La musica per flauto e pianoforte di Johann Nepomuk Hummel
Strano destino quello dell’austriaco Johann Nepomuk Hummel, la cui vita andò a inserirsi nel bel mezzo di uno spartiacque a dir poco fondamentale della storia della musica colta occidentale, visto che nacque a Bratislava nel 1778, ossia in concomitanza con la nascita della Scuola di Vienna, e morì nel 1837 a Weimar nel 1837, quando il Romanticismo di lingua germanica era ormai in procinto di spadroneggiare nel vecchio continente. Strano non per il fatto che la sua attività di compositore, pianista e direttore d’orchestra si andò a incorniciare in questo straordinario lasso di tempo, ma per via di un motivo assai più semplice: il successo che ottenne ai suoi tempi, soprattutto per il suo apporto nella letteratura pianistica, si andò poi progressivamente affievolendosi anche “per colpa” di chi operò e creò contemporaneamente e dopo di lui, relegando così la sua produzione, assai nutrita a dire il vero, al solo interesse degli specialisti e degli appassionati musicofili.
Inoltre, c’è un altro aspetto che bisogna considerare: quanti altri musicisti di quell’epoca ebbero la possibilità di annoverare maestri e amici tra i colleghi più illustri come accadde a Hummel? Facciamo un po’ la conta: a parte il fatto che il padre di Johann Nepomuk, Josef Hummel, fu un valente musicista, direttore della Scuola Imperiale di Musica Militare a Vienna, dove fu a capo dell’orchestra del Teatro Schikaneder, bisogna considerare che il figlio, grazie alle indubbie doti artistiche, divenne a otto anni allievo di Mozart, che non volle neppure essere pagato, giungendo addirittura al punto di ospitarlo gratuitamente in casa. Giunto a Londra per esibirsi in qualità di fanciullo prodigio, Hummel prese poi lezioni anche da Muzio Clementi e sempre durante il soggiorno nella capitale inglese, durato ben quattro anni, Haydn gli fece dono di una sonata per clavicembalo che Hummel eseguì alla presenza del grande compositore. Tornato a Vienna, il giovane continuò a perfezionare gli studi, facendolo dapprima con Albrechtsberger, poi con lo stesso Haydn e infine con Antonio Salieri. Nel periodo in cui prese lezioni da Albrechtsberger, conobbe e divenne amico di un altro allievo, Ludwig van Beethoven, un’amicizia, la loro, che durò fino alla morte del genio di Bonn. Infine, divenne amico, nel periodo della maturità, di Schubert, il quale gli dedicò le ultime tre grandi Sonate pianistiche (!), anche se poi, quando l’editore decise di pubblicarle, sia l’autore, sia il dedicatario erano nel frattempo già morti, costringendo appunto Diabelli a cambiare la dedica da Hummel a favore di Schumann (anche se poi gli storici musicali hanno giustamente attribuito di nuovo a Hummel tale onore). Infine, per rimarcare l’importanza della sua figura, non si deve dimenticare che, a livello professionale, Hummel nel 1809 successe ad Haydn come Kapellmeister al servizio del principe Nicola II Esterházy, ad Eisenstadt, mantenendo tale incarico per sette anni, e che a partire dal 1819 fino alla morte, lo ricoprì a Weimar, trasformando la città della Turingia in una delle capitali musicali del vecchio continente.
Insomma, quella del compositore e pianista di Bratislava fu una vita, a livello musicale, di una densità come poche altre nella storia dell’arte sonora, ma una tale ricchezza di insegnamenti, di influenze, di amicizie, di incarichi, pongono inevitabilmente una domanda: musicalmente, Hummel di chi fu figlio? Ebbene, fu e restò fondamentalmente un classicista, tanto è vero che tra tutti i maestri che ebbe, quello che incise maggiormente nel suo linguaggio e nelle caratteristiche del suo comporre fu senz’altro Muzio Clementi, che gli trasmise il concetto della fondamentale importanza dell’eleganza della forma nell’opera musicale. Ecco perché con il sorgere del fenomeno romantico la sua parabola si poté definire conclusa, in quanto a dir poco inconciliabile con le nuove esigenze stilistiche e tematiche espresse dal nuovo vento musicale. Una diretta conferma di ciò può essere rappresentata dall’ascolto di alcune pagine della sua produzione cameristica, non così importante come quella dedicata ovviamente al pianoforte, più precisamente a quelle che vedono protagonisti il flauto con l’accompagnamento del pianoforte e che sono al centro di un recentissimo progetto discografico pubblicato dalla Da Vinci Classics, con un duo di artisti spagnoli, Eduard Sánchez al flauto ed Enrique Bagária al pianoforte, che hanno presentato nel primo dei tre CD previsti tre Sonate, vale a dire quella in re maggiore op. 50, quella in la maggiore op. 64 e quella in sol maggiore op. 2a n. 2, unitamente al Grand Rondeau Brillante op. 126 e alla Romanza & Terzetto dall’opera Mathilde von Guise, che vede anche la presenza di un altro eccelso flautista spagnolo, Claudi Arimany.
La Sonata in sol maggiore risale al periodo londinese di Hummel, più precisamente al 1792, e dedicata alla regina d’Inghilterra Charlotte di Mecklenburg-Strelitz. Se facciamo attenzione all’anno di composizione, ci accorgeremo che questa pagina appartiene tout court a quella concezione tipica della seconda metà del Settecento che rientrava nel campo della cosiddetta “sonata accompagnata”, dove per accompagnamento non si intendeva il ruolo fornito dallo strumento secondario, ossia dal clavicembalo o dal fortepiano, bensì da quello primario, in questo caso il flauto. Cosa che avviene puntualmente anche in questa Sonata, anche se lo squilibrio a favore del pianoforte avviene principalmente nel corso del primo tempo, l’Allegro, mentre per il resto della composizione il quattordicenne Hummel tende a distribuire più equamente il ruolo e la funzione dei due strumenti.
Naturalmente, può apparire scontato, data anche la giovanissima età, che questa pagina rappresenti il frutto di freschi apprendimenti didattici, se teniamo conto che la brillantezza del primo tempo risente chiaramente di un’impronta mozartiana, mentre quello finale, un Rondò-Allegro, in cui non mancano spunti ironici e garbati, vanta un raffinato gusto haydniano. Semmai, una maggiore autonomia stilistica si avverte nel tempo centrale, una Romance-Poco Andante, in cui, al di là di un apporto a tratti scolastico da parte del flauto, il pianoforte si abbandona a un eloquio squisitamente virtuosistico, marchio per eccellenza dell’universo hummeliano.
Tra questo brano e la Sonata successiva, quella in re maggiore, trascorrono quasi due decenni, visto che fu composta, sempre nella struttura di tre tempi, in un arco di tempo che va dal 1810 e il 1814. E si sentono, visto che l’ormai obsoleta concezione della “sonata accompagnata” era stata storicamente e musicalmente messa alla porta; ciò comportò una sostanziale e decisiva correzione di rotta che portò ad avere uno sviluppo maggiormente paritario tra i due strumenti. Lo si avverte fin dall’Allegro con brio inziale che odora di atmosfere beethoveniane, anche se debitamente diluite dalla solita eleganza hummeliana che stempera possibili pruderies drammatiche. Il breve Andante che segue è invece il segmento più interessante di tutta la Sonata, contraddistinto da tinte fosche, quasi oscure, connotate dall’esplorazione del registro grave del pianoforte, mentre il Rondò-Pastorale conclusivo mette in luce, con un sapore ingenuo e paesano, un’altra caratteristica della Weltanschauung del compositore di Bratislava, quella di voler trasmettere gioia e una qual certa spensieratezza con la sua musica.
Tra la composizione della Sonata op. 50 e quella in la maggiore, op. 64 trascorre praticamente meno di un anno, visto che anche quest’ultima risale al 1814, ma rispetto alla prima siamo su una dimensione del tutto diversa e decisamente più matura a livello di risultato stilistico ed espressivo. Non solo, ma la caratteristica più interessante è che Hummel cerca di mediare idee e concetti musicali settecenteschi con un’applicazione armonica e strutturale che appartiene invece all’Ottocento. Inoltre, vi è un dialogo più proficuo e articolato tra i due strumenti, e ciò accade soprattutto nel primo tempo, un originale Allegro con garbo, nel quale si svolge quasi un impianto “narrativo” tale è l’eloquio enunciato soprattutto dal flauto. Applicazione armonica che si fa ancor più ardita nel tempo centrale, un Menuetto-Moderato, grazie ai salti di tonalità dati dallo strumento a fiato e da efficaci arpeggi dati dal pianoforte, mentre il Rondò vivace che conclude la pagina cameristica rappresenta quell’idea di simbiosi tra idea del Settecento e resa musicale dell’Ottocento, visto che l’impianto richiama l’elegante dispiegarsi espressivo haydniano trasmesso però con un linguaggio armonico che va ben oltre i confini stilistici del Classicismo viennese.
Abituati ad associare il nome di Hummel quasi esclusivamente al repertorio pianistico, ci si dimentica che il nostro autore compose anche diciassette lavori teatrali tra opere, Singspiele, opere buffe, opere comiche e azioni teatrali, tra cui l’opera Mathilde von Guise, creata nel 1810, rivista a Weimar nel 1821 e pubblicata soltanto nel 1826. Considerato il miglior risultato della sua produzione operistica, questo lavoro fu dedicato all’arciduchessa Maria Paulowna di Weimar, sua munifica protettrice. L’opera in questione fu stroncata dalla critica e dal pubblico del tempo e, ascoltandola oggi, non si può non essere d’accordo con i giudizi di allora. Abbonda una vena melodica che alla lunga diventa stucchevole, ripetitiva e che fa inevitabilmente subentrare un principio di noia che spinge (gran brutto segno) l’ascoltatore a vedere soventemente l’ora per sapere quanto gli resta ancora da metabolizzare. Ora, senza dover affrontare i centoquarantadue minuti di durata dell’opera in questione nella registrazione effettuata dalla Brilliant, è sufficiente ascoltare i due estratti che l’irlandese William Forde arrangiò per due flauti e pianoforte, ossia una Romanza e il Terzetto, contraddistinti dai tempi Larghetto e Allegro con brio, nei quali ai due interpreti si unisce Claudi Arimany. Certo, non mancano note di freschezza, soprattutto nel Terzetto, ma il risultato di questa tipica pagina da salotto non si discosta molto da quello offerto dall’opera originaria, il che ci fa comprendere come l’Hummel operistico fu messo già da parte dai suoi contemporanei.
Semmai, il brano più interessante e articolato di questo primo CD risulta indubbiamente essere il Grande Rondeau Brillant, op. 126, composto nel settembre 1834 nei tempi di Introduzione-Adagio e mesto e di Rondo-Allegretto con moto, grazioso e piccante, con la tonalità di sol minore del primo che muta in sol maggiore nel secondo. Anche questo brano, come le tre Sonate, fu composto, per ciò che riguarda lo strumento principale, sia per essere eseguito al violino, sia al flauto. Le atmosfere del pezzo, che supera i quindici minuti di durata, lasciano lo stile classico per affrontare con una certa baldanza quello più propriamente romantico, evidenziando in entrambi gli strumenti un ben marcato virtuosismo sul quale Hummel fa affidamento per dimostrare come sapesse trattare la materia sonora su basi più attuali e à la page. Questa ricerca virtuosistica non si applica però nello sfruttamento individuale del flauto e del pianoforte, ma nel loro felice e appagante incontro dialettico, tale da assumere contorni ora amari, ora brillanti, ora trasognanti, ora perfino ironici.
Si è scritto prima che in Hummel lo stile, sul quale si basa la stragrande maggioranza della sua produzione musicale, è fondamentalmente classico e necessita, quindi, un’attenta eleganza nell’essere enunciato a livello di interpretazione. Eleganza che gli interpreti di codesta registrazione dispensano a piene mani, rendendo più che piacevole la fruizione di questi brani. Ma ciò che colpisce a un attento ascolto, e che testimonia che ci troviamo di fronte a due fior di musicisti (oltre al prezioso e raffinato “cammeo” dato da Claudi Arimany), è l’estrema pulizia del suono sprigionato dal flauto e dal pianoforte, il che permette di ottenere da parte loro un’espressività che posso definire semplicemente “pura”. Niente orpelli, dunque, così come nessuna ostentazione anche quando il virtuosismo la fa da padrone, dando così modo di esaltare il fraseggio e soprattutto i dialoghi che intercorrono tra i due strumenti. Se il buongiorno si vede dal mattino, auspichiamo vivamente di apprezzare il medesimo risultato nei due dischi successivi di questo progetto cameristico.
Claudi Arimany jr. (presumo figlio del noto flautista e didatta presente in sede di registrazione) si è occupato felicemente del suono. La dinamica, precisa e veloce, permette di cogliere meglio la grande pulizia timbrica dei due interpreti, così come il palcoscenico sonoro ricostruisce la presenza del flauto e del pianoforte in modo corretto e convincente, disposti entrambi nello spazio fisico a discreta profondità al centro dei diffusori, con il primo leggermente più avanzato rispetto al secondo. Anche l’equilibrio tonale è di buona fattura, con un piacevole rispetto dei registri e questo lo si denota, al di là nel cogliere la nettezza tra la gamma acuta da quella medio-grave, dal fatto che i due flauti, quando suonano insieme nel Grande Rondeau Brillant, possono essere sempre colti distintamente. Infine, il dettaglio è materico quel che basta per trasmettere la fisicità degli strumenti, non rendendo affaticante la fase di ascolto.
Andrea Bedetti
Johann Nepomuk Hummel – Music for Flute and Piano Vol. 1
Eduard Sánchez & Claudi Arimany (flauto) - Enrique Bagária (pianoforte)
CD Da Vinci Classics CC00187
Giudizio artistico 4,5/5
Giudizio tecnico 4/5