La rivoluzione compositiva mozartiana
Due recenti produzioni discografiche della NovAntiqua Records dedicate a opere cameristiche, sinfoniche e concertistiche di Mozart rappresentano un’ottima occasione per mettere a fuoco, ancora una volta (e le occasioni non saranno mai abbastanza), la genialità e la portata rivoluzionaria dell’arte compositiva del divino salisburghese. I due titoli in questione presentano rispettivamente il quartetto per pianoforte e archi in sol minore K. 478 e quello in mi bemolle maggiore K. 493 eseguiti dall’ensemble Il Tetraone (formato da Ana Liz Ojeda e Alice Bisanti al violino, Paolo Ballanti al violoncello e Valeria Montanari al fortepiano e clavicembalo) nel CD Trazom Hausmusik, il concerto per clarinetto K. 622, il Rondo K. 373, l’aria Sperai vicino il lido K. 368 e la Sinfonia n. 29 in la maggiore K. 201, con Nicolai Pfeffer al clarinetto e Markus Stenz alla testa dell’ORT Orchestra della Toscana, nel CD Affinità elettive.
La portata rivoluzionaria data da Mozart nel genere cameristico del quartetto per tastiera e archi è già data dall’opera K. 478, la quale va a frantumare una consuetudine dell’epoca, poiché la musica da camera con pianoforte, nella seconda metà del XVIII secolo, non era ancora destinata agli esecutori professionisti, ma ai musicisti dilettanti, quasi sempre appartenenti alla nobiltà e alle classi sociali più agiate. Quindi, i compositori del tempo puntavano sulla creazione e sulla relativa pubblicazione di pagine dedicate alla musica da camera con pianoforte, ben sapendo che in nome della Hausmusik, la cosiddetta musica domestica, suonata dai componenti di un benestante circolo familiare, si potevano ricavare emolumenti e guadagni. Anche Mozart volle praticare questo genere, in funzione del fiorentissimo mercato editoriale rivolto ai dilettanti, con la composizione di Trii e Quartetti con pianoforte. Ma lo fece, naturalmente, con il suo inconfondibile e geniale stile creativo, come già dimostra il Quartetto in sol minore in questione, il quale fu scritto nell’ottobre del 1785 su commissione dell’editore Hoffmeister e che avrebbe dovuto essere seguito da altri due Quartetti, pubblicati dal medesimo editore. Ma quando quest’ultimo vide la partitura dell’opera K. 478, volle disdire il contratto, con il benestare di Mozart, in quanto lo stile generale risultava essere troppo “difficile” per un pubblico di esecutori dilettanti. Questa “difficoltà”, ribadita e ulteriormente ampliata dal Quartetto in mi bemolle maggiore K. 493, composto nel giugno del 1786 e pubblicato dall’editore Artaria, verteva soprattutto sul fatto che in Mozart la scrittura degli strumenti ad arco non era più concepita quale mero elemento accompagnatore per lo strumento a tastiera, ossia raddoppiandone solo la melodia e la linea del basso, come si faceva a quel tempo, ma imponendo tra gli uni e l’altro un rapporto decisamente più dialettico, non prendendo più come esempio il modello della sonata pianistica o per violino e pianoforte, bensì quello del concerto per pianoforte, assai più articolato ed elaborato proprio nel processo di dialogo tra strumento solista e accompagnamento orchestrale. Da qui, è facile intuire come il Quartetto K. 478 abbia rappresentato quell’elemento di frattura, di risoluto distacco dai canoni d’intrattenimento tipici dell’epoca per ciò che riguarda questo genere cameristico. Questo perché il Quartetto in sol minore di Mozart vanta uno spessore drammatico che rappresenta una vera e propria rivoluzione (non per nulla, si tratta dell’unica partitura in tonalità minore fra le opere cameristiche con pianoforte del divino salisburghese e che proprio la tonalità di sol minore, oltre ad essere fra le predilette di Mozart, fu da lui usata per conseguire risultati di grande drammaticità).
Il Quartetto in mi bemolle maggiore K. 493, oltre a rinsaldare quanto enunciato dal Quartetto K. 478, rappresenta un ulteriore passo in avanti per finalità stilistiche ed espressive, poiché, come ha ben intuito Alfred Einstein, in questa straordinaria pagina Mozart riuscì a fare qualcosa che nessuno prima di lui aveva saputo realizzare: fondere la dimensione cameristica del quartetto per archi con il virtuosismo del concerto per pianoforte, vale dire esasperando la linea comunicativa tra la sfera degli strumenti ad arco e quella dello strumento a tastiera, dando vita a una vera e propria “terza via”, votata a un processo di assoluta parità e importanza, nel quale tutti sono chiamati a pronunciarsi, a realizzarsi, a formarsi, a plasmarsi in un continuo dare e ricevere, permettendo l’attuazione di una forza propulsiva nella musica in cui la forma si coniuga miracolosamente con il contenuto. Ed ecco perché il Quartetto K. 493 rappresenta idealmente la sintesi di due mondi contrapposti, quello del dialogo drammatico, dato dalla forma, e quello dell’introspezione interiore, che scaturisce incessantemente tramite il concretizzarsi del contenuto.
L’interpretazione di questi due fondamentali capolavori cameristici da parte dei membri del quartetto Il Teatrone è convincente, in quanto la loro lettura, avvenuta con l’utilizzo di strumenti filologici, a cominciare dal fortepiano, mette in risalto la dovuta drammaticità, senza per questo relegare in secondo piano quell’indubbia briosità presente nei tempi veloci, così come quella pacata cantabilità che contraddistingue quelli lenti. Anche il dialogo tra gli strumenti è appassionato, colmo di slancio, capace di delineare compiutamente quel fraseggio articolato che arricchisce queste due pagine, senza rinunciare a una lucidità formale che non avvilisce allo stesso tempo l’eloquio dell’espressività.
Il secondo disco della NovAntiqua Records è dedicato invece alla produzione concertistico-sinfonica mozartiana, con un programma che vede il celeberrimo Concerto per clarinetto K. 622 e la Sinfonia n. 29 K. 201, unitamente a due brevi pagine, ossia il Rondò K. 373 e l’aria Sperai vicino il lido K. 368, queste ultime due nella particolare versione per clarinetto orchestra; una registrazione che vede il clarinettista tedesco Nicolai Pfeffer accompagnato dall’Orchestra della Toscana diretta da Markus Stenz.
La portata straordinariamente innovativa e rivoluzionaria che Mozart seppe dare all’arte musicale del suo tempo si manifestò non solo nell’ambito compositivo tout court, nel saper andare oltre gli spazi creativi dell’epoca, ma anche nell’esplorazione e nello sfruttamento degli strumenti musicali, come nel caso del clarinetto, del quale fu un eccelso virtuoso Anton Stadler, amico e confratello massone del genio salisburghese. Mozart ebbe modo di conoscere questo strumento a fiato già nel corso del suo viaggio effettuato a Londra nel 1765, senza contare l’importanza datagli negli anni immediatamente successivi dall’orchestra di Mannheim, capace come nessun’altra compagine del tempo nel saper valorizzare e sfruttare le potenzialità degli strumenti musicali a livello sinfonico.
Ma fu proprio l’amicizia e la frequentazione con Anton Stadler a permettere a Mozart di concentrarsi sulla scrittura solistica del clarinetto e ciò avvenne negli ultimi anni di vita, quando il divino Amadé compose appositamente per l’amico il Trio K. 498, il Quintetto con clarinetto K. 581, due Arie de La Clemenza di Tito, Parto ma tu ben mio e Non più di fiori, e il Concerto per clarinetto K. 622. Quest’ultima opera, che chiude l’apporto compositivo di Mozart per questo genere musicale nel suo catalogo, rappresenta idealmente l’immagine del crepuscolo, di un tramonto esistenziale ed artistico che si realizza non attraverso una potente immagine innovatrice, ma per via di una commovente capacità espressiva, tale da porla in una dimensione classica, dal sapore apollineo. Tale classicità è data dallo straordinario equilibrio che Mozart dona a tutta la composizione grazie a precisi accorgimenti tecnici, a partire dalla netta separazione timbrica dei violoncelli dai contrabbassi, proseguendo con la geniale decisione di non utilizzare determinati strumenti a fiato (oboi, trombe e tromboni) che sarebbero potuti entrare in conflitto con il solista, e garantendo la presenza di due flauti, due fagotti e due corni, oltre a condensare, a liofilizzare l’accompagnamento orchestrale ai soli violini, con o senza l’apporto delle viole, nei momenti più lirici e struggenti.
Il Rondò in do maggiore K. 373, scritto nell’aprile 1781, è una pagina brillante, composta per violino e orchestra (la composizione nacque espressamente per un virtuoso del violino come il napoletano Antonio Brunetti, il quale gli succedette alla corte del principe Colloredo a Salisburgo come Hofmusikdirektor e Hofkonzertmeister, anche se a dire il vero, non lo stimasse molto sia come artista, sia come uomo), ma che può essere eseguita alla bisogna anche con un altro strumento solista, come appunto il clarinetto nella presente registrazione discografica. Si tratta di una pagina brevissima, un concentrato di raffinatezza e di freschezza stilistiche, ma che mette in mostra una scrittura ben più matura e profonda rispetto ai cinque concerti per violino che Mozart aveva composto sei anni prima, con il brano che verte su un tema brillante, squisitamente elegante, esposto dapprima dal solista e ripreso poi dall’orchestra; tema che viene alternato a episodi nei quali viene esaltato il costrutto virtuosistico dello strumento solista. E che la purezza musicale, la sua proprietà di essere plasmata e adattata attraverso diverse applicazioni timbriche siano proverbiali nell’arte musicale mozartiana lo testimonia la versione presentata in questa registrazione, visto che al posto del violino solista per la prima volta vi è per l’appunto il clarinetto. Lo stesso clarinettista Nicolai Pfeffer ha voluto trascrivere per il suo strumento e con l’accompagnamento orchestrale l’aria Sperai vicino il lido K. 368.
La piena maturità compositiva in Mozart venne progressivamente raggiunta parallelamente alla fase di allontanamento e superamento da forme e stilemi precostituiti, a cominciare da quello imperante all’epoca che ricalcava il tipico gusto italiano votato all’esaltazione della melodia. In tal senso, la Sinfonia in la maggiore K. 201, ultimata il 6 aprile 1774, rappresenta, unitamente alle Sinfonie in do maggiore K. 200 e in sol minore K. 183, una svolta decisiva nella produzione sinfonica mozartiana, proprio per il fatto di essere l’ultimo tassello nel processo di affrancamento dall’influenza data dal gusto italiano. Ciò avvenne quando l’adolescente Mozart, nel corso del suo viaggio viennese del 1773, ebbe proficui contatti con le più significative tendenze musicali contemporanee, a cominciare da quella fondamentale con Franz Joseph Haydn, che gli diedero modo di abbandonare progressivamente la rigida struttura in tre movimenti e i tipici contrasti di matrice italiana che l’Amadé ancora bambino aveva conosciuto tramite l’influenza di Johann Christian Bach.
Davvero notevole la padronanza che Nicolai Pfeffer vanta nei confronti del suo strumento; la sua lettura del Concerto K. 622 si concentra su un sottile equilibrio in cui eloquio, virtuosismo e resa espressiva non vengono mai meno, anche grazie a precise scelte agogiche che il direttore Markus Stenz e i componenti dell’Orchestra della Toscana riescono a dipanare, dando modo all’artista tedesco di tratteggiare al meglio la “classicità” insita in quest’opera, a cominciare dal tempo centrale, fissato da un timbro accorato, ma mai incline a un sentimentalismo fine a se stesso. Lo stesso si può affermare per le due brevi pagine, il Rondò K. 373 e l’aria Sperai vicino il lido K. 368, in cui il clarinetto risulta essere convincente nel sostituirsi al violino del primo e alla voce umana della seconda (originariamente destinata a un soprano), in quanto Nicolai Pfeffer, sempre sostenuto ottimamente da direttore e compagine orchestrale, tratteggia adeguatamente il costrutto tematico, restituendo una brillantezza e una luce proprie a queste due versioni.
Assai piacevole nella resa ritmica, pulsante, senza tralasciare una patina di necessaria leggiadria, la lettura della Sinfonia n. 29, con una particolare nota di merito per la sezione degli archi, capace di restituire un timbro terso, luminoso, giocato su debite sfumature e con una pregevole precisione negli attacchi e nella dimensione agogica del costrutto. Due registrazioni, quelle della NovAntiqua Records, che rappresentano un ideale biglietto da visita della grandiosa genialità compositiva mozartiana.
Anche l’aspetto tecnico della presa del suono è altrettanto buono in entrambe le incisioni. La dinamica è sempre energica, precisa, esente da possibili enfasi, così come la microdinamica, in grado di generare sfumature e delicatezze timbriche (presenti soprattutto nella Sinfonia n. 29); il palcoscenico sonoro restituisce al centro dei diffusori e a una discreta profondità i componenti del quartetto come il solista e la compagine orchestrale. Da ultimo, da rimarcare la correttezza timbrica dei registri nel parametro dell’equilibrio tonale e l’ottima matericità fornita dal dettaglio.
Andrea Bedetti
Wolfgang Amadeus Mozart – Trazom Hausmusik. Quartets with Fortepiano K. 478 & K. 493
Ensemble Il Tetraone
CD NovAntiqua NA53
Giudizio artistico 4/5 Wolfgang Amadeus Mozart – Affinità elettive. Concerto for Clarinet K. 622-Rondo K. 373-Sperai vicino il lido K. 368-Symphony No 29 A Major K. 201 Nicolai Pfeffer (clarinetto) – ORT Orchestra della Toscana – Markus Stenz (direzione) CD NovAntiqua NA55 Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4/5
Giudizio tecnico 4/5