La musica per liuto ai tempi di Leonardo Da Vinci
L’unitarietà delle arti è un fenomeno che ha interessato alcune epoche della storia dell’uomo occidentale, a cominciare da quella che riguarda l’era romantica, in cui l’arte pittorica, la musica, la letteratura avviarono un percorso interdisciplinare secondo il quale, a detta dei teorici e filosofi del tempo, l’uomo avrebbe potuto aspirare a una visione assoluta della reale espressione artistica. Questo anelito, sebbene non mutuato da una concezione sistematica e peculiare, può essere individuato anche in quel delicato e affascinante passaggio che dall’Umanesimo portò alla realizzazione di un nuovo modo di intendere le arti attraverso il Rinascimento, in cui l’afflato pittorico, scaturito dalle molteplici botteghe sparse sul territorio italiano, si unì a quello rappresentato dall’arte dei suoni. Suono e colore, dunque, accostati, uniti da un impalpabile mistero che mise in luce le attinenze e le capacità di entrambi di provocare emozione se assemblati con altri colori e con altri suoni.
E non è un caso, quindi, che diversi pittori di quel tempo furono anche valenti musicisti, come nel caso di caso di Giorgione, il quale durante la giovinezza fu indeciso se diventare pittore oppure se consacrarsi alla musica, visto che fu anche un virtuoso del liuto. Come lo fu anche Andrea Verrocchio, presso la cui bottega fiorentina iniziò l’attività pittorica Leonardo da Vinci. Proprio a quest’ultimo o, per meglio dire, all’epoca in cui operò il genio toscano, il liutista Massimo Marchese e il soprano Nadia Caristi hanno dedicato un disco, pubblicato dall’etichetta discografica Centaur, intitolato Amore la sol mi fa remirare - The Music of Leonardo’s Age.
Parlare di Leonardo Da Vinci musicista, nella pletora multiforme dei suoi sconfinati interessi scientifici e artistici, può oggigiorno essere considerata una forzatura, tenuto conto che non ci sono giunte, se non pochi righi di musica, sue opere composte e trascritte su carta. Questo perché il genio vinciano fu maggiormente votato a improvvisare sia cantando (i testimoni dell’epoca asserirono che era dotato di una bella voce intonata), sia accompagnandosi con il suo prezioso liuto in argento (come quello che lo stesso Leonardo portò in dono a Ludovico Sforza da parte di Lorenzo il Magnifico nel 1582), senza preoccuparsi di trascrivere quanto eseguiva al momento. Alla luce di ciò, che cosa sappiamo allora di Leonardo musicista e del suo rapporto con l’arte dei suoni? Purtroppo, anche se la sua produzione musicale è andata praticamente perduta proprio per via del suo carattere improvvisativo e non trascritto, sappiamo invece dell’interesse che Leonardo coltivò per l’acustica, effettuando diversi esperimenti e lasciando debita traccia negli appunti e negli studi, oltre ad avere inventato strumenti musicali come la viola organista, la viola a tasti e flauti muniti di chiavi che anticipano quindi di tre secoli quanto messo poi a punto da Theobald Böhm. Attraverso il manoscritto Anonimo Gaddiano sappiamo anche che fu per l’appunto un valente suonatore di liuto, cosa confermata anche dal Vasari ne Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architetti, in cui lo definì un maestro dell’arte di “cantare a mente”, tipica dei circoli umanistici del tempo, fedele ai principi estetici dell’imitatio antiquitatis. Allo stesso tempo, il matematico Luca Pacioli e il pittore Paolo Lomazzo portano testimonianze sull’arte musicale di Leonardo da Vinci, così come bisogna ricordare i frequenti contatti che ebbe con il teorico e musicista lodigiano Franchino Gaffurio.
Ecco perché Massimo Marchese e Nadia Caristi nel loro disco hanno voluto presentare, con l’apporto del liuto e della voce, brani di autori dell’epoca in cui visse e operò il genio toscano, per far comprendere l’aura, la temperie, il clima musicale di un genere nel quale Leonardo, secondo quanto affermarono i testimoni dell’epoca, eccelse, sebbene a livello amatoriale; così, se l’incipit e la fine del disco sono di appannaggio del genio toscano con i 3 Rebus musicali annotati in un foglio del Codice Windsor e arrangiati dal liutista Massimo Lonardi, gli altri diciannove pezzi che confezionano il disco vedono la presenza dello stesso Franchino Gaffurio, del “divino” Francesco da Milano, probabilmente il più grande virtuoso di liuto dell’epoca in terra italiana, del veronese Bartolomeo Tromboncino, autore di splendidi brani (qui sono presenti Virgine bella, Poi che volse la mia stella e il sublime Per dolor me bagno el viso), di Marchetto Cara (Per fuggir d’amor le punte e Dulces exuviae), di due Ricercari di Francesco Spinacino, altro straordinario liutista e, per ciò che riguarda autori stranieri, del più grande compositore del primo Rinascimento, il franco-fiammingo Josquin des Prez (Mille regretz), il quale operò a Milano, al servizio di Ascanio Sforza tra il 1483 e il 1484, ossia un anno dopo l’arrivo di Leonardo alla corte sforzesca, e dei fiamminghi Johannes Ockeghem (D’ung aultre amer) e Jacques Arcadelt (O felici occhi miei).
Ma il vero obiettivo di questo disco, al di là del richiamo leonardesco, è stato quello di far capire come il binomio liuto & voce abbia rappresentato tra il finire del Quattrocento e l’inizio del secolo successivo uno strumento ideale per arrangiare lavori composti dapprima per il genere della frottola e poi per quello del madrigale, scritti per essere eseguiti originariamente a quattro voci e poi, per ciò che riguarda i madrigali, anche a tre o a cinque voci, grazie alla loro tessitura polifonica capace di plasmare e di articolare i testi dalla forma strofica. L’arrangiamento di queste frottole e di questi madrigali, per essere eseguiti dal liuto e da una voce, ci fornisce gli strumenti per capire come quest’ultimo binomio, antesignano del concetto di Hausmusik di romantica memoria, abbia rappresentato un modello culturale per le corti e per i palazzi nobiliari del tempo, nei quali la veicolazione e la conoscenza della musica passò anche attraverso la pratica del canto con l’accompagnamento del liuto.
Sotto questo aspetto la resa interpretativa di Massimo Marchese e di Nadia Caristi è ineccepibile, in grado di calare l’ascoltatore in una dimensione musicale in cui la fase stessa dell’ascolto, per essere realmente motivata, dev’essere fatta non con un orecchio “moderno”, bensì “antico”, ossia calandosi nella dimensione temporale, ancora prima che artistica, di ciò che si ascolta. Ebbene, la lettura di Marchese da una parte e della Caristi dall’altra ha tutte le carte in regola per permettere a chi ascolta di farlo con orecchio “antico”, compartecipe e appassionato. Se il liuto dell’artista savonese è un concentrato di fraseggio riflessivo (non si deve dimenticare che, oltre ad essere uno dei maggiori rappresentanti della scuola liutistica italiana, è anche un raffinato e scrupoloso musicologo) votato a non trasmettere solo l’emozione, ma anche il pensiero degli autori presi in esame, Nadia Caristi (specialista tra le più apprezzate nel campo della musica vocale rinascimentale) dipana un canto in cui espressione melodica e manifestazione psicologica dell’atto vocale sono resi in maniera omogenea, restituendo all’ascoltatore una rappresentazione compiuta del testo, tale da trasformarlo in una sorta di micro-opera lirica ante litteram.
Anche la presa del suono, curata dallo stesso Massimo Marchese, è di ottimo livello. Se la dinamica è corposa, veloce nella restituzione dello strumento e della voce, il palcoscenico sonoro ricostruisce idealmente entrambi nello spazio, dotandoli di una presenza ravvicinata che però non risulta scorretta. L’equilibrio tonale è adeguato, senza che la voce copra timbricamente il registro del liuto, così come il dettaglio conferisce la dovuta matericità allo strumento e alle inflessioni della voce.
Andrea Bedetti
AA.VV. – Amore la sol mi fa remirare-The Music of Leonardo’s Age
Nadia Caristi (soprano) - Massimo Marchese (liuto)
CD Centaur CRC 3807
Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4/5