La chitarra di Alberto Mesirca e la visionarietà “rinascimentale” di Sylvano Bussotti
Il giovane chitarrista veneto ha registrato per la Brilliant Classics l’integrale delle opere per chitarra del grande artista fiorentino. Ne abbiamo parlato con lui in questa intervista, nella quale si evidenzia quella capacità unica dell’autore di Rara ed Ermafrodito di dare vita a composizioni totalizzanti, all’insegna di una pura concezione di Gesamtkunstwerk
Maestro Mesirca, quali sono, al di là della produzione chitarristica, quegli aspetti che la affascinano maggiormente del personaggio e della produzione musicale di Sylvano Bussotti?
Sylvano Bussotti è stato una figura straordinaria nel campo musicale del Novecento italiano, un personaggio quasi Rinascimentale, con una ricerca in tutti i campi dell’arte e dunque complessissima e articolata. Per questo motivo trovare una chiave d’accesso alla sua opera mi ha richiesto una preparazione lunga e diversificata. Sapevo che, essendo stato un grande compositore ma anche esecutore, scenografo, abilissimo disegnatore e inventore di una visione del tutto personale del Gesamtkunstwerk, per lavorare con lui su Ermafrodito non sarebbe bastato solo lo studio del brano, della parte musicale dello spartito. Provenendo io da una famiglia padovana in cui fortunatamente si respiravano arte e cultura grazie alla vita e all’opera del nonno paterno (Giuseppe Mesirca, vincitore tra l’altro del Premio Campiello), ho avuto una chiave d’accesso privilegiata nel dialogo con Bussotti: suo zio Tono Zancanaro è stato un grande incisore padovano e mio nonno lo conosceva molto bene. Padova è una città a cui Bussotti era molto legato e ricordo che, prima di incontrarlo, Claudio Ambrosini (con il quale, nel periodo dei miei primi incontri con Bussotti, stavo lavorando all’incisione delle sue opere per chitarra sola) mi suggerì di comunicargli la mia provenienza, in modo che si potesse aprire subito una felice porta di dialogo. E così è stato. Ad ogni modo, una delle cose che più mi hanno affascinato nella sua opera è stato il grande amore per la grafia e per il disegno, passione che si è riversata nella partitura musicale portando a una scrittura dapprima a “pittogrammi” (come in Rara) e poi “dentritica”, ossia ramificata, come nel caso di Ermafrodito stesso.
Venendo ai brani che compongono il corpus per chitarra del compositore fiorentino, che tipo di approccio interpretativo si deve adottare, tenendo conto che ogni opera bussottiana è concepita come elemento totalizzante, capace di andare oltre i confini musicali del genere alla quale appartiene?
A mio parere, questa musica va affrontata per diversi e successivi livelli, a cominciare dal livello di decifrazione di una partitura che solo apparentemente è libera, ma che in realtà è molto rigorosa; si deve prestare attenzione ad ogni indicazione musicale ed extra-musicale nello spartito in cui sono presenti anche gesti coreografici (i respiri affannosi, l’utilizzo del diapason, le varie posizioni dei testi da declamare), che non sono indicazioni possibili, ma obbligate e necessarie. Nel caso di Ultima rara, il fatto che la partitura sia stata scritta in tre pentagrammi ha richiesto una riscrittura completa per renderla più accessibile, pur mantenendo le micro-dinamiche che ciascuna delle tre voci (pensate peraltro a posizione d’ascolto differenziata) presenta. Il tutto senza dimenticare, inoltre, che Bussotti è stato anche un grandissimo melomane e compositore di opere, nelle quali il canto rappresenta il fulcro musicale: non è solo una musica astratta e non deriva nemmeno dalle conseguenze epigone della scuola di Darmstadt, ma è fortemente connessa alla tradizione italiana, colta e popolare, del canto. E dunque anche la realizzazione pratica e tecnica dei suoi brani, infine, è stata pensata per esprimere al meglio il senso “vocale” della sua musica, peraltro ricca di riferimenti (nella produzione chitarristica, per esempio, con citazioni da Léo Delibes, Monteverdi, Flaccomio, Farinelli e una visione di accompagnamento operistico-popolare della chitarra in Chitarronata da Ermafrodito).
La chitarra di Sylvano Bussotti da una parte e quella di un altro grande fiorentino, Mario Castelnuovo-Tedesco, dall’altra. Quali sono i possibili punti convergenti e quelli, invece, divergenti?
Sono stati due grandi autori che secondo me hanno tratto ispirazione dagli artisti rinascimentali della loro terra, portando avanti il patrimonio e il bagaglio culturale della loro provenienza. Ma pur essendo legati alla tradizione musicale fiorentina, hanno trovato al contempo un linguaggio assolutamente personale e identificabile: nel caso di Castelnuovo-Tedesco più neoclassico, mentre nel caso di Bussotti, pur essendo lontano dalla scuola di Darmstadt, più moderno. Erano entrambi degli abilissimi compositori nel senso della conoscenza della scrittura, della polifonia, della gestione degli strumenti nell’orchestrazione e nella conoscenza profonda delle voci strumentali, pur magari non dominando tutti gli strumenti. Il caso della chitarra poi è sempre un caso speciale, perché è molto difficile scrivere per questo strumento. Per tale motivo alcune soluzioni (più nel caso di Castelnuovo-Tedesco rispetto a Bussotti) hanno richiesto interventi e revisioni da parte dei chitarristi. Ciononostante, l’aspetto positivo di scrivere per chitarra senza essere ispirati o guidati da giochi idiomatici, da posizioni di arpeggio o dalla semplice struttura della chitarra e dalla sua accordatura, hanno permesso a questi grandi compositori di dedicare allo strumento opere dal valore musicale altissimo e mai banale.
La sua indagine interpretativa, è sufficiente osservare la sua produzione discografica, spazia dal barocco al contemporaneo. Ma se dovesse fare una scelta non solo musicale, ma anche di cuore, di quale ambito temporale o di scuola chitarristica non potrebbe mai fare a meno?
Generalmente mi appassiono molto a tutti i progetti che preparo. Ad esempio, ora sto lavorando a un concerto, insieme con Luca Scarlini, legato a una mostra su Virginia Woolf e i compositori inglesi: la musica per chitarra di questa terra e di questo periodo specifico è meravigliosa e non risente per nulla del paragone con gli esempi cameristici od orchestrali degli stessi compositori. Suonerò il Nocturnal di Britten, la Sonatina di Cyril Scott, le Bagatelle di Walton e i Pezzi brevi di Berkeley.
E, a proposito di progetti discografici, ne ha già uno nuovo sul quale sta lavorando?
Ora sto portando avanti un progetto dedicato all’integrale delle opere per trio d’archi e chitarra di Paganini, un corpus meraviglioso per il quale mi sono valso della collaborazione di musicisti straordinari come Daniel Rowland (violino), Maja Bogdanovic e Claude Frochaux (violoncello) e i violisti Vladimir Mendelssohn (purtroppo scomparso), Razvan Popovici e Joel Waterman. Inoltre, sto concludendo l’integrale delle opere per e con chitarra di Fabio Vacchi e un bellissimo progetto dedicato alla musica serba (Bogdanovic, Trajkovic, Žebeljan ecc.).
Andrea Bedetti