La Reine de Chypre, il capolavoro dimenticato di Halévy
Si pensa a Fromental Halévy e subito viene in mente quello che è considerato il suo capolavoro in ambito operistico, La juive, epicentro di quel vasto fenomeno del teatro musicale transalpino che porta il nome di grand opéra e che furoreggiò a metà del XIX secolo. Al di là di qualche interessante composizione per la musica sacra da sinagoga, Halévy si concentrò soprattutto sull’ambito operistico, genere che indubbiamente gli garantì le maggiori soddisfazioni in termini di fama e di guadagni, oltre a ricoprire il ruolo di docente al conservatorio di Parigi e quello di maestro accompagnatore al Théâtre italien sempre nella capitale.
Ma se La juive è riuscita a superare l’azione corrosiva del tempo nel corso dei secoli, la stessa cosa non si può certo dire di più del novanta per cento restante della produzione operistica di Halévy, persino di quelle opere che ai tempi delle loro prime rappresentazioni ottennero un successo pari a quello avuto da La juive, come nel caso de La Reine de Chypre, la cui composizione risale al 1841, ossia sei anni dopo quella del suo lavoro più celebre, con il quale avrebbe voluto rinverdire, come scrisse e confidò egli stesso, i fasti della composizione precedente. In effetti, fino alla seconda metà dell’Ottocento quest’opera ebbe un durevole e stabile successo, testimoniato dalle centinaia di rappresentazioni quasi esclusivamente in terra francese, ma poi nel corso del tempo è entrata a far parte, come tante altre, nel gorgo del dimenticatoio storico. Ora, questo lavoro del teatro musicale ritorna in superficie dalle paludi del tempo grazie all’iniziativa del Palazzetto Bru Zane di Venezia, l’istituzione culturale e musicale che mira alla rivalutazione e alla scoperta del patrimonio romantico francese.
La Reine de Chypre vanta un impianto scenico e drammatico che ricalca essenzialmente quello che aveva contraddistinto La juive, ossia quello di trapiantare vicende personali all’interno di un quadro storico, coniugando e intrecciando linee microscopiche, come possono esserlo le vite individuali, con quelle macroscopiche, ossia la dimensione storica che soverchia e muta le istanze e i destini umani. Al centro della vicenda c’è una figura femminile, la nobile Catarina Cornaro, promessa sposa del cavaliere francese Gérard de Coucy, ma il cui matrimonio viene ostacolato dalle trame del senatore Mocenigo, il quale intima alla donna di andare in sposa a Jacques de Lusignan, re di Cipro, se non vuole vedere giustiziato il suo amato. Da qui si dipana una vicenda lungo cinque atti (quanti ne vanta La Juive) e che vedono il bene trionfare contrariamente a quanto avviene nell’altra opera, il cui finale tragico colpì enormemente il pubblico del tempo. I pregi e i difetti di quest’opera sono presto detti: i primi risiedono soprattutto nella debolezza del libretto da parte di Jules-Henri Vernoy de Saint-Georges, il quale tendeva a elaborare trame alquanto discontinue e poco verosimili (in quest’opera ne fa fede quanto avviene nel terzo atto, nell’improbabile incontro tra due sconosciuti, il re di Cipro e lo stesso Gérard, che si scoprono subito fratelli d’elezione), mentre l’aspetto convincente è dato dalla musica di Halévy, il cui piano drammatico si concentra in ogni settore orchestrale, sfruttando ogni minima possibilità timbrica (non si può certo rimproverare all’autore francese di non aver saputo plasmare il timbro orchestrale che aveva a disposizione, al punto da suscitare l’ammirazione di uno spirito critico e pignolo nato come Wagner), ma svilito, si torna a ripeterlo, da un libretto che ne mortifica in parte la caratura compositiva.
Per fortuna, a risollevare le sorti dell’opera, in tale occasione, ci pensano anche gli interpreti di questa riuscitissima registrazione, a cominciare dal cast dei cantanti, con il notevolissimo soprano francese Véronique Gens nei panni della protagonista, così come il tenore Cyrille Dubois nel ruolo di Gérard de Coucy, il baritono Etienne Dupuis (Jacques de Lusignan) e il tenore Éric Huchet (il perfido senatore Mocenigo). Allo stesso tempo, non da meno, è il contributo del Flemish Radio Choir e soprattutto dell’Orchestre de Chambre de Paris, ottimamente diretta Hervé Niquet.
Nulla da ridire anche sulla presa del suono, caratterizzata da una dinamica veloce e sufficientemente veloce, con la compagine orchestrale e il coro che non sono ricostruiti in modo troppo arretrato rispetto alle voci soliste.
Andrea Bedetti
Fromental Halévy – La Reine de Chypre
Véronique Gens – Cyrille Dubois – Etienne Dupuis – Éric Huchet – Flemish Radio Choir – Orchestre de Chambre de Paris – Hervé Niquet
2CD Ediciones Singulares ES 1032
Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4/5