In nome delle “tracce preferite”: Alessandro Stella spiega Extended Place

Il pianista e produttore romano, membro della Recording Academy e della Latin Recording Academy, che ha dato vita alla label EP (vedi l’articolo di presentazione), racconta i motivi che lo hanno spinto a creare una casa discografica votata all’essenzialità e alla concentrazione di ogni progetto musicale, il quale è anche e soprattutto un atto di amore e di passione nei confronti della Musica

Alessandro Stella in studio di registrazione per EP (© Daniele Coluccini).

Maestro Stella, perché ha avvertito la necessità di dare vita, in un momento così difficile come quello del lockdown e, soprattutto, in un mercato già così saturo di case discografiche, ad Extended Place? Coraggio o momento di follia, che però, a quanto pare, ha poi dato i suoi frutti?

Quella per la musica registrata è sempre stata una mia grande passione, sin dall’adolescenza. Ho iniziato abbastanza presto a registrare e ho avuto il grande privilegio di poter realizzare numerosi album per diverse etichette (Artalinna, Continuo, Kha, Stradivarius, Warner Classics), potendo sempre godere di una grande libertà nella scelta del repertorio e nell’impaginazione dei programmi. Con il passare del tempo mi sono sempre più interessato anche agli aspetti produttivi degli album a cui lavoravo e ho sviluppato una mia visione. Per questo, considero la creazione di Extended Place come una naturale conseguenza delle mie esperienze precedenti. L’idea è nata qualche mese prima dell’inizio della pandemia, ma il caso ha voluto che decidessi effettivamente di diventare operativo a pochi giorni dal primo lockdown. Al di là del ruolo per me salvifico di tale concomitanza del tutto imprevista, questa situazione così drammatica ha paradossalmente costituito una grande occasione, avendo potuto dedicare moltissimo tempo a questa nuova creatura, tempo che, in condizioni normali, non avrei avuto a disposizione. Da, in primis, grande fruitore del mercato discografico, ero sin dall’inizio cosciente della dose di coraggio, ma anche di follia, necessari per fondare una nuova etichetta in un panorama che, come lei giustamente osserva, era già saturo. Tuttavia, ero fortemente motivato, innanzitutto dall’idea di fondo che mi ha ispirato, quella cioè di produrre extended play, EP, ovvero dischi brevi, o, come mi piace descriverli, dischi ‘concentrati’, ma anche dai tanti nomi di artisti e dalle tante idee che, sin dall’inizio, hanno affollato la mia mente e che desideravo fortemente che vedessero la luce. Desidero aggiungere che un ruolo importantissimo, nel superare il timore di fare un tale passo, lo hanno avuto anche alcune persone chiave, che mi hanno incoraggiato e mi hanno sostenuto, e continuano a farlo, penso in particolare a Massimo Bassi ed Eleonora Prestifilippo e a Cecilia Alfonsi e gli amici di Alfonsi Pianoforti, che considero davvero parte della grande famiglia di Extended Place.

La cover dell'EP dedicato al Songbook di Tōru Takemitsu.

Nell’articolo di presentazione a EP ho già fornito gli elementi base per spiegare quale sia la filosofia che incarna la sua casa discografica. Però, dopo ormai quattro anni di attività e sulla base dell’esperienza acquisita e sui risultati fin qui ottenuti, che cosa le ha insegnato ulteriormente questa “filosofia di produzione e riproduzione sonora”?

Nel corso della mia felice collaborazione con Continuo Records, avevo già realizzato due EP, testimonianze di due concerti dal vivo. Negli anni, però, avevo raccolto moltissime idee per le quali cercavo, per così dire, un complemento per raggiungere la durata media di un album, fra i cinquanta e i settanta minuti, ma non era sempre evidente trovarlo, perché in molti casi avevo la chiara sensazione che quelle idee fossero compiute così com’erano. Da qui, l’idea “copernicana” di cambiare il punto di vista e lasciare che fosse il contenuto a definire la forma e non viceversa. Credo che oggi non abbia più molto senso riempire un disco necessariamente fino a settantaquattro minuti e oltre, soltanto perché così fu deciso nel momento in cui venne creato il CD. Il modo di fruire la musica è cambiato, nel mondo della musica liquida e dello streaming può avere senso pubblicare un Singolo di pochi minuti come l’integrale delle Vexations di Satie in quattordici ore.

Personalmente, trovo congeniale il formato dell’EP anche per altre ragioni, oltre a quelle appena espresse. Forse quella più importante parte da una constatazione da fruitore della musica registrata. Dopo ripetuti ascolti di un album, individuiamo quasi sempre alcune tracce che amiamo più di altre. Oggi si possono facilmente riunire in una playlist, mentre fino a qualche tempo fa si “saltava” da una traccia all’altra (ma mi torna in mente anche l’atto “poetico”, questo sì d’altri tempi, di creare le proprie compilation su audiocassetta). Di ogni EP che produco, vorrei fare un disco di sole tracce preferite. Vorrei però precisare che, nell’immaginare un EP, l’intento è quello di creare un qualcosa di compiuto, in cui, oltre alla scelta dei brani, anche l’ordine con cui vengono proposti, le pause fra di essi, la copertina, tutto contribuisca a creare una sorta di Gesamtkunstwerk, in cui ogni elemento coadiuvi l’esperienza dell’ascolto. È anche per questo che, andando contro ogni logica di mercato, me ne rendo conto, teniamo molto a stampare i nostri EP e diamo una grande rilevanza alla parte grafica. Ho avuto la grande fortuna di incontrare sulla mia strada, proprio all’inizio di questa avventura, Javier G. Borbolla, graphic designer cubano, con cui è nata una felicissima collaborazione, sin dalla creazione del logo di Extended Place, che riesce ogni volta a cogliere l’essenza del progetto musicale e, realizzando la cover e l’artwork dell’EP o del Singolo, a dargli un contributo fondamentale. Ritengo molto importante, nel mio lavoro produttivo, potermi fidare e confrontare con professionisti come Javier, o come Tommaso Cancellieri, ingegnere del suono che ha curato praticamente ognuno dei nostri lavori e ne ha registrati personalmente la maggior parte agli Abbey Rocchi Studios di Roma. Poter contare su un team con cui costruire una visione etica ed estetica comune, credo possa fare la differenza e possa contribuire a dare coerenza al nostro catalogo.

La cover "pianistico/cinematografica" dell'EP in cui Enrico Pieranunzi interpreta le canzoni dei musical di André Previn.

Come ogni genitore che, nonostante affermi il contrario, ha una indubbia predilezione per uno o più dei suoi figli, allo stesso modo quali sono i “figli” discografici fin qui prodotti ai quali lei è più affezionato e che sente, in un certo senso, più suoi?

La metafora è senz’altro molto appropriata e, per questo, mi è molto difficile rispondere alla sua domanda. Ogni singolo progetto è frutto di un processo molto lungo che lo rende per me “necessario”. Per scelta, non produco e, di conseguenza, non pubblico, nulla che non ami e che non mi convinca profondamente. Ogni lavoro ha una sua storia, unica, e per questo sento ciascuno di essi profondamente mio. Posso, però, raccontarle un momento speciale vissuto in questi anni, ovvero la prima sessionche abbiamo realizzato. Era il gennaio del 2021, nel pieno di un nuovo lockdowne, con tutte le limitazioni e le prescrizioni del caso, avevamo organizzato una settimana in studio per realizzare i primi cinque EP. Ricordo quella settimana come una delle più intense, belle ed entusiasmanti della mia vita. Ogni mattina mi alzavo con la gioia di ritrovarmi in studio con gli artisti e il mio teamper realizzare qualcosa di auspicabilmente unico e speciale. È così che hanno visto la luce La vie en blanc in duo con Pietro Roffi, Happy Birthday Variations in duo con Marcos Madrigal, Wayne Shorter Reframed di No Trio for Cats, Pieranunzi plays Previn di Enrico Pieranunzi e il primo EP che abbiamo registrato, l’unico, fra quelli realizzati in quella session, ancora non pubblicato, un mio EP solistico dedicato ad uno dei miei più grandi amori, la musica di Edvard Grieg, che vedrà finalmente la luce in autunno.

Come nasce, singolarmente, ogni progetto discografico di EP? Come nasce l’idea e come si realizza, attraverso la scelta del programma e degli artisti coinvolti? Proprio per ciò che riguarda questi ultimi, come riesce a farli sentire compartecipi di ciò che devono eseguire? Glielo chiedo, in quanto ascoltando diversi dischi della EP, mi sono reso conto che dietro ad ogni interpretazione, al di là dell’aspetto puramente professionale e artistico, si cela un’indubbia passione da parte di chi suona…

Nel corso di venticinque anni di attività, ho avuto il privilegio di conoscere e lavorare con moltissimi artisti meravigliosi. Nella mia attività di pianista, in particolare, ho cercato, nel corso degli anni, di costruire collaborazioni stabili con artisti con cui condividevo una stessa visione. È stato quindi naturale rivolgermi in primis a loro, per proporre progetti o invitarli a farlo a loro volta. Indipendentemente da quale sia il punto di partenza di un progetto, c’è però sempre un grande lavoro insieme all’artista per sviluppare l’idea originaria e arrivare alla sua essenza. Ricordo distintamente e con grande gioia le occasioni in cui ciascun progetto è stato immaginato per la prima volta e tutto il processo che ha portato fino in studio di registrazione e poi all’EP finito. Le sono molto grato per quello che dice sulla passione degli artisti che traspare all’ascolto dei nostri lavori. Credo sia il frutto di una serie di ragioni.

Innanzitutto, in un mondo in cui sempre più etichette, e non solo fra le indipendenti, pubblicano progetti preconfezionati, credo che il lavoro di ricerca, di scambio fra l’artista e il produttore per cercare di realizzare un’idea avvicinandosi il più possibile ai propri ideali, abbia un grande valore. Poi, c’è secondo me una ragione legata all’atto stesso di registrare. So molto bene, per esperienza diretta, quanto un artista possa essere o sentirsi fragile nel momento in cui si trova in studio davanti a un microfono. Anche il più esperto e navigato degli artisti può attraversare momenti di dubbio che, se non gestiti bene, possono portare a delle difficoltà. Per questo, il rapporto fra il produttore e l’artista è un anello importantissimo di tutto il processo creativo di un lavoro discografico e deve necessariamente essere improntato a una grande fiducia e a un grande rispetto reciproci. E poi c’è la gioia della scoperta, la curiosità, quella scintilla che è presente in ogni grande artista e che fa sì che ogni nuovo progetto sia un viaggio. Posso portarle l’esempio di un EP che si è rivelato, appunto, un grande viaggio per tutti, Pieranunzi plays Previn. Enrico non conosceva le canzoni di Previn, che stranamente non sono mai entrate nel repertorio jazzistico. Le avevo ascoltate diversi anni prima e ho pensato che Enrico fosse la persona giusta per darne una lettura unica. Se ne è innamorato e abbiamo iniziato un viaggio alla scoperta di questo vastissimo corpus di opere, per lo più inedite, a volte introvabili, cercandole nelle biblioteche e nei musei, in particolare degli Stati Uniti. Questo lavoro si è poi concretizzato nell’EP Pieranunzi plays Previn, ma il viaggio è stato così entusiasmante e ricco che lo abbiamo proseguito, preparando un secondo capitolo, di prossima uscita, questa volta con la voce di Simona Severini e il basso di Thomas Fonnesbæk.

Alessandro Stella, Simona Severini ed Enrico Pieranunzi ascoltano un take appena registrato per il nuovo EP dedicato alle musiche di Previn (© Daniele Coluccini).

Al di là dei titoli finora prodotti e di quelli attualmente in cantiere, ha in mente altri territori musicali che intende esplorare in un prossimo futuro?

Quando ho scelto il nome dell’etichetta, avevo due esigenze egualmente importanti. La prima, che fosse un acronimo di extended play, per dichiarare esplicitamente la filosofia dietro la scelta dell’EP come formato ideale per realizzare le nostre idee. La seconda, che comunicasse chiaramente il mio desiderio di creare uno spazio che non contemplasse barriere o limiti. Mi sono da subito dedicato alla classica e al jazz, i due generi a cui, per motivi diversi, sono più legato e che sento di conoscere più a fondo. I miei gusti e la mia curiosità, però, mi portano spesso lontano dalla mia zona di comfort, dunque, non escludo, già nel prossimo futuro, di esplorare altri territori che mi affascinano molto, penso, ad esempio, a quell’immenso “contenitore” che è la cosiddetta world music. Non ho però al momento ancora dei progetti concreti in tal senso. Nei prossimi mesi, nel frattempo, abbiamo in programma di finalizzare e pubblicare alcuni dei molti EP già registrati e realizzare nuovi progetti, anche con artisti che registreranno per Extended Place per la prima volta. Oltre ai già citati Grieg e Previn, mi fa piacere citare un EP bachiano in duo con Enrico Pieranunzi, diversi nuovi lavori del chitarrista Giacomo Palazzesi, reduce da un grande successo di ascolti con i suoi primi due EP, rispettivamente dedicati a Ponce e Takemitsu, alcuni lavori in duo con Gemma Bertagnolli, a cominciare da Canto Latino, che fanno seguito alla sua meravigliosa “Lucrezia” händeliana, un disco dell’Hemisphaeria Trio dedicato al Previn “classico” e un lavoro monografico su Nicola Sani, con la partecipazione di meravigliosi artisti come Andrea Buccarella, Giovanni Gnocchi e Jona Venturi.

L'imprenditore editoriale e saggista Roberto Calasso, tra i fondatori della casa editrice Adelphi.

Un’ultima curiosità, Maestro Stella. Tra i punti di riferimento presi a modello per dare vita alla sua casa discografica, vi è anche il nome di Roberto Calasso, tra i fondatori della casa editrice Adelphi. Che cosa lo affascina di questa personalità così particolare e così poliedrica? La conduzione manageriale? Il suo intuito editoriale? La sua capacità di coniugare l’attività di scrittore e saggista con quella di editore tout court?

Oltre, naturalmente, alle persone con cui ho lavorato ai miei dischi nel corso degli anni, da cui ho imparato moltissimo, sono molte le realtà e le figure che mi hanno ispirato nella creazione di Extended Place. Cito spesso alcuni artisti, come Jordi Savall, Barbara Hendricks o Katia & Marielle Labèque, che hanno fondato le loro etichette discografiche, o molte orchestre sinfoniche che hanno fatto lo stesso per pubblicare i propri lavori (anche se, nel caso di Extended Place, una parte consistente del catalogo è dedicata a produzioni in cui sono coinvolto esclusivamente come produttore e non come artista). In questa costellazione di punti di riferimento, Roberto Calasso occupa un posto speciale, certamente per il suo grande intuito e la sua visione, che, fra l’altro, lo accomuna ad un’altra figura leggendaria, questa volta della musica, come Manfred Eicher, fondatore e produttore dell’etichetta ECM. Sicuramente anche per la capacità di portare avanti in modo così geniale sia l’attività di scrittore che quella di editore, ma ancora di più per gli ideali che, sin dall’inizio, lo hanno guidato nella creazione e poi nella direzione di Adelphi. C’è in particolare un suo volume, L’impronta dell’editore, in cui ho trovato spunti illuminanti per il mio lavoro con Extended Place. L’immagine che, più di tutte, mi ha ispirato, e continua quotidianamente a farlo, è quella di pensare ciascun libro del catalogo Adelphi come un capitolo di un unico grande libro, che, mutatis mutandis, è quello che cerchiamo di fare anche noi, EP dopo EP, nel costruire il catalogo di Extended Place.

Andrea Bedetti