Il sassofono si fa in quattro
L’irruzione della modernità in seno musicale avvenne non solo grazie ai cambiamenti del linguaggio musicale stesso, attraverso il progressivo mutare dei generi, ma anche per via della nascita di nuovi strumenti musicali. Un esempio paradigmatico è dato dal sassofono, ideato e costruito dal belga Adolphe Sax, il quale ebbe poi l’intuizione che, per permettere l’affermazione del suo strumento, avrebbe dovuto sensibilizzare e coinvolgere i compositori più famosi dell’epoca, oltre che a farlo diffondere in un preciso ambiente, quello delle bande musicali civili e militari. Per questo, nel 1842, non ancora trentenne, si trasferì a Parigi, una delle capitali mondiali della musica, entrando subito in contatto con musicisti come Hector Berlioz, Gaetano Donizetti e Giacomo Meyerbeer. E fu proprio Berlioz a decretarne il successo, quando l’anno successivo decise di trascrivere il suo Chant Sacré, composto originariamente nel 1829 per coro e pianoforte, in una nuova versione per sei strumenti a fiato. Quest’ultimo arrangiamento, andato purtroppo perduto, comprendeva due tipi di clarinetti e quattro “saxhorn” inventati da Adolphe Sax, compreso lo strumento che oggi conosciamo come sassofono. Berlioz, poi, fu talmente conquistato da questo nuovo strumento da lodarlo apertamente nel suo Grand Traité d’Instrumentation et d’Orchestration, scrivendo testualmente «[questi strumenti sono] rotondi, puri, pieni e completamente uniformi su tutta la gamma della loro scala». Quindi, non c’è da meravigliarsi se impiegò il sax nel decennio successivo nel suo capolavoro operistico Les Troyens. Confortato dalla stima e dall’entusiasmo dimostrati da Berlioz, Sax continuò a migliorare i suoi strumenti e nel 1846 completò l’intera famiglia dei sassofoni, contraddistinti in fa, do, si bemolle e mi bemolle, oltre a vedere riconosciuto il suo lavoro anche in ambito accademico, con l’apposita creazione di un corso al Conservatorio di Parigi, nel quale insegnò fino al 1870.
Per capire l’importanza del sassofono in funzione della musica colta a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, bisogna appuntare l’attenzione proprio sulle peculiarità timbriche ed espressive dei quattro tipi che formano la famiglia del sax, in quanto costituiscono idealmente l’idea di un quartetto, così come nella famiglia degli strumenti ad arco lo sono il violino, la viola e il violoncello che danno vita al quartetto per archi. E non è quindi un caso che la casa editrice fondata dallo stesso Adolphe Sax in sessant’anni di attività, dal 1858 al 1928, abbia pubblicato ventuno quartetti per sassofoni, permettendo a questa formazione di vantare già una collaudata tradizione al sorgere del Ventesimo secolo, grazie soprattutto all’attenzione e alla sensibilità dimostrate da un compositore russo, Alexander Glazunov, il quale, durante alcuni viaggi effettuati in Occidente, ebbe modo di scoprire il sax dapprima in Francia attraverso opere composte da Massenet e Thomas e poi negli Stati Uniti dove scoprì il linguaggio del jazz. Tornato in patria, Glazunov, che fino a quel momento si era cimentato nel comporre opere per quartetti per archi, decise di scriverne una per quartetto di sax. Nacque così il Quartetto per sax in si bemolle maggiore op. 109, che rappresenta un capolavoro nel suo genere, anche se la sua struttura e le sue peculiarità stilistiche risentono ancora di una dimensione che rimanda inevitabilmente al quartetto per archi. Questa composizione, risalente al 1932, è uno dei suoi ultimi lavori e rappresenta virtualmente una sorta di “piccola storia della musica”, in quanto il primo tempo, Allegro, è caratterizzato da ampi archi melodici che ricordano Dvořák, Wagner e Brahms, mentre il secondo tempo, una Canzona Variée, rimanda espressamente a Schumann e Chopin, e con il dinamico e fresco rondò finale che presenta nella parte centrale tipiche forme bachiane. Il quartetto fu presentato in prima assoluta dal Quatuor de la Garde Républicaine, fondato dal grandissimo virtuoso Marcel Mule, ottenendo un clamoroso successo. Due anni dopo, Glazunov dedicò al sassofono un’altra celeberrima opera, il Concerto in mi maggiore per sassofono contralto e archi, su commissione di un altro grande interprete, l’americano d’origine tedesca Sigurd Manfred Rascher.
Proprio quest’opera è stata recentemente registrata per l’etichetta Da Vinci Classics dai componenti del Vagues Saxophone Quartet, formato da Andrea Mocci al Sax soprano, Mattia Quirico al sax tenore, Francesco Ronzio al sax contralto e Salvatore Castellano al sax baritono. Oltre al lavoro di Glazunov, il giovane quartetto di interpreti ha registrato altre due opere, la Suite per quattro sassofoni del compositore francese Jean Françaix e il Quatuor de Saxophones del musicista giapponese contemporaneo Jun Nagao.
Allievo della grande Nadia Boulanger e appartenente alla corrente neoclassica, Jean Françaix, nato nel 1912 e morto nel 1997, è stato un autore oltremodo prolifico (il suo catalogo supera le duecento composizioni), il cui stile è stato soventemente improntato a una raffinata ironia, come appunto accade nella Suite per quattro sassofoni, le cui sei parti denotano una piacevolissima brillantezza, unitamente a una scrittura tecnicamente impegnativa. Assai particolare è il Quatuor di Nagao, uno dei più importanti musicisti nipponici degli ultimi decenni, nato nel 1964 a Ibaraki, che vanta un catalogo ben nutrito per ciò che riguarda le opere per ensemble di fiati. Questa composizione è strutturata in quattro tempi, ciascuno con un titolo francese che fa riferimento a un verbo, esattamente Perdre (Perdere [se stesso]), Chercher (Cercare), Aspirer (Aspirare), Trouver (Trovare). Ogni tempo/segmento è in netto contrasto con gli altri e rispecchia l’azione proposta dal titolo/verbo. Se Perdre è un continuo errare (ossia continuare a sbagliare, allontanandosi dal centro/verità) tra armonie e sonorità, Chercher è invece stabilmente radicato in un idioma tonale ed è caratterizzato da ritmi e timbri che rimandano a un qualcosa di lieto, allegro. Aspirare si traduce musicalmente in una lingua sonora intensamente melodica e profondamente nostalgica, in cui i quattro strumenti fondono i loro suoni e le loro linee in un tessuto toccante. Infine, la realizzazione del Trovare è concepita da Nagao come un momento profondamente esaltante, che scorre a un ritmo brillante, in un vortice di melodie intrecciate.
Queste tre composizioni rappresentano altrettante sfaccettature che necessitano di un tipo di interpretazione del tutto diversa: quella di Glazunov richiede un’esecuzione squisitamente “classica”, in grado di esaltare la dimensione storica che incarna, quella di Françaix, invece, ha bisogno di una lettura capace di evidenziare atmosfere raffinate, suadenti, espresse a attraverso la raffinata ironia che la impregna e, infine, quella di Nagao, oltremodo impegnativa e difficile, deve mettere in mostra la volumetria dell’apparato sonoro, la sua spazialità in continua trasmutazione. Ebbene, i quattro componenti del quartetto italiano, nonostante la loro giovane età, sono stati autori di un’interpretazione a dir poco rimarchevole, che si basa prima di tutto su un affiatamento ammirevole (e questo è necessario soprattutto nella pagina del compositore nipponico) e poi su una capacità discorsiva, di un fraseggio a tutto tondo che si delinea nella pagina del musicista francese, senza dimenticare la brillante elaborazione del pezzo di Glazunov, che può essere visto e concepito come un gioco di maschere che si alternano attraverso una continua resa fatta di fluidità. Chi non conosce la musica per sax in ambito cameristico qui trova un approdo ideale per poter accedere al concetto della modernità in musica.
Altrettanto valida è la presa del suono fatta da Gabriele Zanetti, attento nel saper restituire sia l’immagine d’insieme dei quattro strumenti, sia la loro distinta individualità. La dinamica è rocciosa, energica, ma anche assai veloce e ben naturale, il che permette di ricostruire i quattro sassofoni in modo corretto al centro dei diffusori con una più che discreta profondità, permettendo al suono una piacevole altezza e ampiezza. Stesso discorso che vale per l’equilibrio tonale e per il dettaglio: il primo è assai preciso, adeguatamente scontornato nella resa del registro medio-grave e di quello acuto, senza risultare impastato quando i quattro strumenti suonano insieme e il secondo è foriero di una dose massiccia di matericità, permettendo così un ascolto mai faticoso.
Andrea Bedetti
AA.VV. Masterpieces for Saxophone Quartet
Vagues Saxophone Quartet
CD Da Vinci Classics C00565