La musica cameristica per archi di Ermanno Wolf-Ferrari
La difficoltà e la sospettosità con le quali la musica del veneziano Ermanno Wolf-Ferrari è sempre stata considerata, nonostante una sorta di annacquato “Wolf-Ferrari Renaissance” affiorato negli ultimi decenni, risiedono principalmente nel fatto che la sua cultura e la sua sensibilità artistica furono costrette a farei conti con la sua duplice tradizione familiare, data da un padre bavarese e da una madre veneziana, calate in un ambito storico a dir poco delicato e imbarazzante, visto che il nostro compositore dovette affrontare il dilaniamento causato dalla Prima guerra mondiale, quando aveva ormai già trentanove anni e una qual certa fama in patria e all’estero, con i “suoi” due Paesi in conflitto, e con particolarissima e delicatissima fase successiva, quando Italia e Germania divennero terra di conquista dittatoriale, con il fascismo da una parte e il nazismo dall’altra che cercarono di far propria la sua arte in fatto di estetica, di stile e di significato (complici, a onor del vero, anche alcune scelte fatte dallo stesso Wolf-Ferrari).
Eppure, è indubbio che le peculiarità della sua musica, del tutto uniche grazie alla formazione culturale e artistica data dal filone di stampo germanico e da quello scaturito dalla tradizione italiana (la sua decisione del 1895 di adottare il doppio cognome Wolf-Ferrari per celebrare la sua duplice appartenenza la dice lunga), gli hanno conferito una versatilità unica, capace di fondere rigore teutonico e spiccata vena melodica tipica del melodramma italiano. D’altronde, se alla fine dell’Ottocento la scena musicale europea era dominata da due distinti poli, con da una parte il verismo italiano, contrassegnato dalle sue passioni emotive e drammatiche e con dall’altra l’avanguardia francese e quella dell’area germanica (quest’ultima focalizzata soprattutto nell’ambito viennese, alla ricerca di nuove sonorità), appare chiaro come Wolf-Ferrari rimase, per così dire, repellente al polo di attrazione di queste due sfere artistiche, evitando sia l’esasperato realismo operistico italico, sia le spinte sperimentali del post-wagnerismo austro-germanico, fedele a un ferreo ideale di classicismo. Così, la sua scelta di optare per forme musicali chiare e lineari lo pose come alternativa al circolo vizioso dato dalla pura innovazione e da una passionalità emotiva nella quale non si riconosceva. Al contrario, il suo riferimento assoluto, mai rinnegato, fu la Vienna di fine Settecento, quella che va da Haydn fino a Beethoven, passando attraverso Mozart, accostandola al “bel canto” italico per dare vita, e questo non solo nel repertorio operistico, ad architetture sonore piane e nitide.
Semmai, una vena di instabilità drammatica, di ripensamento, di dubbi esistenziali che si riflettono nella sua creatività se non dev’essere cercata nella sua musica teatrale, come ne Il segreto di Susanna (1909) e I gioielli della Madonna (1911), in quanto le sue trame, spesso leggere e sofisticate, riflettono un umorismo sottile e una predilezione per il teatro di carattere piuttosto che per il melodramma tragico (da qui, il fatto che nel nostro Paese, sebbene pur apprezzate da un pubblico colto, i suoi capolavori operistici subirono critiche da parte dei nazionalisti musicali che lo ritenevano troppo distante dal gusto popolare, consolidando così il suo ruolo di outsider nel panorama nostrano), può essere invece individuata in alcune sue pagine strumentali, soprattutto in quelle cameristiche.
Quindi, bene hanno fatto i componenti del Quartetto Eos (con l’aggiunta del violista Matteo Rocchi) e del Trio David a registrare in due dischi per l’etichetta discografica Brilliant Classics le composizioni che il musicista veneziano dedicò al genere cameristico specificatamente agli archi, vale a dire il Quartetto per archi in mi minore, op. 23 e il Quintetto per archi in do maggiore, op. 24, oltre al Quartetto per archi in la minore mai pubblicato e risalente al 1894, il Trio per archi in si minore, scritto sempre nel 1894, il Trio per archi in do minore e il Trio per archi in la minore, op. 32, anch’esso mai pubblicato e composto nel 1945.
Cominciamo proprio dal secondo CD, quello dedicato ai Trii. Il Trio in si minore per violino, viola e violoncello fu composto da Wolf-Ferrari a Monaco di Baviera nel 1894, durante il periodo di studi presso il Conservatorio locale, quindi opera del tutto giovanile. La registrazione di questa pagina è stata possibile grazie alla ricerca effettuata dal chitarrista e musicologo Luca Incerti, che ha curato la partitura sulla base del manoscritto conservato alla Bayerische Staatsbibliothek di Monaco (Mus. ms. 21366). L’opera si articola in tre tempi, Allegro, Larghetto e Scherzo (Allegro vivace). Questa è la creazione di un diciottenne, certo, ma di un diciottenne che ha le idee ben chiare, soprattutto per ciò che riguarda la capacità di organizzare un impianto melodico capace di essere impattante all’ascolto. Dei tre tempi, il più intrigante e riuscito è sicuramente quello centrale, assai ben strutturato, nel quale l’andamento evocativo del tema subisce un’improvvisa scossa dall’irruzione di un motivo dirompente, prima che il flusso sonoro torni alla tranquillità iniziale.
Il Trio in do minore per violino, viola e violoncello, anch’esso curato da Luca Incerti sulla base del manoscritto conservato alla Bayerische Staatsbibliothek di Monaco (Mus. ms. 23142-1), rappresenta in parte una sorta di rielaborazione e di sviluppo ulteriore del Trio in si minore, in quanto i primi due tempi (Allegro e Larghetto) sono identici a quelli del Trio in questione. A mutare è solo la tonalità che passa dal si minore al do minore; al contrario, l’unica novità è rappresentata dai due tempi successivi, ossia lo Scherzo: Allegro molto e il finale, l’Adagio molto. Se lo Scherzo rappresenta in nuce uno dei “marchi di fabbrica” della concezione musicale del compositore veneziano, offrendo all’ascolto un esempio di serenità “classica”, dal sapore agreste, un concentrato di delicata raffinatezza, il tempo finale è un saggio di bravura, nel quale Wolf-Ferrari, alla fine di un incipit lamentoso in pianissimo, mette in mostra la sua capacità di plasmare e impiegare il contrappunto, con il tema che viene trasferito dallo strumento ad arco più acuto a quello più grave e che, in un certo senso, rimanda alla lezione del sommo Kantor.
Il compimento del genere del Trio per archi è dato ovviamente dall’ultimo contributo di Wolf-Ferrari, ossia il Trio in la minore, op. 32, elaborato nel 1945, a soli tre anni dalla sua morte. Questo Trio non solo rappresenta l’opera di un autore nel pieno della sua maturità, ma è la cartina al tornasole di quell’inquietudine, di quel senso di amarezza e di smarrimento esistenziale dei quali fu vittima l’autore sul finire della Seconda guerra mondiale, quando fu costretto ad assistere al disfacimento dei suoi due Paesi elettivi, sulla cui cultura e arte aveva sempre fatto debito riferimento. Non per nulla, ciò che viene trasmesso da questa pagina cameristica è il concetto di una bellezza malata, sporcata da ciò che è stato causato dalla storia e dagli uomini. Basta ascoltare il primo tempo, l’Allegro moderato, che si apre con un primo tema agitato, introdotto dal violoncello e ripreso dal violino, seguito da un secondo tema emozionale in forma di corale, per comprendere l’instabilità che corrode tutto il fluire musicale, ulteriormente amplificata dall’atmosfera inquietante che si manifesta alla fine con gli efficaci tremoli dei tre strumenti. L’unica oasi di pace contemplativa viene data dal secondo tempo, una Pastorale contrassegnata da un Andante tranquillo, mentre il finale, un Allegro, risulta essere ambivalente, quasi ambiguo, nel suo oscillare tra momenti aperti, solari, quasi ironici, ad altri in cui al contrario si ripresenta la cupa atmosfera presente nel primo tempo, sancita nuovamente dai tremoli dei tre strumenti.
Il primo dei due CD, invece, è dedicato alla produzione dei due quartetti per archi e al quintetto per archi; non rispettando la tracklist, ma l’aspetto cronologico delle composizioni, la prima opera è rappresentata dal Quartetto in la minore per due violini, viola e violoncello, il quale fu composto nel 1894 e dedicato, come si legge nel frontespizio del manoscritto, «all’illustrissimo Professor Ludwig Abel», violinista, compositore e direttore tedesco, docente alla Musikschule di Monaco di Baviera, nel periodo in cui studiò Wolf-Ferrari. La partitura della composizione, anche in questo caso, è stata curata da Luca Incerti, basandosi sul manoscritto conservato alla Bayerische Staatsbibliothek di Monaco (Mus. ms. 23144-2) e comprende quattro tempi: Allegro moderato, Adagio non troppo, Allegro vivacissimo e Allegro assai. Si tratta di una pagina acerba, ingenua sotto certi tratti, ma altrimenti non potrebbe essere, depositaria di quella tipica tradizione che univa classicità e romanticismo. Ciò si manifesta soprattutto nel tempo lento, in cui la linea melodica si scontra con momenti di alta drammaticità.
Al contrario, il Quartetto in mi minore, suddivisa nei tempi Allegro, Andante cantabile, Capriccio (Allegro pesante) e Allegro, è opera della maturità, anche se la data esatta di composizione è sconosciuta (ma risale certamente agli ultimi anni di Wolf-Ferrari), come si può evidenziare dalla padronanza della scrittura mostrata. Inoltre, la raffinatezza e la leggerezza, così come una qual certa solarità, lasciano il posto inevitabilmente a ombre e a pensieri offuscati come era già avvenuto nel Trio op. 32, creato nel 1945. Soprattutto nel primo tempo Wolf-Ferrari enuncia addirittura delle dissonanze che vanno a ispessire la dimensione distorta e frammentata del discorso musicale. Ma è altrettanto indubbio che ci troviamo di fronte anche a un processo compositivo attraverso il quale il musicista veneziano cerca di rielaborare e di proporre un possibile neoclassicismo che si evidenzia nella costruzione del tempo lento, in bilico tra una dimensione melodica chiara, netta, rimandante a una visione tardo ottocentesca, e il suo sviluppo, nel quale si avverte sempre una latente tensione emotiva, la quale non permette che si innervi un respiro più pacato e leggero. L’alternarsi costante del tempo nel Capriccio che segue è un ulteriore segno di quella instabilità interiore che albergava nell’animo del compositore in quel momento della sua vita e solo nell’ultimo tempo la tipica matrice fatta di eleganza e di raffinatezza riesce a manifestarsi apertamente, senza mostrare apparenti penombre.
Da ultimo, il Quintetto in do maggiore op. 24 per due violini, due viole e violoncello che vede la partitura curata ancora da Luca Incerti, basandosi sulle parti individuali pubblicate da Musikverlag Thomi-Berg. Questa pagina, probabilmente l’unica che Wolf-Ferrari scrisse per questo tipo di formazione (se non consideriamo il giovanile Quintetto per archi risalente al 1894) fu elaborato dal musicista durante gli anni bui del secondo conflitto mondiale, più precisamente al 1942 e si articola in quattro tempi: Allegro assai quasi presto, Larghetto, Prestissimo e Molto mosso alla breve.
Si tratta di una pagina a dir poco incantevole, scritta con somma perizia e capacità di plasmare alla perfezione la materia sonora; si ascolti, per esempio, il Larghetto, in cui la distribuzione della linea melodica viene brillantemente ripartita tra i cinque strumenti, creando un’aura a dir poco magica e pienamente convincente, così come il tasso virtuosistico infarcisce il Prestissimo che segue, prova ulteriore della maturità compositiva del musicista veneziano, che sembra volgere lo sguardo a un passato nel quale il segno musicale era foriero di genialità e di perfezione stilistica.
L’utilità di questo progetto discografico non risiede solo nel fatto che va a colmare, in un certo senso, una falla nella densa e ammirevole produzione di Wolf-Ferrari, ma rappresenta anche un momento di indubbia bellezza e di sagacia creativa, il cui risultato più che positivo si realizza anche grazie alla lettura fatta dai due gruppi cameristici (è bene ricordare i loro nomi, con il Trio David formato da Tommaso Castellano, Chiara Mazzocchi e Gloria Santarelli, e il Quartetto Eos che vede Elia Chiesa, Giacomo Del Papa, Alessandro Acqui e Margherita Succio, che ha preso momentaneamente il posto di Silvia Ancarani, a cui si aggiunge nel Quintetto la seconda viola di Matteo Rocchi) i quali, in barba alla loro giovane età, riescono a proporre un’interpretazione totalmente convincente, capace di mettere in rilievo sia la vena giovanile, ingenua, spontanea, sia quella più matura, ricca di sfumature psicologiche e di tensioni emotive, esaltando così a dovere un’immagine double face dell’inventiva del grande compositore veneziano.
Anche la presa del suono, effettuata da Roberto Terelle, è di buona fattura, anche se la dinamica non è corroborata da un’eccelsa energia, il che penalizza leggermente la ricostruzione del palcoscenico sonoro, con il suono proposto dai due ensemble cameristici, posti a una discreta profondità nello spazio fisico, che non riesce a svilupparsi compiutamente in altezza e in ampiezza. Discreti sia il parametro dell’equilibrio tonale, sia quello del dettaglio.
Andrea Bedetti
Ermanno Wolf-Ferrari – String Trios, Quartets & Quintet
Quartetto Eos – Trio David
2CD Brilliant Classics 96816
Giudizio artistico 4,5/5
Giudizio tecnico 3,5/5