Manna - Pulchra ut luna. Sacred works for solos, choir & orchestra
Lux Animæ – Alberto Pozzaglio (direzione & organo)
CD Urania Records LDV 1 4052
Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 3.5/5
Giovanni Rinaldi - Piano Works
David Simonacci (pianoforte)
CD Urania Records LDV 1 4059
Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4/5