Le vie della musica contemporanea continuano ad essere (apparentemente?) imponderabili, soprattutto quando vengono dibattute nel nostro Paese, ancora vittima di approcci, considerazioni e valutazioni non sempre efficaci e soprattutto non utili al dibattito in corso (per rendersene conto è sufficiente vedere quanto avviene in parte dei nostri Conservatori, nei quali la musica attuale resta una disciplina ancora “inesplorata”, se proprio vogliamo usare un eufemismo).

Nel tentativo, quantomeno, di tirare una riga e abbozzare una somma, del tutto provvisoria, sulla base dei vari addendi che possono essere attualmente a disposizione, ci ha pensato una giovane pianista e ricercatrice italiana, Giusy Caruso, la quale, in un certo senso, rappresenta il risultato esemplare di chi, in Italia, intende dedicarsi con passione, onestà intellettuale e competenza alla sperimentazione e alle new frontiers della musica d’oggi; questo perché ormai da diversi anni la pianista e musicologa calabrese vive e opera all’estero, per la precisione a Bruxelles, anche se lavora al Conservatorio Reale di Anversa come ricercatrice, docente e direttrice del gruppo di ricerca artistica CREATIE, ossia in una realtà culturale dal respiro europeo nella quale determinati schematismi e luoghi comuni non risultano essere così opprimenti e fuorvianti al punto da impedire studio, ricerca e, è bene ricordarlo, possibilità economiche.

La cover del saggio di Giusy Caruso dedicato alla ricerca e all'indagine sonore nella musica colta attuale.

Il suo abbozzare una momentanea somma scaturisce da uno stimolante e interessante saggio da lei scritto, intitolato La ricerca artistica musicale. Linguaggi e metodi e pubblicato dalla Libreria Musicale Italiana; si tratta, come ben afferma nella quarta di copertina colui che più di ogni altro nel nostro Paese conosce la materia compositiva contemporanea, ossia Renzo Cresti, di un testo che «analizza da più punti di vista la problematica centrale della ricerca artistica, in ogni tempo, questione che è tornata ad essere ancor più rilevante nell’ultimo ventennio». E che tale saggio abbia delle valenze anche in ambito didattico lo conferma anche il tenore della prefazione, scritta da Kevin Voets, storico e direttore del Dipartimento di Ricerca del Conservatorio di Anversa, nella quale si fa presente come la ricerca e la sperimentazione potranno avere un’importanza sempre più marcata nei “neoconservatori” del futuro.

Attenzione, però, perché si farebbe un grossolano errore nel considerare questo testo solo sotto un’angolazione didattica o riservata a specialisti del settore; la principale peculiarità di questo testo, infatti, risiede nella capacità da parte della sua autrice di aver utilizzato un tipo di argomentazione e di linguaggio perfettamente comprensibile anche per una platea di non addetti ai lavori, di semplici appassionati che intendono ampliare le loro conoscenze relativamente a un settore specifico della musica contemporanea, quello della ricerca di nuove strade, di nuovi possibili sviluppi legati all’universo del suono organizzato (lo testimonia il fatto la presenza, alla fine del volume, di un ampio glossario che spiega il significato di diversi termini che appartengono alla sfera della ricerca musicale). Così, spalmata in più di trecento pagine, la materia è stata suddivisa in tre distinte parti, quella che riguarda il rapporto tra arte e ricerca, il rapporto che sussiste tra arte, scienza e tecnologia (qui, bisogna ricordare anche l'apporto, attraverso una postfazione, di Antonio Grande, docente al Conservatorio di Como e direttore di RATM, Rivista di Analisi e Teoria Musicale) e, infine, il rapporto che si viene ad instaurare tra approccio soggettivo e approccio oggettivo dei metodi d’indagine. Quest’ultimo aspetto, come si può ben intuire, rappresenta l’ambito più problematico e critico, in quanto una ricerca, un’indagine sperimentale del suono può dare adito anche a una sua valenza rientrante pienamente in un contesto artistico.

La pianista, musicologa e performer Giusy Caruso.

A tale proposito, è bene ricordare che a livello esecutivo Giusy Caruso è una nota performer, ossia in grado di eseguire ricerca a livello interpretativo, sia a livello concertistico, sia in quello discografico, come testimonia la sua indagine, con relativa registrazione, dei 72 Studi Carnatici per pianoforte del compositore francese Jacques Charpentier, deceduto sei anni fa, e con il quale ha indagato a fondo la spaventosa complessità della partitura (per averne un’idea, è sufficiente dare un’occhiata all’immagine della copertina del libro, che riporta una pagina di questa partitura).

La lettura di questo testo, arricchita da confronti, similitudini, possibili punti di contatto con altre discipline, a cominciare dalla filosofia e dalla scienza, permette di farsi un’idea precisa dello “stato dell’arte” attuale delle dinamiche della ricerca musicale, la quale, sia bene inteso, non rappresenta una conquista della musica contemporanea, ma accompagna stabilmente l’arte dei suoni fin dai tempi remoti (tanto per fare un paio di esempi, sarà bene ricordare che, con cinque secoli di anticipo rispetto a John Cage, un autore elisabettiano come William Byrd fece esperimenti sul suo clavicembalo, inserendo dei pezzi di candela e delle striscioline di pergamena tra le corde dello strumento, per capire come il suono potesse cambiare, e che un organista francese quale Michel Corrette, alla fine del Seicento, volle utilizzare un lungo bastone in legno sulla pedaliera dell’organo, ottenendo così un chiaro fenomeno di cluster ante litteram).

Un testo da centellinare, come ogni saggio pensato e scritto in modo intelligente, poiché meritevole di una continua riflessione, capace di fare chiarezza, anche se naturalmente privo di risposte certe e definitive a causa della continua mutevolezza del campo d’indagine. Uno dei libri più stimolanti letti in questo ultimo periodo.

Andrea Bedetti

Giusy Caruso – La ricerca artistica musicale. Linguaggi e metodi

Libreria Musicale Italiana – 2022, pagg. XXII+316

Giudizio artistico 4,5/5