La logica filosofica e sonora di David Fontanesi

Che David Fontanesi rappresenti un’“anomalia selvaggia” nel mondo della musica contemporanea attuale l’ho già fatto presente in un mio precedente intervento critico sulle pagine di questa rivista, allorquando ho analizzato un suo CD dedicato alla musica organistica. Ora, alla luce della pubblicazione di un altro suo disco, anch’esso a cura della Da Vinci Classics, in cui presenta quattro Quartetti per archi eseguiti dal Mark Rothko Ensemble, cerco di spiegare al meglio tale concetto, rifacendomi anche sul fatto che il compositore di Volta Mantovana abbina la creatività sonora alla speculazione filosofica, essendosi laureato in Storia della Filosofia Medievale all’Università di Padova.

La cover del CD Da Vinci Classics con i quattro Quartetti per archi di David Fontanesi.

Fin da quando ho cominciato ad ascoltare e a riflettere la musica del compositore in questione, non ho potuto fare a meno di considerare la sua elaborazione compositiva, rispetto al tempo attuale, per l’appunto come una vera e propria “anomalia selvaggia” che si distacca nettamente dai confini dell’arcipelago dittatoriale nel quale risiede il dominio di una certa applicazione estetica e tecnica dell’arte sonora di oggi, votata ancora in parte alla sperimentazione, a un processo di continua rottura rispetto a quanto appartiene alla cultura e tradizione del passato e, purtroppo, ad un’assimilazione tra elaborato creativo e cosiddetto impegno ideologico. Da libero battitore, da cane sciolto quale ormai sono (leggasi “anarca” di jüngeriana memoria), tendo a privilegiare e ad ammirare coloro che si pongono à rebours rispetto alle correnti in cui vengono intruppati i greggi di pecore abituate a fare sempre sì con la testa, come facevano i cagnolini di peluche che si mettevano nei vani portacappelli delle automobili di una volta. Ed è indubbio che di fronte al panorama musicale odierno, quanto porta avanti David Fontanesi con la sua opera compositiva non appartiene di certo né all’asservimento pecorile, né alle slogature di collo provocate dalla continua e rincoglionita azione di movimento affermativo prodotto da chi è schiavo della dicitura “yesman”. Per questo, lo definisco un’“anomalia selvaggia”, nel senso esatto che il filosofo Toni Negri diede a Baruch Spinoza in un celebre saggio filosofico pubblicato nel lontano, almeno per i giovinastri odierni, 1981. Ad essere più precisi, la sua musica si pone alla stessa dimensione (altezza) del processo speculativo del sommo filosofo olandese, non solo in ossequio a una tendenza controcorrente data dalle sue opere, a cominciare da quel capolavoro che è l’Etica dimostrata secondo l’ordine geometrico, che andarono inevitabilmente a cozzare contro l’impianto del potere conoscitivo della sua epoca, ma soprattutto, come fece appunto notare Negri nella sua analisi, in quanto l’opera spinoziana insegna che vivere significa scoprire sempre nuovi territori dell’essere, territori che vengono costruiti dall’intelligenza, dalla volontà “etica”, dal piacere dell’innovazione, quella vera e “razionale”, dallo s-largarsi del desiderio, facendo sì che la vita umana possa realmente trasformarsi in un atto di sovversione, ossia di feconda creazione.

La prima pagina dell'Erica di Baruch Spinoza nella prima edizione pubblicata nel 1677.

Ora, se io considero la musica di David Fontanesi come un atto di sovversione, lo faccio in nome di due distinti principi: il primo, il più nobile e che riguarda l’opera compositiva stessa, è per il fatto che il musicista mantovano crede ancora all’espressione artistica come atto costitutivo, ossia votato a un fattore costruttivo e non distruttivo, poiché lucidamente Fontanesi ha compreso alla perfezione che quanto sta facendo una certa parte (non tutta) della musica colta (?) odierna viene incarnata da personaggi che sono in fin dei conti i “quelli-di-prima” che agiscono subdolamente nel Ciclo di Cthulhu di H.P. Lovecraft; il secondo, assai meno nobile, è che se la visione estetica ed etica fontanesiana dev’essere definitiva “sovversiva” in quanto non ripudia o sputa addosso alla tradizione del passato, allora significa che siamo davvero messi maluccio.

Casomai non fossi stato abbastanza chiaro, allora calcherò ulteriormente la mano: definisco la produzione creativa di David Fontanesi eminentemente ontologica, poiché la sua musica non solo è il prodotto di una speculazione aprioristica che non parte dall’elaborazione della materia sonora, ma da un’indagine filosofica, che porta il segno semiotico (se vogliamo identificarlo semanticamente in codesta guisa) a tramutarsi in segno sul pentagramma, ma è soprattutto votata in ultima analisi all’indagine dell’essere, a ciò che siamo e, soprattutto, a ciò che potremmo essere. La sua musica è l’instancabile ricerca di questo “potremmo”, perché il fascino, il senso misterico dell’atto creativo è dato dal suo essere votato al condizionale, a un qualcosa che non appartiene alla realtà del tempo passato, presente e futuro, ma ad un’accezione ipotetica fissata in una forma con la quale viene trasmessa e fissata nello spazio e nel tempo. Ecco, allora, l’esserci che diviene essere nel momento stesso in cui l’artista dà vita al suo potremmo che viene elargito, di volta in volta, al “potremmo” del lettore, dell’osservatore e dell’ascoltatore, permettendo all’uomo di conoscere e assaporare la vera libertà, che non è solo quella sperimentata interiormente, come affermò Schiller, ma anche quella che ci permea quando entriamo miracolosamente nel regno del tempo condizionale.

Il compositore e filosofo mantovano David Fontanesi.

Un segno tangibile di questo “potremmo” viene incarnato dalla potenza creativa di cui sono pregni questi quattro Quartetti per archi, il cui ascolto è un richiamo a una libertà esistenziale che si attua nel loro se dérouler; composti nel 2021, evidentemente in un frangente temporale in cui l’essere ha sopraffatto l’esserci in Fontanesi. Mi avventuro in questa definizione, per il semplice fatto che queste pagine cameristiche sono, e lo dichiaro senza mezzi termini, un capolavoro musicale e filosofico, nel senso spinoziano del termine. Questa valutazione coinvolge prima di tutto la capacità tecnica, che avevo già evidenziato nell’analisi delle quattro Sonate per organo, una capacità che dimostra di andare ben oltre al di là del tecnicismo in sé. Che cosa vuol dire? Che la scrittura del compositore mantovano, al di là di una ferrea conoscenza della materia sonora da elaborare e plasmare, è congrua di una profondità che è votata a un processo comunicativo. Una tecnica musicale altamente comunicativa, quindi, che contempla anche l’utilizzo del numero quattro, con il quale Fontanesi ha voluto enunciare la sua costruzione compositiva non solo con i quartetti, ma anche con le Sonate organistiche (tutte queste pagine risalgono al 2021, che appare come un anno di svolta per ciò che riguarda l’adozione di questo procedimento numerico/speculativo/musicale, senza dimenticare che anche precedentemente il compositore mantovano aveva creato, immaginando blocchi di quattro lavori nei generi musicali da lui affrontati, evocando, nel passaggio dall’elemento numerico a quello geometrico, il concetto/simbolo del quadrato, considerato dallo stesso Fontanesi «idea di solidità»).

Ma, a proposito del numero quattro, ancora una volta non dimentico di avere a che fare con un compositore che è anche un filosofo imbevuto di pensiero medievale e umanistico e quindi, inevitabilmente, non posso fare a meno di concepire la sua ossessione per questa entità numerica attraverso un preciso aspetto allegorico e logico che si viene ad applicare nei suoi Quartetti per archi, ognuno dei quali a sua volta coinvolge lapalissianamente quattro strumenti. A mio avviso, traslando la visione da una prospettiva filosofica a quella musicale, Fontanesi considera il genere musicale in sé alla stregua di una proposizione categorica, che sta alla base della logica aristotelica. Ogni proposizione categorica per il filosofo stagirico è fondamentalmente una proposizione semplice contenente due termini, il “soggetto” e il “predicato”, in cui il predicato viene affermato o viene negato del soggetto. Inoltre, ogni proposizione categorica può essere ridotta ad una delle quattro forme logiche: la proposizione A, concernente l’universale affermativa “ogni S(oggetto) è un P(redicato)”; oppure può essere la proposizione E, la quale riguarda l’universale negativa “nessun S(oggetto) è un P(redicato)”; o ancora la proposizione I, la particolare affermativa la quale determina che “alcuni S(oggetti) sono P(redicati)” e da ultimo la proposizione O, in cui la particolare negativa specifica che “alcuni S(oggetti) non sono P(redicati)”.

La pagina della Dialectica Ludrica di Agostino Nifo, stampata nel 1521, in cui il filosofo casertano utilizza il Quadrato delle opposizioni di Aristotele.

Ora, se prendiamo in considerazione i quattro Quartetti di Fontanesi possiamo renderci conto che i primi due sono strutturati come vere e proprie Sonate, con un  Allegro (primo Quartetto) e un Tema con variazioni (secondo Quartetto) in qualità di primo tempo, con uno Scherzo (presente come secondo tempo in entrambi i Quartetti), un Adagio (primo Quartetto) e un Andante mesto (secondo Quartetto), come tempo lento, e un finale che è, rispettivamente, un Rondò (primo Quartetto) e una Fuga (secondo Quartetto), Quartetti che possono rappresentare rispettivamente l’universalis affirmativa e la negativa universalis, vale a dire la proposizione A e la proposizione E. Il terzo Quartetto, al contrario, è costruito in un tempo unico senza soluzione di continuità, un Moderato, che può essere considerato una ciaccona modellata su un tetracordo discendente (Do-Si bemolle-La bemolle-Sol, che successivamente assume le strutture Do-Si bemolle-La-Sol, Do-Si-La-Sol diesis, Do-Si-La-Sol). Con questo terzo Quartetto, il concetto di assoluto, sia in chiave affermativa o negativa (Proposizione A e Proposizione E) lascia spazio invece alla Proposizione I, che rappresenta una particularis affirmativa (ricordo che nella musica antica il tetracordo discendente simboleggiava musicalmente il genere del lamento letterario, si pensi al Lamento della Ninfa di Claudio Monteverdi o alla celeberrima e struggente aria When I am laid in earth che fa parte di Dido and Aeneas di Henry Purcell), mentre l’ultimo quartetto riprende la struttura della Sonata da chiesa corelliana, con l’alternarsi tra un tempo lento introduttivo (Poco adagio), una fuga (Allegro), un altro tempo lento (Andante) e un tempo finale (Vivace), che nello svolgimento dissonantico di un perpetuum mobile, viene enunciato dal violoncello. Tale costruzione rispecchia in un certo senso l’opposto dato dalla Proposizione I, dando così modo di completare il “Quadrato delle opposizioni” illustrato da Aristotele mediante la Proposizione O, che incarna il principio della particularis negativa. Ed è interessante notare, sempre tenendo a mente i Quartetti di Fontanesi, come in queste quattro pagine si possa applicare un altro aspetto del “Quadrato delle Opposizioni” relativamente alle inferenze logiche, ossia il principio di “conversione”, applicato alla Proposizione A (primo Quartetto), quello di “inversione”, applicato alla Proposizione E (secondo Quartetto) e quello di “contrapposizione”, applicato tra la Proposizione I (terzo Quartetto) e Proposizione O (quarto Quartetto).

Il filosofo Agostino Nifo come appare nel suo trattato più famoso, il De Pulchro et De Amore.

Logica suprema, ergo, che mi piace veder riflettere in uno dei maggiori epigoni del metodo speculativo aristotelico dell’epoca umanistica, il filosofo casertano Agostino Nifo (il quale, guarda caso, fu dapprima discente e poi docente di filosofia proprio all’Università di Padova), che riprese nell’opera Dialectica Ludrica, pubblicata nel 1521, il “Quadrato delle opposizioni”, utilizzandolo in chiave peripatetica in una diatriba contro rigurgiti sofistici sorti all’epoca in alcuni circoli del pensiero rinascimentale. Attenzione, però, poiché il costrutto di ferrea logica compositiva che impregna questi Quartetti non si allontana mai dal fine ultimo che presiede alla loro irradiazione sonora, quello legato al concetto di “bellezza”, come a dire che la visione estetica di cui si fanno testimoni permette anche all’ascoltatore meno preparato musicalmente di apprezzare la loro sconfinata dimensione creativa (come ho già fatto notare in occasione della mia precedente analisi delle quattro Sonate per organo, traspare qui una chiara impronta di matrice kierkegaardiana, in cui Fontanesi fa precedere la sfera estetica a quella etica, curioso di vedere se in un prossimo futuro musicalmente il compositore mantovano avrà modo di seguire lo stesso percorso speculativo del filosofo danese… ).

La profondità, la complessità, la straordinaria bellezza di questi quattro capolavori cameristici sono stati affrontati e decodificati con somma attenzione e partecipazione da Carlo Lazari e Valentino Dentesani ai violini, Benjamin Bernstein alla viola e Marianna Sinagra al violoncello. Ascoltando la loro lettura mi sono chiesto la felicità e la commozione che devono aver provato e vissuto come un incantesimo nel corso della loro esecuzione, nell’essersi immedesimati nella loro funzione di sacerdoti e custodi di pilastri della forma musicale più alta rappresentata dall’Occidente, la variazione, la fuga e la sonata, ossia quegli altari creativi di fronte ai quali David Fontanesi si è inginocchiato esemplarmente, indicando con gesti a dir poco ieratici ai nostri quattro interpreti la chiave di volta per dirimere in modo impeccabile l’intreccio romanico e gotico con il quale sono stati innalzati questi Quartetti, destinati, fortunati noi e i nostri posteri, a restare nel tempo e nello spazio.

I componenti del Mark Rothko Ensemble, con la presenza del violista Mario Paladin, durante un concerto.

Gabriele Zanetti ci ha messo del suo per ultimare l’unicità di questo progetto discografico grazie a una presa del suono in grado di esaltare le peculiarità stilistiche ed espressive di questi quattro Quartetti. La dinamica, oltre ad essere precisa e piacevolmente naturale nel restituire il timbro del quartetto, è connaturata a una congrua energia e conseguente velocità dei transienti. Ne deriva, a livello di parametro del palcoscenico sonoro, una ricostruzione dei quattro artisti e dei loro strumenti al centro dello spazio fisico in una dimensione posta a discreta profondità rispetto ai diffusori, con un suono capace di irradiarsi in altezza e ampiezza senza risultare minimamente sfuocato. L’equilibrio tonale è prodigo di messa a fuoco nei registri dei quattro strumenti, senza presentare problemi o difetti di sovrapposizione timbrica e, allo stesso tempo, il dettaglio è eminentemente materico, con abbondanti dosi di nero che circondano gli strumenti, aumentando così la facoltà di “vedere” gli interpreti nel proprio spazio di ascolto.

Andrea Bedetti

David Fontanesi – Four String Quartets

Mark Rothko Ensemble

CD Da Vinci Classics C00840

Giudizio artistico 5/5
Giudizio tecnico 4,5/5

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