La “navigazione ermeneutica” di Salvatore Sciarrino
Ci sono due frasi di Hans-Georg Gadamer che possono aiutare a comprendere meglio il nuovo disco che raccoglie quattro composizioni di Salvatore Sciarrino, di cui tre in prima assoluta mondiale, frasi che affermano testualmente: «Egli parla del fiume, di come tutto in esso scorra. E questo è stato interpretato, molto probabilmente, in maniera piuttosto unilaterale dai pensatori successivi. Secondo loro Eraclito avrebbe insegnato la dottrina dello scorrere di tutte le cose. Se consideriamo però i Frammenti vediamo che egli ha insegnato la paradossalità secondo cui l’acqua sempre diversa, che scende scorrendo lungo il letto del fiume, è sempre una e una stessa corrente» e «L’interprete e il testo posseggono ciascuno il proprio “orizzonte”, e ogni comprendere rappresenta una fusione di tali orizzonti».
Questo perché non si può affrontare l’ascolto e la disamina della musica del compositore palermitano, e la stessa cosa deve avvenire per altri pochi protagonisti della musica contemporanea attuale, senza dover ricorrere agli strumenti e alla potenza espressiva del pensiero filosofico. E, più specificatamente, agli strumenti dell’indagine ermeneutica, l’arte dell’interpretazione, perché come afferma lo stesso Sciarrino in un passaggio dell’intervista-colloquio con il pianista-musicologo Aldo Orvieto all’interno delle note che accompagnano il disco La navigazione notturna (che presenta il brano omonimo per quattro pianoforti, “Due arie marine” da Perseo e Andromeda per mezzosoprano e live electronics, “Il giardino di Sara” per voce, flauto, clarinetto, violino, violoncello e pianoforte e “Altre notti” per quattro pianoforti) «Ogni forma di linguaggio (e quindi l’arte) è soggetta all’interpretazione. Il linguaggio non si evolve da solo ma esiste in quanto viene interpretato; quando non viene interpretato il linguaggio è morto. Leggere vuol dire interpretare, ascoltare vuol dire interpretare… ».
Ecco, se il linguaggio esiste nel momento stesso in cui viene interpretato, allora la musica di Salvatore Sciarrino rappresenta la concretizzazione di tale processo artistico/cognitivo, ponendo l’ascoltatore di fronte a un flusso continuo di “emozioni-pensieri” (altro cardine-guida della concezione estetica sciarriniana, in quanto nella vera arte l’analisi riflessiva non dev’essere mai disgiunta dal realizzarsi emotivo in chi ascolta), che necessariamente lo conducono lungo il sentiero che porta all’essere o, quantomeno, al vero ascolto (è sempre Gadamer che afferma: «L’essere che può venir compreso è linguaggio»). Da qui, la dimensione vettoriale che contraddistingue anche quest’ultimo disco, le cui quattro pagine che lo compongono rappresentano altrettanti momenti di una riflessione-emozione che non cessa mai di stupire e che indirizzano idealmente l’ascoltatore al centro dell’universo sonoro-pulsante di Sciarrino.
Un universo in cui batte forte lo studio, l’analisi, l’esaltazione stessa del timbro, fondamentale per addentrarsi e per non essere respinti dall’offerta sonora del compositore siciliano e che trova per l’appunto ne “La navigazione notturna” un preciso esempio in cui il timbro stesso, esposto, sviluppato, analizzato dai quattro pianoforti, si trasforma in un viaggio non certo lineare, ma che sconfina in un altro ambito caro a Sciarrino, la dimensione matematico-creativa degli insiemi. Se si ascolta la sua musica linearmente non si viene accettati, bensì respinti, in quanto la porta della sua costruzione musicale viene aperta solo se si immagina il suo sviluppo-divenire dei suoni come un continuo materializzarsi sonoro che trova il proprio compimento in una serie di insiemi, all’interno dei quali il suono individua e trova il suo spazio, che si sviluppano e si ramificano incessantemente, anche se apparentemente al primo ascolto si viene tentati a rappresentarli come una stasi, un arcipelago immobile che falsamente spinge l’ascoltatore a osservare più che a riflettere. Ma la semplice osservazione non permette quel dinamismo interpretativo che la musica di Sciarrino impone continuamente. Chi l’ascolta deve camminare, muoversi dentro sé stesso, perché solo in questo modo può afferrare il nascere e lo svilupparsi dei suoi insiemi sonori.
I due brani centrali del disco poi affrontano un’altra tematica imprescindibile nell’estetica, e non solo musicale, del compositore palermitano, quella che riguarda la voce umana e il suo rapporto con il suono strumentale. In tal senso, sia le “Due Arie marine” (del 1990, su versi dello stesso Sciarrino elaborati dal poeta francese Jules Laforgue), sia “Il giardino di Sara” (del 2008, tratto da un canto popolare siciliano raccolto da Lionardo Vigo) pongono l’ascoltatore di fronte alla proverbiale capacità del musicista palermitano di plasmare la voce umana inserendola nel contesto strumentale con un duplice risultato: far sì che la voce diventi una sorta di “altro” strumento musicale e che gli strumenti musicali diventino una sorta di “altra” voce umana. Il lavorio di sfumature timbriche, di ppp che si trasformano subitamente in fff che Sciarrino impone a chi canta fa sì che il canto diventi un elemento teatrale svincolato/vincolato al tessuto strumentale stesso.
Nella prima Aria (tale termine può essere inteso anche “fisicamente” come l’aria che sostiene e amplifica il vettore vocale), “Lamento”, la voce del mezzosoprano si irradia, nella sua assolutezza, per manifestare e dare corpo all’idea di una sconfinata infinitezza che si concretizza nel concetto del mare che tutto domina e tutto avvolge. Una voce di sirena sconfitta, desolata, annientata che dapprima si confronta e si scontra con il vuoto spaziale dato dall’elemento marino e poi, progressivamente, con l’irruzione dei live electronics, che assumono una valenza altrettanto “fisica” non solo rimandando a un “altro” suono, ma anche a una dimensione che diviene concretamente opprimente, debordante, nelle fattezze di un mostro (“Mostro! Che fai?”), parole che determinano la chiusura di questo lamento, ma che impongono anche un’ennesima riflessione-interpretazione, in quanto il “mostro” in questione può anche cangiare nella visione di chi emette il canto e che intende “mostrare” ciò che vi è di mostr-us-o in ciò che vede.
Nella seconda Aria, “Tempesta”, la voce rende una canzone marinara alla stregua di una litania in cui le parole possono trasformarsi in fonemi (termini come bua, issa, con le sue sibilanti!, tuffo) nel gioco degli insiemi sonoro-fonetici si tramutano in emissioni vocali in cui la voce rincorre e viene rincorsa dagli strumenti musicali che la accompagnano/separano. L’emissione vocale, proprio attraverso questa trasmutazione in fonema, come succede anche ne Il giardino di Sara, dà quasi l’idea dello sforzo e della dimensione semantica che lo permea, in cui l’elemento strumentale si pone spesso come termine di confronto, nel senso che alla voce, nella sua estemporanea declamazione-canto, si accompagna la presenza di un dato strumento che ne realizza e completa la dimensione vibrante (violino o violoncello) e inspirante/espirante (flauto o clarinetto), mentre il pianoforte, depositario di una timbrica marcata tra registro grave e quello acuto, risuona come un vigile filtrante, tale da garantire una determinata altezza su cui poggia, di volta in volta, la materializzazione voce/strumento.
Da ultimo, “Altre notti”, per quattro pianoforti come “La navigazione notturna”. Tra i due brani ci sono trentadue anni di mezzo, con il secondo che è stato iniziato nel 1985 e ultimato nel 2017 e con il primo che è dello stesso 2017. Ma in “Altre notti” Sciarrino privilegia una mappatura timbrica che pone tra due ideali assi cartesiani, nel cui centro il timbro dei quattro pianoforti si sovrastruttura continuamente come se fosse un pezzo di mica sonora stratiforme. Anche in questo caso, lo sfruttamento del registro grave e di quello acuto (quest’ultimo a volte può risultare intollerante per l’ascoltatore che si limita a osservare e non a pensare) rappresentano il culmine e l’abisso, incarnanti gli assi cartesiani all’interno dei quali i suoni pianistici vagano senza disordine, riempiendo un vuoto acustico che è come una spugna di mare, capace di assorbire prodigiosamente una quantità incredibile di magma sonoro.
È stato ancora Gadamer a scrivere «Chi vuol comprendere un testo deve essere pronto a lasciarsi dire qualcosa da esso» e in musica la chiaroveggenza di tale affermazione risiede come in nessun altro proprio nell’opera di Sciarrino; solo se siamo in grado di “lasciarci dire” quanto esprime in essa avremo la possibilità di “comprenderla”. Un “lasciarci dire” che ha lo stesso valore dello “sperdersi”, guidati dalla bussola del nostro interpretare.
Semplicemente maiuscola l’esecuzione da parte di tutti gli interpreti, indubbiamente votati alla filosofia sonora di Salvatore Sciarrino; se il mezzosoprano Alda Caiello si inerpica e discende tra i registri vocali con una disarmante semplicità, unita da un’espressività nel canto da renderlo spazialmente tridimensionale, da parte loro Alfonso Alberti, Fausto Bongelli, Anna D’Errico e Aldo Orvieto ai pianoforti riescono a dipanare magnificamente l’impervia tessitura dei due brani che eseguono. Infine, se l’Ex Novo Ensemble propone emissioni e quadri timbrici capaci di essere sospesi nel tempo e nello spazio nei quali vengono proiettati, creando un respiro sonoro che si unisce al respiro esistenziale di chi ascolta, Alvise Vidolin ancora una volta dimostra di essere un impareggiabile deus ex machina alle prese con la fonte sonora elettronica.
Matteo Costa e Alberto Vedovato hanno curato una splendida presa del suono, esaltata dal DSD ospitato nel Super Audio Compact Disc. La dinamica, velocissima ed esplosiva, permette di cogliere la potenza del suono sciarriniano (la correttezza degli armonici è esemplare), mentre il palcoscenico sonoro che vede di volta in volta la voce e gli strumenti rende giustizia allo spazio sonoro nel quale sono inseriti. Infine, sia l’equilibrio tonale, sia il dettaglio sono tali da rendere quasi ideale la fisicità dei registri e degli strumenti musicali, così come la voce del mezzosoprano.
Andrea Bedetti
Salvatore Sciarrino – La navigazione notturna
Alda Caiello (mezzosoprano) – Alfonso Alberti, Fausto Bongelli, Anna D’Errico, Aldo Orvieto (pianoforte) – Ex Novo Ensemble – Alvise Vidolin (live electronics)
SACD Stradivarius STR 37091
Giudizio artistico 5/5
Giudizio tecnico 5/5