La chitarra secondo il Gruppo dei Sei
Quello del Groupe de Six rappresenta uno dei capitoli più esaltanti di tutta la storia del Novecento; un paradigma artistico tramutatosi in punto fermo, ineludibile e che vide la luce in origine con un’altra denominazione, la Societé lyre et palette, creata da Erik Satie il 18 aprile 1916 nell’atelier del pittore Emile Lejeune, a Montparnasse. In quello studio presero a incontrarsi e a discutere artisti come Pablo Picasso, Amedeo Modigliani, Moïse Kisling, letterati quali Jean Cocteau e Blaise Cendrars, e i musicisti Erik Satie, Darius Milhaud, Georges Auric e Arthur Honegger. Da quel gruppo culturalmente eterogeneo, prese corpo quello più specificatamente musicale, che lo stesso Satie decise di chiamare i Nouveaux Jeunes, che il 15 gennaio 1918 diedero il loro primo concerto, con Alexis Roland-Manuel al posto di Milhaud, il quale era nel frattempo andato a risiedere in Brasile in qualità di segretario dell’ambasciatore e drammaturgo Paul Claudel.
Quel soggiorno fu prezioso non solo per il musicista marsigliese, ma per tutto il futuro gruppo, poiché in quello sconfinato Paese Milhaud ebbe modo di conoscere la musica latino-americana. Al suo ritorno a Parigi, il compositore prese a frequentare il Café Gaya, che cambiò nome in Le boeuf sur le toit, in onore del celeberrimo balletto dello stesso Milhaud. E fu proprio in quel locale che Georges Auric, Louis Durey, Arthur Honegger, Darius Milhaud, Francis Poulenc e Germaine Tailleferre, ossia il Gruppo dei Sei, tennero molti concerti, suonando tutti insieme. La nascita dell’espressione che poi li ha caratterizzati nacque dal critico Henri Collet, che nel 1920 con due articoli per la rivista Comoedia, chiamò i giovani compositori parigini Le six (per la precisione, i titoli di questi pezzi sono rispettivamente Les cinq russes, les six français et M. Satie e Les six français: George Auric, Louis Durey, Arthur Honegger, Darius Milhaud, Francis Poulenc et Germaine Tailleferre).
La vita e la coesistenza di questo leggendario gruppo fu purtroppo breve, visto che già l’anno successivo si sciolse durante la realizzazione del balletto Les Mariés de la Tour Eiffel, basato su un libretto di Cocteau e su musica dei sei compositori, questo perché Louis Durey non volle prendere parte al progetto, decretando di fatto la fine della collaborazione. Una collaborazione che, però, ebbe modo di mettere in luce le differenti anime e le diverse sensibilità creative dei sei compositori. Cosa che viene ora messa in risalto dalla registrazione effettuata dal chitarrista cuneese Andrea Rinaudo, che ha inciso per la Brilliant Classics un interessante album dedicato alla musica per chitarra (e voce) dei sei compositori francesi in questione. Per la precisione, Rinaudo in questo disco, dal titolo Le Groupe des Six - Guitar Music, presenta Hommage à Alonso Mudarra di Georges Auric, composto nel 1960, Sarabande di Francis Poulenc, sempre risalente al 1960, Segoviana Op. 366 di Darius Milhaud, scritta nel 1957, Guitare di Germaine Tailleferre, il cui anno di stesura è sconosciuto, oltre alle trascrizioni, effettuate dallo stesso Rinaudo, della Paduana H. 181 di Arthur Honegger, composta originariamente nel 1945 per violoncello, e di sette dei ventisei brani che compongono Le Bestiaire ou Cortége d’Orphée di Louis Durey (1921) e che vedono anche la presenza della voce del soprano Serena Moine. Sei modi diversi di concepire, di condensare una filosofia sonora attraverso l’apporto della chitarra, come si può evincere fin dal primo brano, quello di Auric, che applica a livello musicale le tecniche di scomposizione pittorica date dal Cubismo e che vede ogni intervallo scomposto e ricomposto in un brano che non raggiunge i due minuti di durata. Questa brevità è all’insegna di una suprema densità compositiva, contraddistinta da un’essenza armonica che rimanda alle leggi atonali e che poi vira improvvisamente nella tonalità del mi maggiore, mutandone la dimensione espressiva, all’insegna di un’ironia che assume quasi i contorni di una conclamata comicità.
Dedicato alla grande chitarrista francese Ida Presti, pseudonimo di Yvette Montagnon, la Sarabande di Poulenc è una brevissima cartina al tornasole che mostra la straordinaria capacità compositiva del musicista, in cui l’inventività e la brillantezza della scrittura non sono mai disgiunte dalla consueta raffinatezza stilistica. Anche la Paduana di Honegger ha il merito di evidenziare la peculiare e ardita tecnica compositiva del musicista elvetico, che partendo dalla danza di stampo rinascimentale data dal titolo, si sviluppa in una serie di sonorità esplorate attraverso un uso capillare, quasi matematico, di differenti modulazioni che passano dal sistema modale a quello tonale. Milhaud, nel suo vastissimo catalogo, compose una sola pagina per solo chitarra, la Segoviana per l’appunto, confidando che il sommo chitarrista andaluso potesse eseguirla, cosa che però non avvenne mai. Anche in questo caso, lo sviluppo del brano è fornito da un progressivo utilizzo della tecnica scompositiva cubista, il cui risultato finale porta a una composizione decisamente assertiva, potente nella sua timbrica e nella sua espressività.
Le Bestiaire ou Cortége d’Orphée di Durey fu composto per pianoforte e baritono con ventisei brevi canzoni su testo di Apollinaire, ma qui con la chitarra si è scelto di utilizzare una voce più acuta, quella del soprano Serena Moine. La rappresentazione dei vari animali (per la precisione, una cavalletta, un polpo, una medusa, una capretta del Tibet, un bruco, un delfino e una colomba) dà luogo a una serie di schizzi quasi pittorici, in cui la voce e il timbro della chitarra riescono a evocare i movimenti, la dimensione plastica degli animali presi in oggetto. Infine, la Guitare di Germaine Tailleferre, che conclude la registrazione in nome di un acceso lirismo e che restituisce, all’interno del Gruppo dei Sei, una connotazione maggiormente classica, senza però venire meno, anche qui, a una ricerca quasi esplorativa del suono grazie al coinvolgimento di tutte le risonanze naturali dello strumento che scaturiscono puntualmente per via anche del tempo scelto, un Très lent.
Le difficoltà stilistiche, espressive e tecniche in questi brani non mancano, anzi abbondano, ma Andrea Rinaudo riesce ad affrontarle e a risolverle sempre in modo brillante, restituendo la dimensione “matematica” e, allo stesso tempo, incantata che li impregnano. Qui la chitarra deve non solo esprimere, ma anche evocare una realtà che si abbandona al sogno, all’irreale e al trasognato; quindi, il tocco e il relativo timbro devono assumere quasi sempre sfumature impercettibili, sovente immaginate più che realizzate, confidando sulla spazialità delle pause, degli istanti riflessivi, nella condensazione e nella conseguente evaporazione del suono. Tutte prerogative che il chitarrista cuneese dimostra ampiamente nella sua esecuzione, così come il canto larvato, trasognato, onirico che Serena Moine evoca nelle canzoni di Durey, entrando in piena consonanza con la sfera timbrica della chitarra.
Alberto Costa e Giovanni Stella hanno fissato il suono della registrazione, esaltando il timbro della chitarra, un modello di Fabio Zontini del 2016, dotato di corde Savarez 520r. La dinamica è allo stesso tempo rocciosa e delicata, ricca di naturalezza, capace di rendere al meglio la fase di decadenza degli armonici. La ricostruzione dello strumento e parallelamente della voce, quando è presente, all’interno del palcoscenico sonoro è corretta e anche se non mostra profondità, visto che risulta essere alquanto ravvicinata rispetto l’ascoltatore, non apparendo però innaturale. Ottimo l’equilibrio tonale, la cui precisione e il debito scontorno mettono in evidenza la distinzione sempre percepibile del registro medio-grave e di quello acuto di chitarra e voce. Infine, il dettaglio mostra una generosa matericità, tale da restituire la tridimensionalità degli interpreti.
Andrea Bedetti
AA.VV. – Le Groupe des Six - Guitar Music
Andrea Rinaudo (chitarra) – Serena Moine (soprano)
Digital EP Brilliant Classics 96653
Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4,5/5