La calda sera di John De Leo e della Grande Abarasse Orchestra
In occasione della ristampa in vinile dei due lavori “Vago Svanendo” (2007) e “Il Grande Abarasse” (2014), da parte della Carosello Records in collaborazione con Musicraiser, il cantante e la compagine orchestrale sono saliti sul palco della Casa del Jazz di Roma per una performance incentrata sulla rivisitazione di brani presi dalle scalette dei due album, e non solo
Roma, 15 aprile, palco della Casa del Jazz: il clima è certamente al di sopra della media stagionale, vuoi per una primavera iniziata con largo anticipo rispetto alle consuetudini, vuoi, e soprattutto, per la Grande Abarasse Orchestra di John De Leo, che scalda il pubblico presente, diviso tra cultori del genere e curiosi dell’ultima ora, con una prestazione maiuscola che per risolversi ha necessitato di due bis. In scena otto elementi più la voce di John De Leo, per un’impalcatura timbrica singolare, che prevede pianoforte, fiati, archi, chitarra elettrica, elettronica, strumenti giocattolo e, in alcuni momenti, fisarmonica. Il tutto sapientemente arrangiato e organizzato secondo la logica dell’imprevedibile, della sterzata melodica e della fantasia spinta ai massimi livelli.
De Leo presenta brani suoi, presi dagli album Vago Svanendo” (2007) e “Il Grande Abarasse” (2014), recentemente riediti in vinile in copie numerate e autografate, e si concede la rilettura della beatlesiana Tomorrow Never Knows, in una versione dilatata, distorta e piegata verso uno stile personalissimo, che non trova termini di paragone se non in sé stesso. C’è dunque il rischio di autoreferenzialità, ma non è così dal momento che la cifra stilistica proposta non è elitaria, ma condivisibile e senza traccia di “spocchia artistica”. Al centro della galassia della Grande Abarasse Orchestra c’è la voce del leader, il quale si libera presto di un’ingombrante sciarpa, forse indossata senza consultare il meteo, per dare luogo alla “solita” performance di livello assoluto, condita anche da un filo di ironia, capace di coinvolgere il pubblico e applicata con il sorriso sotto i baffi. De Leo e i suoi musicisti si divertono a suonare una musica divertente, proprio perché varia, nella quale si intrecciano sonorità acustiche e sintetiche, momenti segnati da improvvisazioni e tracce suonate con rigore.
Nel calderone entrano ed escono di continuo stili che comprendono l’avanguardia, la mazurka, i passaggi rock ritmicamente accentuati e mille altre derive. L’ensemble suona a volumi alti senza ripercussioni sul suono d’insieme, nel quale si avverte la definizione dei ruoli e dei significati di ciascun intervento. La voce di De Leo trova punto di dialogo, o di contrasto all’occorrenza, ora con il sax baritono di Piero Bittolo Bon, poi con la chitarra elettrica di Fabrizio Tarroni, in alternativa con la sezione archi, oppure si trasforma ulteriormente grazie agli interventi di Franco Naddei, campionatore di suoni in presa diretta e fondamentale playmaker dell’orchestra. Il giro sulla giostra musicale di De Leo e compagni si protrae per oltre un’ora. Le risorse mostrate dal gruppo sembrano non esaurirsi mai: assistiamo a cambi di tonalità e di registro repentini, accelerazioni furiose, momenti di stasi, sipari teatrali, canzoni dal testo visionario, venature gospel, sonorità blues e altro ancora. Un viaggio trasversale, zigzagante, che non dà punti di riferimento prevedibili e quindi non cede mai alla noia, né trova adagio su cliché o soluzioni a portata di mano.
La musica prodotta da De Leo non è estetica fine a sé stessa, ma racchiude significati che lui stesso ci ha raccontato a margine della performance romana: «Non c’è mai un solo significato. E ogni brano esplora diversi aspetti. La grammatica musicale viene strutturata su un’idea narrativa che diverrà parole. Parole cantate. In qualche caso le parole sembrano non essere esaurienti, quindi uso solo il suono, che moltiplica le parole possibili. Cerco solo di innescare nell’ascoltatore una miccia, di avviare meccanismi mentali. Ogni composizione è giusta quando l’ascoltatore può costruire mondi propri. I motivi per ascoltare la mia musica non li decido io». Dopo il primo bis nel backstage si sentono gli applausi scroscianti del pubblico, l’ensemble chiede a De Leo di rientrare da solo per la chiusura del concerto, ma lui non ha dubbi sul da farsi: «No, rientriamo tutti, ce lo siamo meritato».
Roberto Paviglianiti