La musica pianistica dimenticata di Ottorino Respighi
Se si prende come esempio la voluminosa Guida alla musica pianistica che Piero Rattalino ha redatto e pubblicato nel 2012, non troveremo una sola riga dedicata alle opere per questo strumento di Ottorino Respighi, il quale, come si sa, viene celebrato, magari a denti stretti, come fece ben notare ai tempi Massimo Mila (un’affermazione, questa, purtroppo ancora del tutto valida), in ambito orchestrale, sinfonico e, più marginalmente, in quello cameristico e ancor meno in quello operistico. Quindi, la faccenda da dirimere è: il compositore bolognese dev’essere ricordato per le pagine che dedicò, soprattutto in età giovanile, al pianoforte, oppure si deve fare come appunto fece Rattalino? Se si deve dare credito al criterio con il quale il grande didatta e studioso di Fossano, ossia che la sua imprescindibile Guida è stata imbastita inserendo decine di compositori che hanno costruito e affinato la tecnica pianistica, permettendone un debito sviluppo, sia nello stile, sia nelle conquiste tecniche, allora la risposta è sì, in quanto il Respighi pianistico è assai poca cosa, ma la risposta è no se la musica che compose per questo strumento viene inserita in un respiro più generale, sia riferito al suo catalogo, sia allo spirito del tempo (italiano) in cui nacque.
Tale ambivalenza, sempre del tutto opinabile, può essere testimoniata da una recente registrazione discografica, pubblicata dalla Aulicus Classics, in cui il pianista barese Vitantonio Caroli ha voluto presentare tre distinte composizioni pianistiche respighiane, per la precisione la Sonata in fa minore P.016, risalente al 1897, i Sei pezzi per pianoforte P.044, posteriori di sei anni, e la versione per solo pianoforte delle Antiche danze ed arie per liuto. Prima suite (secoli XVI-XVII) P.114, elaborata nel 1917, ossia in un arco di tempo che va da un musicista diciottenne ad uno trentottenne, le cui tensioni artistiche e creative inevitabilmente mutano, rappresentando di conseguenza un termometro ideale per comprenderne le tematiche, i cambiamenti stilistici da inquadrare sia all’interno della sua produzione generale, sia rispetto al clima musicale dell’epoca, anche in rapporto alle influenze e ai molteplici fermenti provenienti da oltralpe.
Il Respighi diciottenne che mette baldanzosamente mano alla Sonata in fa minore, strutturata su tre tempi, come annota correttamente lo stesso Caroli nelle note di accompagnamento, ha un preciso punto di riferimento che si chiama Robert Schumann (il che ci fa comprendere come nel nostro Paese a fine Ottocento quali potessero essere ancora le linee guida della musica pianistica, al di là del fascino che il mostro sacro di Zwickau poteva giustamente emanare nella fervida mente di un giovane musicista, e ciò vale soprattutto per quanto riguarda il tempo centrale lento e nella visione oscillante tra la sfera di Eusebio e quella di Florestano nell’Allegretto finale, anche se non mancano espliciti richiami al genio di Beethoven, concentrati nella Coda che conclude il primo tempo).
Nonostante i toni entusiasti con i quali Caroli descrive i Sei Pezzi, ci troviamo di fronte a una scrittura nonostante tutto salottiera, educata, tutta pizzi e merletti, che se non trovano spazio nelle sale concertistiche attuali non bisogna meravigliarsene (è interessante notare come alcuni di questi brani siano stati dal giovane Respighi dedicati a nobildonne dell’epoca, come il primo, Valse caressante, a Cesarina Donini Crema; il quarto, Minuetto, ad Adele Righi, e il quinto, Studio, alla contessa Ida Peracca Cantelli, il che ci fa capire il perché di una scrittura sicuramente brillante, ma sempre educata, tale da poter essere applicata anche per altri organici, come riportò lo stesso compositore bolognese (sempre del Valse caressante esiste una versione per flauto ed archi e del Minuetto un’altra per strumenti ad arco).
Semmai, la prova del nove, ossia quella che riguarda la reale grandezza del Respighi che utilizza il pianoforte per esplorare con altri colori, con altre modalità gli impasti ottenuti attraverso altri mezzi strumentali lo abbiamo con la proposizione della Prima Suite delle Antiche danze ed arie per liuto, della quale esiste anche la versione a quattro mani risalente allo stesso 1917, come dello stesso anno è anche quella, più famosa, per piccola orchestra. Qui, ad esprimersi, è il Respighi musicologo, il grande indagatore delle opere di un remoto passato, analizzate, sintetizzate e riproposte attraverso l’uso di un linguaggio modale, la cui attualizzazione cela in ogni anfratto, in ogni minima nota una freschezza e una lucidità d’intenti che ancora oggi emozionano e commuovono.
La lettura effettuata da Vitantonio Caroli è sicuramente convincente e denota un grande amore e una grande attenzione nei confronti di queste pagine, che in massima parte hanno una loro ragion d’essere in chiave storica, più che artistica (e qui torniamo a bomba con l’assordante silenzio di Piero Rattalino… ). Particolarmente degna di nota è la sua capacità di cesellare con scrupolosa cura le meravigliose Antiche danze ed arie per liuto, evidenziandone non solo la nobiltà melodica, il raffinato fraseggio, ma anche la sua portata armonica, dosando con attenzione pesi e contrappesi stilistici.
Complessivamente efficace la presa del suono effettuata da Marco Carulli, contraddistinta da una buona dinamica, capace di mettere in debita mostra la ricchezza timbrica dei tipici colori respighiani, oltre a vantare sufficiente velocità ed energia. Corretta anche la ricostruzione del pianoforte per ciò che riguarda il palcoscenico sonoro, con lo strumento posto idealmente al centro dei diffusori a una discreta profondità di campo. L’equilibrio tonale non denota sbavature di sorta nel riproporre il registro dello strumento e il dettaglio è corposamente materico.
Andrea Bedetti
Ottorino Respighi – Piano Sonata P.016-6 Pieces for Piano P.044-Ancient Airs and Dances P.114
Vitantonio Caroli (pianoforte)
CD Aulicus Classics ALC 0092
Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4/5